Nicolas Maduro: “Per gli Stati uniti il Venezuela è una ferita che brucia da 200 anni”

Nicolas Maduro: “Per gli Stati uniti il Venezuela è una ferita che brucia da 200 anni”

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di Geraldina Colotti

CARACAS, 1 AGOSTO 2024

 

“Perché tanta violenza mediatica contro il Venezuela”?, chiede il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, ai giornalisti che partecipano alla conferenza stampa internazionale. “Che cosa vi ha fatto, il Venezuela? Perché l'Occidente non accetta la nostra realtà, non accetta che qui c'è un altro mondo, un altro modello? Perché volete scatenare una guerra civile? Quante prove dovremo ancora fornirvi sul fascismo che esiste in Venezuela”? E poi passa a elencare le numerose occasioni in cui i media hanno fatto da apripista alle guerre imperialiste, costruendo o avallando menzogne apposite, come quella delle inesistenti armi di distruzione di massa in Iraq, o aprendo la strada alla distruzione di un paese, come accadde in Libia dopo l'uccisione di Gheddafi.

Quindi, coadiuvato dall'equipe di comunicazione, diretta dal ministro della Comunicazione, Freddy Ñañez, il presidente ha mostrato diversi video delle violenze organizzate dai “commanditos” di Maria Corina Machado e Edmundo González, che non hanno riconosciuto i risultati delle elezioni. Un piano che ha rieditato uno schema tante volte agito dall'estrema destra in Venezuela, e sempre finanziato dai loro padrini nordamericani.

“Per gli Stati uniti il Venezuela è una ferita che brucia da 200 anni”, perché da Bolivar a oggi non sono riusciti a sottometterla per impadronirsi delle sue ricchezze, e hanno messo in atto ogni genere di strategia per distruggere i processi di integrazione regionale. Ai tempi di Bolivar ci sono riusciti grazie al tradimento di Santander. Da allora, altri “Santander” cercano di distruggere la libertà del Venezuela organizzando piani terroristi dalla Colombia.

È andata così anche questa volta, con un di più di intromissione, giacché – ha spiegato Maduro – sono entrati in azione elementi criminali addestrati all'estero e che hanno approfittato dei piani di rientro, organizzati dal governo bolivariano per permettere a chi se n'è andato di tornare in patria. Per questo – ha ricordato – Machado e i suoi hanno insistito tanto su questo tema del rientro di chi se n'era andato in Texas, in Cile, in Perù, in Colombia: paesi di provenienza dei mercenari inviati a bruciare istituti pubblici e proprietà private, a sparare sulla Forza armata e sui militanti.

D'altro canto, per l'estrema destra, non è difficile avere il controllo di questo tipo di popolazione, considerando che per ogni “migrante venezuelano” riceve denaro attraverso le grandi istituzioni internazionali, che hanno alimentato questa politica mediante il racconto della “crisi umanitaria del Venezuela”. E questi mercenari sono entrati in vari stati del paese. Uno di loro, filmato durante le violenze e reo confesso, è stato a fianco del candidato di cartapesta di Machado durante la campagna elettorale.

Dai video e dalle confessioni rese dagli arrestati – prevalentemente sotto effetto di droghe -, che hanno accusato i dirigenti dell'estrema destra di averli pagati con 150 dollari al giorno per seguire le istruzioni destabilizzanti, la partecipazione alle violenze dei criminali del Tren de Aragua, come il pluricercato “Niño Guerrero”, risulta assodata. E, come per caso, “mentre di questo criminale i giornali parlavano quotidianamente, da quando lo hanno fatto rientrare in Venezuela, le notizie sono cessate”. Inutile, quindi, ha aggiunto il presidente, cercare di presentare, come in precedenza, gli autori di queste violenze come soggetti politici, giacché si tratta di criminali comuni, addestrati a pronunciare qualche slogan e sventolare qualche bandiera per confondere le acque. E con che coraggio alcuni organismi internazionali si mettono a difenderli, accusandoci di volerli perseguire. “E dovremmo lasciargli distruggere le istituzioni dello Stato. Come reagirebbero di fronte a questo negli Stati uniti o in Europa”?, ha chiesto il presidente.

L'obiettivo, questa volta, “è stato quello di portare le violenze nei settori popolari”, per far credere che il popolo, soprattutto i giovani (come sono gli arrestati in flagranza di delitto), si siano stufati della rivoluzione bolivariana e stiano lottando “per la libertà”.

Un copione preparato nelle stanze di Washington, ha detto il presidente, riferendo di una riunione “segreta” tra i rappresentanti del governo nordamericano e quelli dell'estrema destra, che vivono nel lusso fuori dal paese. Una riunione animata perché, a quanto sembra, gli Stati uniti non sono più così disposti a firmare assegni in bianco senza ottenere risultati. “Vedremo se vincerà il buonsenso o se continueranno come prima”, ha detto. E ha accusato gli Usa di avere usato un doppio registro – diplomatico in apparenza e golpista sottobanco – anche durante le tornate di dialogo che si sono svolte con il suo governo.

E ha ripetuto ancora la volontà di continuare a tenere aperta la porta del dialogo, ma a parità di condizione, perché la dignità del Venezuela non si negozia. “Siamo in compagnia di grandi paesi, come Cina, Russia, Iran, Siria, Cuba, Nicaragua, Bolivia... e molti altri – ha affermato Maduro – ma il Venezuela è un paese libero, non dipende da nessuno” . E se gli Stati uniti chiudono la porta, hanno tutto da perdere, vista la sete di petrolio a cui li espongono le loro politiche belliche, che hanno spinto tante compagnie internazionali a investire in Venezuela.

