L'invasione di Israele e il rebus siriano
PICCOLE NOTE
L’euforia dilagata in Occidente dopo la caduta di Assad potrebbe presto seguire la parabola di quella successiva alla caduta di Gheddafi, con il Paese preda di un caos inestricabile e tanti a chiedersi se non si stesse meglio quando si stava peggio.
Né la caduta di Assad ha posto fine ai bombardamenti di Israele, che ne ha effettuati 250, i più massivi dai tempi della guerra aperta. Alle bombe israeliane vanno sommate quelle degli Stati Uniti, che imperversano in Siria più di prima. I primi hanno praticamente devastato l’apparato militare siriano, mentre i secondi hanno dichiarato di aver preso di mira le basi dell’Isis, ma la realtà potrebbe essere diversa.
Israele avanza in territorio siriano
Non solo, l’esercito di Tel Aviv è avanzato ulteriormente in territorio siriano, attestandosi a soli 30 Km da Damasco. Le operazioni militari in questione sarebbero temporanee, a stare alle dichiarazioni di Netanyahu, e motivate da ragioni di autodifesa, con Washington che non ha fatto mancare il suo placet.
Ma in realtà le avvenute conquiste territoriali appaiono provvisoriamente definitive, come è accaduto per le alture del Golan, che Bibi ha dichiarato ormai israeliane per l’eternità (terminologia escatologica usata per blandire i messianici che lo sostengono).
La mossa di Tel Aviv va messa in relazione con il nuovo attivismo delle forze curde che agiscono sotto il controllo americano: Israele ha nei curdi, almeno in una parte importante delle loro tante anime, degli alleati naturali, non per nulla i curdi ne hanno chiesto l’assistenza e la protezione dopo la caduta di Assad (Jerusalem Post). Va da sé che gli americani favoriscono il consolidamento di tale asse, dati i rapporti con Israele.
Allo stesso tempo, i curdi sono avversati da Erdogan, che ne teme le aspirazioni nazionaliste, pulsioni che il caos siriano potrebbe rilanciare. Tale nazionalismo, portato all’estremo, rischia di destabilizzare non poco la Turchia, che potrebbe rischiare addirittura il collasso.
Il senso di Israele per i curdi
Così la discesa in campo ufficiale di Israele nel caos siriano può portare il confronto tra curdi e turchi a un più alto livello, con l’Occidente e Israele a sostenere i primi. Sembra sia proprio questo il primo portato della caduta di Assad. Sulla questione, ad esempio, si è espresso il senatore neocon Lindsey Graham, il quale ha esortato gli Stati Uniti a difendere i curdi a spada tratta, usando del caso anche l’arma delle sanzioni contro la Turchia. Né va dimenticato come il cantore delle guerre infinite, Bernard-Henry Levy, sia da tempo impegnato in favore della causa curda.
Uno sviluppo tutto da seguire, dal momento si tratta di una conflittualità a lungo termine che ha echi anche all’interno della Turchia, dove la minoranza curda subisce discriminazioni.
Ed è la prima grana per Erdogan che finora si è mosso in combinato disposto con Stati Uniti e Israele nello spingere verso il regime-change, nella prospettiva di gestire il Paese confinante. Adesso gli interessi divergono, riducendo i margini di guadagno del suo progetto neo-ottomano, che potrebbe costargli più dei benefici conseguiti.
Tale conflittualità per ora resta sottotraccia, con la Turchia che si è limitata a protestare vibratamente per l’incursione israeliana in Siria, ma è una mina sulla stabilità della Siria e non solo, se si considera che l’eventuale revanscismo curdo eserciterebbe un forte potere attrattivo sul Kurdistan iracheno, che già aveva tentato la via della secessione da Baghdad.
L’Europa chiude le porte ai siriani
In attesa degli sviluppi, le forze islamiste, parte delle quali sono controllate dalla Turchia, si stanno adoperando per dar vita a un governo centrale. Impresa davvero ardua, ma non per questo impossibile. La stabilità dell’area dipende dalla riuscita di tale impresa, che ha il favore dei vecchi alleati di Assad, Iran e Russia, i quali vantano rapporti consolidati con alcuni degli attori siriani.
Nel caos e nell’incertezza, ai cittadini siriani è preclusa la via dell’inclusiva Europa, che ha chiuso loro le frontiere, una via spalancata al tempo di Assad per erodere le risorse umane del Paese.
Ciò impedisce di lasciare il Paese a chi voglia fuggire dal caos incombente. Non sono pochi perché, se è vero che parte della popolazione ha accolto con favore il cambio di guardia al potere, per tanti è l’opposto, anche perché, tra le altre cose, i miliziani stanno svuotando le carceri dove, insieme ai dissidenti, erano stati rinchiusi migliaia di feroci islamisti, tra cui i tagliagole dell’Isis. Non proprio cittadini modello.
Allo stesso tempo, si registrano denunce sul fatto che in Turchia si stanno facendo pressioni sui rifugiati siriani perché tornino in patria: la loro presenza in territorio turco è da tempo tema di confronto politico e sembra che ora c’è chi vuole risolvere la querelle con la forza.
Concludiamo con un’annotazione di colore. Quando cadde Saddam Hussein i neocon, che avevano precipitato il mondo nel tragico tunnel di una guerra del tutto illegittima contro l’Iraq, pensavano di aver vinto e di poter creare un’entità statale antagonista all’Iran, che servisse da base per destabilizzare l’odiato nemico. Non è andata come speravano, anzi Baghdad è più che mai interconnessa con Teheran. Promemoria che può voler dire tutto o niente, ma che è utile tenere a mente.