L'astensionismo da rassegnazione e la pesca verticale

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L'astensionismo da rassegnazione e la pesca verticale

 

di Marco Vadrucci

Dopo il referendum sono state avanzate numerosissime spiegazioni, più o meno credibili, per spiegare il mancato raggiungimento del quorum. Mi pare però che una cosa non sia stata detta, o forse è stata detta ma non l’ho trovata io, ed è stata quella dell’astensionismo che io chiamerei di rassegnazione. Avendo parlato con una manciata di conoscenti astensionisti, che ovviamente non sono un campione rappresentativo ma che forse esprimono un’idea piuttosto diffusa, c’è una categoria di astensione diversa sia dall’astensione da disinteresse (“non sono temi per cui vale la pena di perdere una giornata di mare”), sia dall’astensione punitiva (“se il PD vuole il successo del referendum io voglio che fallisca”), sia dall’astensione di diffidenza (“mi fido così poco che se dicono di votare sì allora dev’esserci sotto un inganno”).

È un meccanismo che può essere spiegato con l’esempio della pesca verticale, quella macchina per bambini in cui si inserisce la moneta per avere la possibilità di afferrare con una pinza un peluche. I bambini perdono interesse in questo tipo di giostra quando capiscono, o quando qualcuno dice loro, che il modo in cui manovrano leva e bottone non influisce sul risultato finale della pesca.

Allo stesso modo, mi sembra, una parte della popolazione italiana si è convinta (a ragione? a torto? un po’ e un po’? Ognuno scelga la sua, non è questo il punto) che i famosi sistemi di pesi e contrappesi, i trattati internazionali, le istituzioni europee, il vincolo esterno, i mercati, la corte costituzionale, i TAR e chi più ne ha più ne metta siano tutti sistemi che convergono, intenzionalmente o casualmente che sia, nel produrre una vanificazione del processo di voto. In altre parole, una parte almeno dei lavoratori non si sarebbe astenuta perché pensa che tanto non potrebbe essere licenziata ingiustamente, o perché pensa che modificare le regole sul licenziamento senza giusta causa non valga la pena di 15 minuti al seggio, o perché vuole fare il dispetto al PD, ma perché riterrebbe che tanto pure se i referendum fossero passati un qualche modo per non cambiare niente lo si sarebbe trovato, e alla peggio dopo un po’ di tempo qualche parlamentare avrebbe preso la legge abrogata, l’avrebbe fatta riscrivere con altre parole da ChatGPT e l’avrebbe ripresentata in parlamento, dove sarebbe stata approvata.

Ora, io già immagino molti, probabilmente non tra i lettori ma sicuramente in certi ambienti, che se leggessero questa ricostruzione direbbero: “Non capisci! Non è così che funzionano le istituzioni!” “Non capisci! Il vincolo esterno è per il bene degli elettori!” “Ragionare così non giustifica l’astensione, perché anche se le cose stessero davvero così astenendosi non cambierà mai nulla!” eccetera eccetera. Tempo perso: chi scrive è andato a votare e ha ritirato tutte le schede, il problema è che non sono io che devo essere convinto, bensì quelli che non hanno votato e che, se dovessi azzardare previsioni, davanti alle obiezioni sopra riportate farebbero spallucce e risponderebbero: “Sì ok, va bene, bravo, ciao”, perché se c’è una cosa più insensata di giocare ad un gioco truccato è discutere con prova a convincerti che il gioco non è truccato, o peggio ancora che sì, è truccato, ma per il tuo bene. Io mi limito a riportare una delle possibili concause dell’astensionismo che mi sembra non sia stata esaminata abbastanza in questi giorni: ambasciator non porta pena.

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