Il presidente ha poi respinto con forza i tentativi di riattivare il defunto Gruppo di Lima, e le dichiarazioni interventiste di quanti non hanno riconosciuto le elezioni: compreso il Centro Carter, “che non è più quello dei tempi di Jimmy Carter, ma è caduto in mano a un gruppo, emanazione della Usaid, la cui relazione era già pronta – ha detto – in base al piano già concordato”.

Un piano che intendeva impedire la diffusione a tempo dei risultati, mediante varie azioni di sabotaggio che -ha spiegato il presidente – sono state in parte disinnescate. E qui è entrato nel merito del perché il risultato, comunque irreversibile, è stato reso noto solo per l'80% dei voti e, soprattutto, perché le accuse di frode rivolte dall'opposizione sono pretestuose, funzionali al mantenimento del caos e alla possibilità di un intervento esterno contro il paese. Per questo, l'estrema destra ha cercato di far attivare la Carta democratica all'interno dell'Osa, ma senza esito per mancanza di sostegno.

“E con questi presupposti, questa gente potrebbe dirigere un paese”? Ha chiesto Maduro ricordando anche l'oscuro passato diplomatico di Edmundo González, che ha perseguito i militanti della Teologia della Liberazione quando era di stanza in Salvador. “Dietro l'apparenza dell'innocuo vecchietto – ha detto il presidente – si cela un bieco individuo, responsabile, come la signora Machado di questo tentativo di colpo di Stato, che non resterà impunito”.

Il presidente non si è sottratto alle domande dei giornalisti, prevalentemente interessati a sapere il perché del ritardo nei conteggi. E neanche si sottrarrà – ha affermato – a tutte le verifiche che vorrà fare il massimo organismo deputato a mantenere in equilibrio i cinque poteri dello Stato, il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), a cui la costituzione consente di rivolgersi, in base all'articolo 297, per questo genere di problematiche elettorali. E al quale Maduro ha deciso di rivolgersi

Il Psuv e i partiti del Gran Polo Patriottico – ha annunciato – sono pronti a presentare tutti i riscontri, e possono già presentare il 100% delle schede. E il Tsj pretenderà che anche la destra – che sta millantando di avere i conteggi esatti- faccia altrettanto. Tuttavia, ha chiarito quali sono tutti i passaggi richiesti al Cne che, anche in presenza degli attacchi di cui è stato vittima, li ha scrupolosamente osservati, fermo restando che in un sistema automatizzato, quel che conta è il voto elettronico, che le schede cartacee sono solo ulteriori prove; e che il Cne – vittima di diversi attacchi cibernetici ne quali il presidente vede la mano di Elon Musk - ha comunque 30 giorni di tempo per aggiornare i risultati.

A testimonianza di questo, oltre alle numerose relazioni di giuristi e costituzionalisti, è sceso in campo anche uno dei candidati di destra, José Brito, per ribadire innanzitutto l'impossibilità di frodare un sistema per il cui accesso ogni partito deve mettere una sua password, sconosciuta agli altri. Brito ha raccontato anche la brutta avventura sofferta dai suoi figli, uno dei quali portatore di handicap, sequestrati per ore dall'estrema destra e minacciati di morte. Ha anche sbugiardato il crescendo dei dati falsi forniti dall'estrema destra per creare il caos, e per questo l'intervento di un arbitro super-partes, com'è il Tsj, serve a riportare l'ordine a livello costituzionale.

D'altronde, in altri paesi, come negli Stati uniti, né esiste un'autorità nazionale elettorale, né organismi a cui ricorrere in caso di contestazione dei risultati. E allora perché tanto accanimento contro il Venezuela?, ha chiesto Maduro ai giornalisti, denunciando l'azione concertata del fascismo internazionale, che ha le sue articolazioni in Venezuela. E col fascismo, hanno ribadito in questi giorni i dirigenti del processo bolivariano, non si negozia, lo si combatte. E la rivoluzione bolivariana lo combatterà con tutto il peso della legge.

“Siamo una rivoluzione pacifica, ma armata”, ha ricordato il presidente, e faremo tutti gli sforzi per continuare nel cammino di Chávez. Tuttavia – ha avvertito - se gli attacchi promossi dall'esterno dall'imperialismo non cesserranno, sono pronto a chiamare il popolo a una nuova rivoluzione, con nuove caratteristiche. E il popolo saprà cosa fare”.

Nel frattempo, continuano le mobilitazioni popolari. Dopo la conferenza stampa, siamo rimaste a Miraflores, ad aspettare l'arrivo della manifestazione dei lavoratori e delle lavoratrici, a sostegno del governo bolivariano e contro il fascismo. C'erano sindacati, comuneros, operai di tutti i settori, e militanti del Partito Comunista venezuelano: quello ufficiale, che ha mantenuto il simbolo e gli ideali, e che ha denunciato la deriva di alcuni ex dirigenti che, non solo hanno votato per un candidato dal passato golpista, ma “stanno partecipando alle guarimbas con l'estrema destra”, creando un cortocircuito, simile a quello che esiste in Europa.

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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