Moldavia al voto con l'incognita NATO-majdan

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Moldavia al voto con l'incognita NATO-majdan



di Fabrizio Poggi
 

Sono fissate al 24 febbraio le elezioni parlamentari in Moldavia. A Mosca si teme che, a seconda del risultato, possa aprirsi uno scenario di tipo ucraino. I sondaggi danno infatti come favorito il Partito socialista, cui appartiene l'attuale Presidente della repubblica Igor Dodon, in carica da poco più di due anni. Ora, sono conosciute le posizioni dei socialisti moldavi: timida apertura a Russia e UE, insieme a un'aperta contrarietà alla “rumenizzazione” del paese. Altrettanto nota la posizione USA-UE-NATO: portare l'elettorato moldavo a dividersi nettamente – già di per sé scisso, tra una parte che appoggia il Presidente e un'altra che sostiene il corso euroatlantico del Governo di Pavel Filp targato PDM (Partito Democratico di Moldavia) - in “pro o contro l'occidente”; una linea che ha accompagnato un po' tutte le cosiddette “rivoluzioni colorate” nelle ex Repubbliche sovietiche (ma, come non definire “rivoluzione colorata” anche il decennio eltsiniano in Russia) e che ha avuto il suo culmine nel golpe ucraino.


In caso di vittoria socialista e debacle del PDM del petroliere Vladimir Plahotniuc, il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolaj Patrušev, ipotizza apertamente una majdan moldava, organizzata dai Servizi occidentali con la manovalanza della destra locale, cui far seguire l'impeachment per Dodon. Unico fattore di dissuasione, osserva Patrušev, potrebbe essere costituito dalla presenza del contingente di pace russo in Transnistria: una forza che, non a caso, i circoli di centrodestra moldavi, in accordo coi vertici dell'Alleanza atlantica, insistono da tempo a voler estromettere. Con Bucarest, che da anni non nosconde mire annessionistiche, pronta a qualsiasi scenario: pare che una brigata dell'esercito rumeno stazioni da tempo ai confini con la Moldavia.


In ultimo, a inasprire l'atmosfera, il tentativo – sinora arrestato - del Ministero degli esteri e dell'integrazione europea di richiamare l'ambasciatore a Mosca, con la “motivazione” che i russi hanno liberato dalle mani dei guerriglieri afghani due aviatori moldavi, dopo oltre tre anni di prigionia, senza informare Kišinëv dell'operazione. Lo stesso Ministero sta brigando per indirizzare la scelta di almeno 1/3 di quei 100-150 mila moldavi (il 10% circa dell'elettorato) che votano nei 125 seggi allestiti all'estero, “dirottandone” le preferenze verso il PDM. Del resto, come ha detto in un'intervista il presidente Dodon, “delle 16 o 17 campagne elettorali degli ultimi 10 anni, non ne ricordo nemmeno una pulita”.


La novità del 24 febbraio è che 50 deputati verranno eletti per liste di partito e 51 per circoscrizioni uninominali: una riforma voluta sia dal PDM, sia dai socialisti. Ma c'è una seconda novità, come nota Ilja Kiselëv su Ritmeurasia: per la prima volta il campo filo-occidentale si presenta diviso, con il blocco proeuropeista “ACUM”, composto da “Azione e solidarietà” di Maia Sandu e “Dignità e verità” di Andrei N?stase, che chiede di “liberare il paese dal regime oligarchico” di Plahotnjuc e del PDM, in cui è confluita gran parte degli ex alleati di Partito liberale. Dunque, secondo i sondaggi, i socialisti, oggi all'opposizione, sarebbero dati al 43,4%, il PDM al 17% e ACUM al 14%. Nonostante una malcelata insoddisfazione di Washington e Bruxelles per il potere di Plahotnjuc, data la relativa debolezza di PDM e ACUM presi separatamente, da Ovest si preconizza un'alleanza postelettorale tra i due soggetti, contro i socialisti.


Il sostegno occidentale è apertamente riservato a ACUM e in particolare a “Azione e solidarietà”, in cui è confluita anche buona parte dell'ex Partito liberaldemocratico (un tempo alleato di PDM e PL), insieme a nazionalisti e fautori dell'unione alla Romania e che rappresenta quei settori dell'oligarchia finanziaria in concorrenza con lo strapotere di Plahotnjuc.


Secondo i sondaggi, potrebbero rimaner fuori del Parlamento, tra gli altri, il Partito Nostro (2,3%) e il Partito comunista (2,5%), il cui leader Vladimir Voronin dichiara che la “Moldavia rimane ostaggio degli interessi dell'oligarca Vladimir Plahotniuc, nelle cui mani si è concentrato tutto il potere economico e politico. Continua a influenzare il Parlamento, il governo, la polizia, la magistratura e i media".


E non è ancora escluso del tutto il rischio che il governo PDM possa escludere dalla competizione o il Partito socialista o ACUM; oppure che lo stesso PDM, in caso di sconfitta, non riconosca il risultato elettorale: secondo tutti sondaggi, i socialisti hanno la possibilità di ottenere la maggioranza parlamentare di 51 deputati, mentre il PDM non ha chances di mantenersi da solo al governo. Dodon non esclude quindi che il PDM riconosca solo l'elezione di una settantina di deputati e non dei restanti 30, per cercare di formare una maggioranza non di 51 voti ma di 33-34 deputati. Non a caso, lo stesso 24 febbraio, si terrà anche un referendum - per lo più voluto dal PDM e per cui i comunisti del “Blocco rosso” hanno chiamato al boicottaggio - con due quesiti: il primo riguarda l'assenso o meno a ridurre i parlamentari da 101 a 61; il secondo, se gli elettori possano revocare il mandato a quei deputati che non adempiano i propri doveri.


In tutto questo, non certo di poco conto il ruolo occidentale. Se Igor Dodon rivendica alla sua politica – nonostante la figura essenzialmente rappresentativa del Presidente – un corso internazionale volto alla “neutralità permanente del paese, sull'esempio del Turkmenistan”, ciò non è sicuramente quanto prospettato da UE, USA e NATO. In particolare, l'Alleanza atlantica, dopo l'apertura a Kišinëv dell’ufficio di collegamento nel 2017 (sebbene il paese sia formalmente neutrale, dal 2006 è operativo a Kišinëv un Centro di informazione e Documentazione NATO e opera un Piano di Partnership Individuale NATO-Moldavia, “cerca di avvicinarsi agli standard e alle istituzioni euro-atlantiche”, come recita la pagina ufficiale della NATO. I rapporti con quest'ultima datano dal 1992, allorché la Moldavia si unì al North Atlantic Cooperation Council e poi, nel 1994, al programma Partnership for Peace e nel 1997 al Consiglio di partenariato euro-atlantico. Nel 2006, Kišinëv approvò il piano d'azione per un partenariato individuale biennale, rafforzato con misure specifiche al vertice del 2014 in Galles e ancora nel 2015. Dal 2014 la Moldavia ha preso parte alla KFOR in Kosovo.


Il tutto, grazie alla linea filo-occidentale del governo a guida PDM, cui fa da (molto ineguale) contrappeso il corso di equilibrismo est-ovest del Presidente Dodon, in special modo dopo che la Moldavia è stata il primo paese a ottenere lo status di osservatore nella EAÈS (Unione economica euroasiatica: Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizija, Russia).


Ora, una vittoria elettorale dei socialisti anche a livello parlamentare potrebbe mettere in discussione le alleanze occidentali dell'attuale governo. Le premesse per una majdan non mancano davvero.

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