Perché la politica estera degli Stati Uniti non cambierà molto sotto Trump

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Perché la politica estera degli Stati Uniti non cambierà molto sotto Trump

 

di Alan Lolaev*

La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi ha suscitato preoccupazione tra i sostenitori dell'attuale orientamento della politica estera del Paese sotto l'amministrazione Biden e ha portato speranza a coloro che sono interessati alla sua trasformazione.

La domanda pressante, che risuona non solo all'interno dei circoli politici americani, ma anche tra gli alleati e gli avversari di Washington nel mondo, è quanto cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti ci si possa aspettare da una nuova amministrazione repubblicana.

Molti esperti, basandosi sulle audaci dichiarazioni di Trump e della sua squadra in campagna elettorale, suggeriscono che il suo ritorno alla presidenza porterà significativi cambiamenti politici. Tuttavia, anche con una maggioranza repubblicana in entrambe le camere del Congresso (in particolare al Senato, che ha una notevole influenza sulla politica estera), è improbabile che Trump sia in grado di mantenere pienamente le sue promesse in questo settore.

In teoria, il ritorno di Trump alla presidenza avverrà nelle condizioni più favorevoli per l'attuazione del suo programma di politica estera. I repubblicani non solo hanno rafforzato la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, ma hanno anche ripreso il controllo del Senato, che influenza significativamente la politica estera confermando le nomine chiave e ratificando i trattati internazionali.

Le attuali preoccupazioni per i cambiamenti sostanziali in politica estera riecheggiano il primo mandato di Trump, quando le sue dichiarazioni forti erano spesso percepite come cambiamenti di politica, ma alla fine non lo erano. Una volta tornato alla Casa Bianca, Trump dovrebbe reintrodurre il principio “America First” in politica estera, che implica un approccio più pragmatico alle questioni internazionali, ma che non implica necessariamente un cambiamento totale degli obiettivi e delle priorità della politica estera.

Il primo mandato di Trump: Cambiamenti tattici, continuità strategica

Le aspettative di inevitabili cambiamenti radicali nella politica estera statunitense dopo la vittoria di Trump nel 2016 si sono rivelate false. Ad esempio, il repubblicano ha promesso di smantellare la NATO, di costruire legami più stretti con la Russia e di assumere una posizione più dura nei confronti della Cina. Trump ha criticato i Paesi europei per l'insufficiente spesa per la difesa e ha ripetutamente minacciato di ridurre il ruolo degli Stati Uniti nella NATO.

Potrebbe insistere nuovamente affinché i Paesi della NATO aumentino la spesa per la difesa, sottolineando che gli Stati Uniti non dovrebbero sostenere l'onere principale. Questo approccio ha creato tensioni all'interno dell'alleanza e ha portato a una ridistribuzione delle responsabilità, che alla fine ha rafforzato la NATO incoraggiando un maggiore coinvolgimento degli europei nella propria sicurezza.

Trump ha anche espresso il desiderio di stabilire legami più stretti con Mosca, parlando positivamente di Putin e perseguendo un nuovo trattato di controllo degli armamenti nucleari che includa la Cina. Tuttavia, queste ambizioni hanno portato a ulteriori sanzioni contro la Russia e a un aumento degli aiuti all'Ucraina, impedendo un reale miglioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Russia.

Sotto Trump, gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra commerciale attiva con la Cina, hanno limitato la cooperazione nei settori ad alta tecnologia e hanno attuato misure per contrastare l'influenza cinese in Asia e in altre regioni. Tuttavia, questi passi conflittuali sono stati una logica continuazione del contenimento e della strategia del “perno verso l'Asia” avviata dall'amministrazione Obama, e non rientrano quindi nella definizione di un importante cambiamento di politica.

Il caso Ucraina: Calo costante del sostegno

Una delle principali priorità di politica estera del secondo mandato di Trump sarà il conflitto in Ucraina. Durante la sua campagna elettorale, Trump ha sostenuto che, da presidente, avrebbe potuto porre rapidamente fine alla guerra del Paese contro la Russia. Tuttavia, ha anche affermato che non si impegnerà ad aumentare gli aiuti all'Ucraina, insistendo sul fatto che i Paesi europei dovrebbero assumersi maggiori responsabilità per il suo sostegno.

