Public enemy
Da sempre la tendenza del potere è quella di preservare se stesso. A tale proposito, chi nelle diverse forme lo gestisce ha la prerogativa di parlare per tutti, facendo accettare come giuste, indispensabili, divine, le sue decisioni. E per far questo il corpo politico si è dotato di un complesso sistema di apparati e regole adatti allo scopo.
Il termine nemico pubblico venne "inventato" nel secolo scorso per indicare tutti quei soggetti da perseguire, in quanto contestatari con l'effettività dei loro comportamenti dell'insieme delle regole giuridiche strutturanti la convivenza fra i consociati. Il fine fu soprattutto quello di reprimere la criminalità più o meno organizzata. Vennero così individuate le manifestazioni di devianza dall'ordine precostituito. Fenomeni da combattere per mezzo dell'uso della forza della legge. Una concezione che, nel corso del tempo, si è pericolosamente allargata fino a farvi ricomprendere anche i semplici disturbatori di quel dato ordine.
Alla cui base sta spesso una concezione tendente a modellare la società su uno schema preciso, fondato sull'uomo proprietario, sull'estrazione della ricchezza e lo sfruttamento. E' il sistema di gestione dell'economia chiamato capitalismo, che produce diseguaglianze, guerre, povertà. Ed è il paradigma di riferimento delle democrazie occidentali, in primis degli Stati Uniti d'America.Così, tutte le volte che la materialità delle vicende o la presa di coscienza hanno cercato attraverso le proteste e la ribellione di far emergere le contraddizioni connaturate a tale modello, ecco che i soggetti altri, in questo caso i protagonisti della contestazione ( pensiamo ad esempio alle manifestazioni conseguenti alla grande depressione economica dell'inizio del secolo scorso, alla lotta degli afroamericani contro le discriminazioni, ma anche al '68, al movimento altermondialista fino alle rivolte conseguenti alle crisi economico-finanziarie), sono stati etichettati come coloro che turbano, perchè mettono in discussione il mantenimento dell'ordine economico. Ed infine criminalizzati.
Un ordine modellato sulla classe al potere, fondato sul privilegio, e dal quale emergono le contraddizioni del sistema stesso. Gli episodi di protesta vogliono far venir fuori le iniquità. Quando determinate categorie sociali disconoscendo tutto un complesso di regole lotta per cambiarle. Perchè considera la legge ingiusta.
Il potere precostituito per mantenere viva la sua missione ha bisogno di individuare chi rifiuta di adattarsi, facendone il capro espiatorio su cui riversare i provvedimenti punitivi. Questi ultimi non riguardano solamente gli aspetti materiali tipici dei regimi di polizia ma comuni alle democrazie borghesi (cariche della polizia, arresti, torture), giungendo nelle forme "evolute" dei nuovi totalitarismi, che con forme inedite e raffinate mascherano la forza di chi ha in mano il potere, a forme di controllo e soffocamento che utilizzano gli strumenti tecnologici per tracciare, sorvegliare, censurare gli oppositori (le telecamere, la profilazione del web, gli spyware).
Inventare il nemico, renderlo pubblico, prende cosi corpo la demonizzazione sociale.
Le espressioni storiche della repressione della devianza vanno dall'internamento dei folli al razzismo istituzionalizzato, fino alle fobie sulle scelte religiose o le inclinazioni sessuali. Se c'è un punto in comune a tutti i gestori del potere che travalica i confini nazionali è dato dalla messa al bando di quei movimenti di massa che mettono al centro delle loro rivendicazioni il cambiamento sociale. Senza andare troppo lontano, limitandoci al consolidamento degli Stati all'indomani delle rivoluzioni insustriali possiamo constatare come nonstante un miglioramento generalizzato della qualità della vita, in termini di offerta e disponibilità di beni (frutto dello sfruttamento della forza lavoro, delle risorse, dei territori), e il riconoscimento di diritti prima preclusi - il suffragio universale, la fine delle discriminazioni razziali, i diritti del welfare – la vita delle persone comuni è meno uguale di quelli che stanno in alto.
