Nuova Caledonia: le origini della rivolta e la posta in gioco per la Francia
di Leonardo Sinigaglia per l'AntiDiplomatico
Negli ultimi anni il peso geopolitico di Parigi si è notevolmente ridotto, con i possedimenti neocoloniali francesi in Africa travolti da insurrezioni e colpi di Stato indipendentisti. Ciononostante, numerosi paesi ancora si trovano sotto il controllo di Parigi. Tra questi vi è la Nuova Caledonia, o Kanaki, detto in lingua locale: un arcipelago situato a 1210 chilometri ad Est dell’Australia, abitato da 271.000 persone, in stretta maggioranza indigeni locali od oceanici.
Formalmente la Nuova Caledonia è una “collettività francese d’oltremare”, un termine politicamente corretto per definire quei territori che Parigi non ha voluto sottrarre al suo controllo diretto. A questo status di subalternità si è sempre contrapposto il locale movimento indipendentista che, dopo aver condotto lotte sia pacifiche che violente, trovò una prima strutturazione unitaria nel 1984 con la creazione del Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista (FLNKS).
Gli accordi ottenuti con la Francia affinché si tenessero referendum per l'indipendenza portarono negli Anni ‘90 a una certa stabilità, con un reflusso della lotta indipendentista che portò, tra le altre cose, alla separazione dal FLNKS dell'Unione Nazionale per l’Indipendenza.
Il primo referendum, tenutosi nel 2018, diede la vittoria ai “lealisti” francesi con più di dieci punti percentuali a loro favore. Il secondo referendum, tenutosi nell’ottobre 2020, vide la percentuale dei favorevoli all’unione con la metropoli abbassarsi al 53%. Il terzo referendum, previsto per il dicembre 2021, fu boicottato da tutto il movimento indipendentista per il mancato rinvio a causa della condizione straordinaria data dal COVID-19, e vide perciò un’affluenza bassissima. Il progressivo aumento dei consensi per le forze indipendentiste, certificato anche dalle elezioni locali, ha spinto Parigi a una scelta drastica: cercare di modificare le leggi elettorali affinché anche i coloni francesi possano votare lì residenti almeno dal 2014, spostando in maniera determinante a favore dell’Eliseo gli equilibri politici della Nuova Caledonia.
In risposta a questo progetto l’arcipelago è insorto, con disordini di massa e il saccheggio di non trascurabili quantitativi d’armamenti da parte delle forze patriottiche.
Il tentativo della Francia di spostare l’ago della bilancia a suo favore si poggia sull’immigrazione europea, che ad oggi compone circa il 25% degli abitanti locali, al fine di mobilitarla contro la coalizione dei partiti indipendentisti (FLNKS, UNI, Partito Laburista e Liberazione Socialista Kanak), arrivati ad avere 26 seggi al Congresso della Nuova Caledonia contro i 28 dei “lealisti”. Questo estremo tentativo di opporsi all’oggettiva tendenza storica ha portato all’aperta ribellione dei Kanak contro le autorità francesi e le loro milizie coloniali. Si contano ad oggi almeno 6 morti, di cui due militari, in un clima reso ancor più teso dalla dichiarazione di uno stato d’emergenza e dall’invio nell’arcipelago di reparti pesantemente armati della Gendarmeria.
Il controllo sull’isola e la messa all’angolo delle forze indipendentiste non è, ovviamente, fine a se stessa. Nell’arcipelago della Nuova Caledonia si trova il 20-30% delle riserve mondiali di Nichel, un minerale essenziale, tra le altre cose, per le batterie e la preparazione di leghe. Ad occuparsi dell’estrazione del minerale sono le società francesi SLN, Prony Resources e Koniambo, che da mesi lamentano difficoltà a recuperare i propri investimenti anche a causa di frequenti disordini dati dai bassi salari, delle cattive condizioni di lavoro e nell’estrema diseguaglianza del paese, dove la minoranza europea gode di un tenore di vita spropositatamente superiore a quello dei kanaki. Per attirare maggiori investimenti si è ipotizzato di estendere le attività estrattive anche alle regioni settentrionali della Nuova Caledonia, ad alta concentrazione indigena. Da qui la necessità di assicurarsi il controllo politico dell’isola: un’opposizione organizzata degli abitanti potrebbe frustrare i progetti dell’industria del Nichel, costringendo a intervenire su salari, condizioni di lavoro e infrastrutture locali per incrementare la produttività.
Ma la strada seguita da Parigi non può che essere quella dello sfruttamento neocoloniale, incompatibile con lo sviluppo economico e fondato essenzialmente sul saccheggio. La Francia non può permettersi di vedere la propria posizione indebolirsi anche sul fronte Pacifico, strategicamente sempre più importante in vista della guerra contro la Cina, pena il cadere in una posizione di subalternità totale rispetto agli Stati Uniti simile a quella attualmente occupata dalla Germania.