Il rapporto di Trump con la Russia è stato segnato da contraddizioni. Da un lato, ha cercato relazioni più forti con Putin, parlando ripetutamente di lui in termini positivi, definendolo “brillante” e “intelligente”. Nel frattempo, ha condannato l'operazione della Russia in Ucraina, definendola un “enorme errore” da parte di Putin. Questa incoerenza, unita alle dichiarazioni anti-Ucraina dei membri della cerchia ristretta di Trump, ha creato incertezza sulla posizione che Washington assumerà sotto una nuova amministrazione repubblicana.

Si prevede che Trump persegua una risoluzione pacifica del conflitto ucraino, facendo probabilmente leva sulla dipendenza di Kiev dall'assistenza militare ed economica degli Stati Uniti, nonché sulla potenziale cessazione di tale sostegno, come argomento a favore della pace.

Un accordo di pace verrebbe probabilmente raggiunto a condizioni meno favorevoli per l'Ucraina di quanto non lo sarebbe stato un anno fa. Con la situazione sul campo che si sta spostando a favore della Russia, le perdite territoriali dell'Ucraina suggeriscono che le condizioni di una futura pace potrebbero essere più impegnative per Kiev di quanto non lo sarebbero state se i negoziati avessero avuto luogo prima.

Se questo scenario dovesse concretizzarsi, come altri settori chiave, non significherebbe un cambiamento importante nella politica estera degli Stati Uniti.

L'attuale amministrazione Biden ha già mostrato segni di “stanchezza da Ucraina”, ovvero di stanchezza per il costoso sostegno a Kiev. Anche il sentimento pubblico negli Stati Uniti riflette un costante declino del sostegno al mantenimento degli attuali livelli di aiuto all'Ucraina. Anche se ci fosse stata una vittoria democratica alle elezioni presidenziali, con la vittoria di Kamala Harris alla Casa Bianca e il mantenimento del controllo del Congresso da parte dei democratici, il sostegno all'Ucraina avrebbe probabilmente continuato il suo graduale declino.

L'amministrazione Trump potrebbe adottare una strategia incentrata su una risoluzione più pragmatica del conflitto ucraino. Questo approccio combinerebbe probabilmente una riduzione degli aiuti militari con una mediazione diplomatica attiva che, in caso di successo, permetterebbe a Trump di mostrare una “risoluzione effettiva” del conflitto. Tuttavia, per l'Ucraina e i suoi alleati, questa strategia significherebbe aumentare la pressione su Kiev affinché scenda a compromessi, indebolendo potenzialmente la sua posizione nei negoziati e spostando l'equilibrio di potere nella regione.

Il principale fattore limitante: Inerzia istituzionale o Deep State

Il motivo per cui è improbabile un cambiamento radicale nella politica estera degli Stati Uniti risiede nell'inerzia istituzionale del sistema decisionale. La politica estera del Paese è fortemente burocratizzata e non può operare indipendentemente dall'equilibrio di interessi tra i vari gruppi di influenza. Il presidente esercita un potere sostanziale, ma deve tenere conto del Congresso per le decisioni importanti di politica estera. Come in altre aree decisionali, l'influenza dello Stato profondo sulla politica estera rimane significativa.

Al Congresso esiste un consenso bipartisan sulle aree chiave della politica estera americana: contenimento della Russia e della Cina, mantenimento della NATO e sostegno a Israele. Questo consenso consente solo aggiustamenti tattici, pur mantenendo la strategia generale.

Pertanto, un secondo mandato di Trump porterà probabilmente a una politica estera più pragmatica. La sua amministrazione si concentrerà probabilmente su una posizione più dura nei confronti della Cina, su un minore sostegno all'Ucraina, su una ridistribuzione delle responsabilità all'interno della NATO e su un minore coinvolgimento degli Stati Uniti nelle alleanze e negli accordi globali.

Sebbene questi cambiamenti possano apparire significativi, non costituiranno una revisione completa della direzione della politica estera a lungo termine di Washington.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

*Ricercatore in trasferta presso il Laboratorio di geografia politica e geopolitica contemporanea della Scuola superiore di economia di Mosca.

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