Le diseguaglianze di status sono presenti sia nei Paesi autoritari che nelle democrazie occidentali. Queste ultime pur concentrandosi nel rispetto dei diritti civili, non sempre garantiti dal gioco dell'opportunismo politico, simboleggiano una tenuta paraistituzionale fondata sulle sperequazioni.
Allora, se in maniera astratta intendiamo per pubblico tutto ciò che riguarda la collettività, il bene del popolo in ambito sociale, economico e non solamente giuridico, accontentando i demagoghi e i populisti, diventa facile segnalare il nemico. In questo senso, ribaltando la prospettiva, guardando dal punto di vista di chi sta sotto, i nemici del popolo/pubblico sono tutti coloro che, a maggior ragione per il ruolo ricoperto (soggetti delle istituzioni, del mondo economico, del lavoro), recano danni alla collettività.
Decisori ed esecutori di interessi particolari, che mentre inculcano ai sottoposti la mentalità conservatrice di una unione di intenti fondata su una generica appartenenza, dall'altro continuano ad arricchirsi a discapito dei sudditi.
Qui nasce il dominio delle élite.
Un travaso di ricchezza dai redditi da lavoro a quelli da capitale inaspritosi nel corso degli ultimi quattro decenni a causa del liberismo (globalizzazione) economico e che, anche dopo la crisi dei mutui subprime e quelle recenti, vede aumentare il patrimonio dei Paperoni. Lo Stato in dismissione, sinonimo di un particolare status,che importa la mentalità affaristica (governance) e la gestione privatistica (le chiamano riforme) in ogni settore prima dedicato al pubblico appunto.Ed è da qui che viene fuori quella sottomissione che costringe tanti ad adeguarsi al ricatto di un lavoro povero, alienante e rischioso.Oppure a migrare per sfuggire da condizioni socio-ambientali impossibili.
Un mondo sempre più diseguale appannaggio dei ricchi.
I nemici del vivere associati, quindi, non sono coloro che lottano per una vita dignitosa, un lavoro eticamente rispettoso o che, per spirito di solidarietà, occupano immobili ed effettuano espropri. Non riguarda chi reclama l'assenza della violenza delle armi e delle guerre. E non sono quelli che combattono per l'emancipazione, il riconoscimento dei diritti, la giustizia climatica, la parità oltre i generi.
In questi tempi contrassegnati dalla disgregazione dei legami sociali, dall'individualismo più sfrenato, in quanto segni caratteristici di un potere la cui violenza è per lo più data dalla manipolazione delle coscienze, che si manifesta per mezzo di un asservimento "soft" attraverso cui consolidare il consenso trasmesso dall'alto, ecco che i soggetti contro cui lottare, i nemici di oggi sono gli stessi Signori di ieri.
Volendo accennare a degli esempi basterebbe guardare ad alcune vicende attuali: lo scontro tra guerrafondai negli USA con protagonisti il suprematista repubblicano e il poco lucido dem; l'appello al voto utile (liberista) popolare in funzione antinazionalista in Francia; la riconferma del sostegno alla pessima presidente (amica dei lobbisti) della Commissione UE.
Questioni che ribadiscono, al di là della condanna delle pericolose spinte reazionarie presenti un po dappertutto, conseguenziali al dogma liberal, che la contesa pur in presenza di proclami concerne unicamente quale sia la via indolore per acciuffare il potere. Perchè bisogna assicurare il sistema che nulla cambi.Sovrani, religiosi, padroni e proprietari. Insomma, sono gli esecutori favorevoli ad una data parte,sempre la stessa, appartenenti a quella classe, espressione del potere da combattere che, se vogliamo liberarci dalle catene, è da spazzare via con decisione.