Trump oltre Trump: i benefici di una momentanea tregua globale

L'ipotesi di una temporanea tregua tra le tre principali potenze globali (Usa, Russia e Cina popolare) - il che non significa termine della conflittualità e di improvvise provocazioni - non può essere considerata peregrina.

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Trump oltre Trump: i benefici di una momentanea tregua globale


di Diego Angelo Bertozzi per l'AntiDiplomatico

L'attivismo diplomatico che caratterizza in queste ultime settimane l'amministrazione Trump, solo in parte legata alla questione russo-ucraina, è certamente dettata dagli interessi di sopravvivenza dell'impero statunitense in un periodo di crisi, vale di dire di profondi cambiamenti nei rapporti di forza internazionali. L'aver umiliato l'Unione europea e i principali alleati del Vecchio Continente, escludendoli dalle discussioni e dai negoziati sui fronti diplomatici più caldi, è certamente parte di una chiara strategia. L'ipotesi di una temporanea tregua tra le tre principali potenze globali (Usa, Russia e Cina popolare) - il che non significa termine della conflittualità e di improvvise provocazioni - non può essere considerata peregrina. Anche perché l'attivismo di cui parliamo ha inevitabili conseguenze che vanno ben oltre i benefici di Washington.

Pensiamo, infatti, al principale avversario politico, eonomico e militare, vale a dire quella Pechino che porta avanti, per quanto in sordina e minore enfasi, l'iniziativa strategica della Nuova via della seta. Facciamo alcuni esempi per dare maggiore concretezza a quanto affermato in queste righe, soffermandoci sull'area Mediorientale o dell'Asia occidentale, settore delicato, nonché conflittuale, nel quale è crescente la presenza cinese per motivazioni tanto economiche quando di sicurezza delle rotte commerciali. Il viaggio di tre giorni di Trump nel Golfo - negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e Qatar - non si è certo caratterizzato per importanti iniziative/accordi in ambito di difesa o energia nucleare che avrebbero ben radicato la presenza statunitense. Il primo incontro con il neo presidente siriano Ahmed Sharaa - ex tagliagole con colletto bianco ripulito - e la prospettiva di una normalizzazione dei rapporti e la conclusione del criminale regime sanzionatorio potrebbe vedere nella Cina uno dei principali attori per la ricostruzione delle infrastrutture di un Paese devastato. Poco prima dell'incontro con Trump, infatti Sharaa aveva ospitato a Damasco la terza delegazione cinese da quando è al potere.

Per quanto riguarda lo Yemen è l'accordo raggiunto tra Usa e Houti per fermare gli attacchi alle navi a stelle e strisce - di fatto la presa di coscienza da parte di Washington della impossibilità di sconfiggere coriacei e coraggiosi "resistenti" nonostante "spettacolari" bombardamenti - dà maggiore garanzia di sicurezza alla navigazione marittima e al transito della imponente flotta commerciale cinese che, a sua volta, gode già da un anno dei benefici di un simile accordo stretto dal governo di Pechino. Interessante sottolineare che l'accordo di questi giorni esclude Israele, che resta possibile bersaglio. L'unico settore che potrebbe, invece, causare qualche preoccupazione a quest'ultimoè l'accordo Usa-Riyad in materia di sviluppo dell'intelligenza artificiale, con la società saudita Humain (finanziata dallo Stato) interessata ad inserirsi nell'orbita tecnologica statunitense, mentre è già attivo una collaborazione con la Cina da parte della saudita Alat. C'è inoltre la possibilità di un accordo tra Stati Uniti e Iran in materia di nucleare. Per quanto si sia agli inizi e persistano forti resistenze e subitanei passi indietro, un esito positivo aprirebbe prospettive di pacificazione in un'area centrale per gli sviluppi della Nuova via della seta cinese.

Per concludere, invece di limitarsi alle battute e all'ironia sulla scorta di cammelli che ha accolto e accompagnato il presidente Usa in Arabia Saudita, è necessario comprendere quali siano le ricadute delle iniziative diplomatiche angli sugli altri attori presenti in quanto poteri globali. 

 

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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