Petrodollaro e la scheggia impazzita Israele: il Medio Oriente sull'orlo dell'abisso?
Per tutta la seconda metà del novecento e per questo scorcio di inizio millennio ci siamo illusi come europei di essere il centro del mondo, il faro della civiltà ed un insostituibile pilastro del sistema-mondo. La Verità vera è che l'Europa, ormai da decenni non è più il centro del mondo e neanche il centro dell'Impero Occidentale a guida statunitense. Ad essere precisi bisognerebbe dire che ormai dell'Impero Occidentale l'Europa sta scivolando sempre più verso la marginalità strategica ed economica. Non pare azzardato dire che il centro nevralgico dalla suprema importanza strategica ed economica per la sopravvivenza dell'Impero Occidentale sta diventando sempre più il Medio Oriente. Naturalmente questo è dovuto all'evidente fatto che la forza dell'Impero Occidentale si basa sostanzialmente su un sistema monetario e finanziario dominato dal Dollaro statunitense e che, a sua volta, non può esserci dominio del Dollaro senza il petrodollaro, ovvero quel peculiare meccanismo per il quale il Regno Saudita si impegna a farsi pagare il proprio petrolio in dollari americani e ad investire negli Stati Uniti i dollari in eccedenza e dove, in contraccambio, Washington s'impegna a difendere con ogni mezzo diplomatico e militare necessario il Trono dei Saud.
Da almeno un decennio il meccanismo del petrodollaro è entrato sostanzialmente in crisi, un po' a causa del fatto che il debito estero americano è sempre più insostenibile esponendo così ad un forte rischio di insolvenza l'enorme quantità di risorse finanziarie saudite (e delle altre petromonarchie del golfo) investite negli Stati Uniti, un po' perché Washington utilizza sempre più il dollaro come un arma contro i propri nemici geopolitici. Basti pensare, al riguardo, al congelamento dei beni russi investiti negli USA; i principi sauditi hanno certamente notato che se gli USA non hanno esitato a congelare i beni della potenza nucleare Russia, se sarà ritenuto necessario non esiteranno a congelare anche gli asset di proprietà saudita.
E' in questo contesto che è maturata la scelta del principe saudita reggente Mohammed bin Salman di cercare alternative al dollaro, trovando immediatamente sponda nella Cina Popolare che sarebbe ben felice di sostituire gli USA nel ruolo di “garante” dei sauditi anche in considerazione del fatto che il petrolio del Golfo è fondamentale per sostenere la produzione industriale cinese e i consumi crescenti di una popolazione sterminata.
Con la firma dell'accordo tra il presidente cinese Xi e il Principe bin Salman che ha posto le basi per il varo del petroyuan a Washington non poteva non scattare l'allarme rosso e con esso la volontà di scatenare l'estrema risorsa della politica estera americana in Medio Oriente: Israele, ovvero quello Stato alleato di ferro degli USA che funge da “mastino della guerra” quando Washington glielo chiede ottenendo in cambio sostegno incondizionato e flussi finanziari, tecnologici e di armi in quantità inimmaginabili per qualunque altro alleato degli USA.
Solo degli sprovveduti possono credere alla favola della cosiddetta Lobby Ebraica che controllerebbe la politica USA, quando in realtà quantomeno vi è un “equo scambio” tra le due parti; Washington garantisce sostegno incondizionato a Tel Aviv e in cambio quest'ultimo funge da implacabile guardiano degli interessi americani in questa vitale area per gli interessi americani.
Come tutti sappiamo a far esplodere la guerra in Medio Oriente sono stati gli attentati terroristici del 7 Ottobre dello scorso anno quando furono uccisi centinaia di israeliani da dei commandos di Hamas riusciti a penetrare dalla Striscia di Gaza in Israele come una lama nel burro. Non vogliamo fare del complottismo ma nessuno può negare che è quantomeno sospetto che degli improbabili commandos terroristici riescano a superare la “barriera elettronica e militare” israeliana senza essere visti; allo stesso tempo non possiamo non notare che l'attentato è avvenuto in un momento “particolarmente giusto” da consentire ad Israele di scatenare una serie di rappresaglie utili per difendere gli interessi vitali americani messi in estremo pericolo.
Da allora è stato un continuo bagno di sangue privo di qualunque logica se l'obbiettivo fosse stato realmente quello di garantire la sicurezza di Israele. Prima la feroce invasione di Gaza con il suo portato di decine di migliaia di morti palestinesi, tra i quali almeno quindicimila bambini. Poi l'incredibile provocazione del bombardamento del Consolato iraniano a Damasco che ha causato la morte di alti esponenti siriani e iraniani. Un evento questo che ha spinto l'Iran a sua volta a realizzare una rappresaglia condotta con un attacco missilistico contro Israele.
Ma nonostante l'importante avvertimento iraniano il governo di Tel Aviv non ha smesso di porre in essere provocazioni sempre più gravi, come l'assassinio del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh avvenuto a Teheran questa estate o i continui e violentissimi bombardamenti che ormai da un mese martoriano il Libano e la sua capitale nella speranza di disarticolare Hezbollah, il partito filoiraniano presente nel paese. E' proprio durante uno di questi bombardamenti violentissimi che è stato ucciso il leader di Hezbollah Nasrallah che - a detta del Ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib - aveva appena accettato un cessate il fuoco con Israele. Segno chiarissimo quest'ultimo, che non vi è da parte di Tel Aviv alcuna volontà di porre fine né alle provocazioni. Netanyahu con la sua condotta sembra stia ponendo i paesi dell'area di fronte alla scelta di doversi sottomettere o di intraprendere una guerra mortale contro Israele e gli USA che non esiteranno a intervenire in sua difesa.
A simboleggiare quanto sia grave la situazione Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, e Kuwait hanno annunciato la loro neutralità in un eventuale conflitto con l'Iran e che non concederanno le basi agli USA per attaccarlo. Come si può capire un tentativo estremo di chiamarsi fuori da una guerra di vasta portata sempre più probabile e che rischia di congiungersi con quella Ucraina a causa del fatto che la Russia è stretta alleata di Teheran.