Liceo Michelangiolo di Firenze e quei borghesi piccoli piccoli del Corriere
Lanciando la volata, con un paio di giorni d'anticipo, al “manifesto ideologico” ministeriale sui fatti del liceo “Michelangiolo” a Firenze, la redazione locale del Corriere della Sera si era distinta nel tipico lavoro da gregario del regime, che ha sempre contraddistinto quel giornale: che si trattasse dell'entrata in guerra a fianco dell'Intesa, che magnificasse le “glorie” italiche «dalle Alpi all'Oceano indiano», che tuonasse contro “tutti gli estremismi”.
Sempre e comunque megafono della grande borghesia, anche quando questa decideva che la data compagine di governo non rispondesse più agli interessi del capitalismo e dovesse sgombrare. Il Corriere della Sera ha sempre parlato con la voce del grosso capitale.
Per i fatti del “Michelangiolo” c'è una differenza: a parlare è stata la piccola-borghesia, quella che, per la propria natura di classe, si è sempre messa al carro della classe dominante.
Quella piccola-borghesia che, davvero, per dirla con le parole della Preside del “Leonardo da Vinci”, ha concimato il terreno in cui «la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti». Quella piccola-borghesia che ha costituito la manovalanza, insieme al sottoproletariato dei piccoli centri toscani, prona agli ordini di nobili e grossi proprietari terrieri delle campagne senesi, fiorentine, grossetane. Quella piccola borghesia che ha costituito la «base di massa del fascismo».
Leggendo con forte mal di stomaco quel «Lasciate le nostre bandiere nella discarica della storia», è difficile non pensare al ruolo di quella piccola-borghesia e di quei suoi giannizzeri che si sono sentiti «precipitati negli anni Settanta. I comunisti, i fascisti, le botte, gli agguati, i pestaggi, gli occhi neri, i collettivi, le bandiere rosse, le bandiere nere, i volantini (ciclostilati)».
In omaggio al teorema degli “opposti estremismi”, per il Corriere non c'è differenza tra chi le botte le tira, tra chi organizza gli agguati e i pestaggi, e le vittime: colpevoli sono tutti “gli estremisti”; e anzi, le bandiere rosse vengono prima, in quelle violenze, delle bandiere nere, proprio come al tempo di «Chi ha più di sessant’anni» e oggi si batte il petto per aver avuto «la convinzione che qualcosa potesse cambiare. In meglio».
Eccolo il piccolo-borghese, che oggi impartisce la “lezione”: «Ma oggi che senso ha?».
Oggi è “antistorico” tornare alle «stesse parole, gli stessi gesti, la stessa violenza in un mondo che nel frattempo ha cancellato tutto: l’Unione Sovietica è crollata col fallimento economico del comunismo, dei gulag, le stragi di intere popolazioni, Mussolini è sepolto dalle macerie dell’Italia in guerra e dall’infamia delle leggi razziali». Ormai non è più tempo di queste cose, predica il piccolo-borghese in veste di giornalista; e poi, assicura, lanciando i due assiomi “veri di per sé”, il comunismo è “fallito economicamente” ed è “crollato coi gulag”, mentre il fascismo solo per la guerra e le leggi razziali. Ah, se il duce non fosse entrato in guerra: il tipico lamento di chi col fascismo, in fondo, ci si trovava bene, perché, a suon di assassinii, stragi, bastonature, galere, incendi e distruzioni di Case operaie, confino, aveva dato una sonora lezione ai mezzadri, ai braccianti, agli operai e a quei bolscevichi che li sobillavano.
Eccolo il piccolo-borghese che storce appena la bocca per adeguarsi alla moda che oggi condanna le leggi razziali: guerra e leggi razziali, che però non erano farina del duce, bisognava far contento l'alleato germanico; se non ci fossero state quelle due pecche, si poteva rimanere tranquilli, “l'uomo perbene”, che non pensa ai “collettivi, alle bandiere rosse”, non aveva nulla da temere.
Che differenza c'è tra questi sospiri da filisteo e il neofascista vero, quello che non ha paura di nascondersi, perché sa di avere le spalle coperte e dunque tuona su «I novanta milioni di morti generati nel mondo dal comunismo, le foibe, le sanguinarie repressioni di Praga e Budapest»?
Che differenza c'è con un ministro che, con tono da “padre di famiglia”, assicura che «in Italia non c'è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c'è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il nazismo o con il fascismo» e dunque si devono mandare le armi perché là si “difendono le frontiere” e se si sventolano denti di lupo e svastiche è solo per goliardia.
Dunque, scuote la testa il piccolo-borghese, «le bandiere che sventolano sono quelle stracciate dalla Storia (quella vera).
Colpa anche nostra, di noi adulti. Ce ne sono troppi che ancora sventolano il rosso e il nero, i busti e le falci e martelli, nostalgie pericolose».
Ragazzi, lasciate stare, quelli non erano fascisti, sembra dire il Corriere, che “senso ha seguire quelle bandiere”, ma soprattutto quella rossa, che viene sempre prima di quella nera nelle «botte, gli agguati, i pestaggi».
Lasciate stare, perché «Oggi siamo tutti liquidi» e addirittura «votiamo serenamente una parte e l’altra. Renzi, Salvini e Meloni»: gli unici degni, a detta del Corriere, di esser votati. E infatti i risultati del voto “danno ragione” al Corriere e non certo a quei ragazzi, «i ragazzi di oggi, [che] neanche votano», perché «non hanno valori, non hanno speranze, non hanno futuro». Come no! Li hanno visti, al Corriere, i ragazzi che a migliaia, martedì scorso, hanno sfilato a Firenze con le bandiere rosse e gli striscioni antifascisti? Non “hanno valori”: non hanno i “valori” del Corriere della Sera e della piccola-borghesia che alimenta il terreno su cui i fascisti dichiarati si sentono al sicuro di scorrazzare e bastonare gli antifascisti; il terreno che ha fatto sì, come ha scritto l'ANPI, che «i gruppi del neofascismo hanno costruito una presenza forte e radicata dentro tutte le istituzioni, dai quartieri alla regione».
Leggendo, con forte mal di stomaco, quelle orazioni filistee del Corriere, mi sono ricordato dell'aneddoto con cui Stalin chiudeva il Breve corso della storia del VKP(B): l'aneddoto del gigante Anteo, sconfitto da Ercole quando questi riuscì a strangolarlo impedendogli di toccare la sua madre terra, da cui il gigante riacquistava sempre forza. Stalin diceva che i bolscevichi erano come Anteo: perdevano ogni forza se si staccavano dalla classe operaia, dalle masse popolari e allora potevano venire battuti dai nemici di classe.
Se si applica il mito di Anteo ai fascisti, si può dire che essi, al servizio del grande capitale che li finanzia e ricorre al loro utilizzo quando ogni altro metodo “democratico” non appare più efficace, acquistino nuovamente forza toccando il terreno macero, le concimaie, i cumuli di letamai di tutta la piccola-borghesia indifferente, “equidistante”, che del fascismo rifugge appena le leggi razziali, che non vede altro che «le botte, gli agguati, i pestaggi, gli occhi neri», mentre storce la bocca di fronte all'antifascismo di migliaia e migliaia di giovani.