Rearm Europe: un tardo impero bizantino al riarmo

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 Rearm Europe: un tardo impero bizantino al riarmo


di Diego Angelo Bertozzi per l'AntiDiplomatico

Come ben sappiano la decisione del presidente statunitense Trump di intavolare direttamente con il presidente russo Putin il dialogo per una soluzione del conflitto in Ucraina, ha gettato nello scompiglio i ceti dirigenti dell'Unione Europea (comunque già da tempo divisa al suo interno), ancora aggrappati alla fantasmagoria (in verità da tempo già appannata) della sconfitta di Mosca.

Se lasciamo brutalmente da parte ogni sacrosanta prospettiva/speranza di un equilibrio di pace frutto di una costante collaborazione fra grandi potenze e Stati su di un piano di parità (il sogno di un'armonia come continuo e faticoso traguardo già prospettato dal filosofo Leibniz) per guardare alla cruda realtà dei rapporti di forza, la decisione statunitense non è giunta a sorpresa; non solo perché in qualche modo preannunciata da Trump durante la campagna elettorale, ma soprattutto perché sul terreno militare la situazione volgeva sempre più a favore dei russi, per quanto un intero ceto giornalistico si aggrappasse, con trovate al limite del ridicolo, ad una propaganda di guerra degna del fascista Popolo d'Italia.

Al di là del piano militare, è interessante guardare ad altre conseguenze del riavvicinameno (di fatto) russo-statunitense perché sembrano aprire ulteriori squarci a Bruxelles, con la formazione di blocchi (per quanto a parole) contrapposti, tanto da avere ridato centralità alla Gran Bretagna (potenza extra UE e tradizionalmente atlantista) nel ruolo di capofila di un seguito composto da Francia, Germania e Spagna, impegnato nella prosecuzione degli aiuti militari a Kiev. Vertici esclusivi, assenze, repentini passi indietro, posizioni ambigue (Italia ad esempio) testimoniano, anche visibilmente, come proprio l'Unione Europea esca interpretando il ruolo di sconfitta politica. E ancora peggio, pare non accettare che dopo tre anni di aiuti e sostegno, l'Ucraina è sull'orlo del collasso militare tanto che - notizie delle ultime ore - pure l'avventuroso fronte di Kursk (oblast in territorio russo) stia crollando. Il ritiro di Trump nelle forniture potrebbe persino essere interpretato come un ben vagliato assist all'operazione militare russa: garantire ulteriori avanzate e stabilizzazioni territoriali per mettere ancora più in difficoltà il fronte bellicista europeo allargato (UE+GBR+Canada) ponendolo di fronte all'irreparabile e alla necessità del negoziato.

Fantapolitica? Può essere. Così come lo è anche il piano di riarmo da 800 miliardi di euro (Rearm Europe) approvato dal Consiglio europea con risorse da recuperare in quattro anni e da prendere anche dai Fondi di coesione, senza prevedere però alcun progetto di difesa comune. Resta il fatto che in attesa della approvazione e della realizzazione di tale progetto, l'Ucraina rischia di essere ulteriormente travolta. E a Bruxelles lo sanno benissimo. Ci si può, quindi, legittimamente chiedere se Rearm Europe non sia in realtà un progetto di militarizzazione rivolto all'interno, vale a dire a rimettere in riga un'opinione pubblica nata e crescita sulla parola d'ordine del "continente di pace" e che, di fronte a ulteriori tagli della spesa pubblica, in settori quali scuola e sanità e alla crescita delle disiguaglianze, potrebbe persino alzare il livello della protesta aprendo scenario di conflitto sociale allargato. Il debito pubblico tanto inaccettabile in tali settori, diventa prioritario in quello militare.

Favorevoli o meno a un progetto di difesa comune (che per ora non c'è), la sostanza all'ordine del giorno non cambia: sarebbe meglio prendere coscienza della sconfitta nella guerra per procura in Ucraina e avanzare una propria proposta di pace con un'architettura che per forza di cose deve coinvolgere anche la Russia. In caso contrario il piano di riarmo, tra l'altro rivolto verso un nemico che non pare avere mire su Lisbona, rischia solo di ridurre l'Unione Europea a una scricchiolante macchina burocratica, aggrappata alle proprie idealità, alla retorica e ai riti democratici ormai stancamente ripetuti (Rearm Europe è sottratto all'approvazione del Parlamento europeo, come se fosse questione di terz'ordine!). Un impero bizantino, splendente di luce opaca e di grandezze defunte, ma ormai destinato al crollo.

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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