Operaio muore a 70 anni sul lavoro. Nella città di Di Vittorio
È successo nella mia Cerignola, il posto dove sono nato, cresciuto, al quale devo tantissimo e che amo più di ogni altro.
È successo nella città di Giuseppe Di Vittorio, nella città che ha dato i natali al sindacalista più importante di sempre: un uomo che veniva dal nulla, che ha visto morire suo padre di fatica nei campi, per poi portare la causa del lavoro ai massimi livelli. Per dare dignità agli ultimi, ai più deboli, a coloro i quali animavano i suoi pensieri mentre scriveva la nostra Costituzione: fondando la Repubblica sul lavoro, sull'idea di un'esistenza libera e dignitosa per tutti, sull'idea di un lavoro per ognuno di noi, sull'idea di un lavoro sicuro, protetto e tutelato.
Oggi, a Cerignola, muore un operaio di settant'anni perché precipita mentre fa il suo lavoro. A settant'anni.
Non è accettabile, non è semplicemente tollerabile un episodio di questo tipo: si dovrebbe fermare il paese dinanzi ad un avvenimento di questa portata. E invece non succede nulla: non accade nulla perché l'Italia intera è zuppa di sangue, di sangue versato sul lavoro da persone innocenti che provano a tirare a campare.
Ci pensi chi ciancia di assistenzialismo, dei meridionali, degli italiani che preferiscono un sussidio pur di stare sul divano a non fare nulla. Oggi in questo paese si muore a settant'anni, da operaio nella città di Di Vittorio.
A Cerignola, che oggi rappresenta il paese intero, si muore di solitudine: costretti a salire su di un cornicione quando i riflessi e le forze non sono più quelli di un tempo, per poi precipitare in un vuoto senza fine, un vuoto incostituzionale, un vuoto che si perpetua, in ognuno di noi.