La “translatio” dell’antifascismo: da Occidente a Oriente

Ciò che resta ad Occidente è un antifascismo di maniera, sganciato dalle sue radici storiche, e ridotto ad “instrumentum regni” dell’imperialismo: ad essere sussunto nella categoria di “fascismo” (o di “hitlerismo”) è ormai ogni governo che resiste ai progetti di dominio mondiale coltivati a Washington e trasmessi all'Unione europea.

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La “translatio” dell’antifascismo: da Occidente a Oriente

 

Con il concetto di "translatio imperii", soprattutto in ambito di storia e studio medievali, si indica solitamente la traslazione dell'impero (dell'eredità di quello romano) da oriente ad occidente, a partire dall'incoronazione di Carlo Magno da parte di papa Leone III nell'800. In ambito laico, soprattutto al tempo della casata degli Svevi, faceva dell'imperatore germanico il successore, con pienezza di poteri, di quelli romani. Una rivendicazione dalle alterne fortune e che indicava più una titolarità formale che effettiva: si preparava ormai il terreno per i grandi regni "nazionali" e le signorie locali.

Potreste chiedermi cosa c'entra questo brevissimo cappello introduttivo medievale con un presente in profonda ebollizione e in piena guerra mondiale a pezzi? Serve, con i limiti di ogni analogia storica, per comprendere come un concetto (e prassi) radicale e profondamente sentito come quello dell'"antifascismo" abbia subito anch'esso un processo di "translatio"  sebbene in senso contrario, da Occidente - dove è stato alla base delle avanzatissime Costituzioni del Dopoguerra - ad Oriente. Laddove l'Occidente si impose con la pratica coloniale e imperialista, la lotta antifascista si annodò inestricabilmente con quella della liberazione nazionale, spesso contro potenze che avevano partecipato allo sforzo bellico contro il nazismo.

Da anni ormai l’assenza di rappresentanti di Paesi occidentali alla parata di Mosca per la celebrazione della vittoria sulla Germania nazista ha un chiaro significato, coerente con l’appoggio al golpe ucraino, il sostegno aperto al primo governo europeo che rivendica le radici del collaborazionismo (quello ucraino), la revisione in senso sempre più autoritario delle costituzioni, e con ormai una trentina d'anni di aggressioni militari unilaterali (con annessi embarghi genocidi). Per non parlare dell'effettivo appoggio militare e politico alla eliminazione fisica della questione palestinese: Unione Europea e Stati Uniti hanno definitivamente abbandonato l’antinazismo/antifascismo come riferimento della loro azione politica.

Il significato ancora più chiaro è che il riferimento all'antifascismo (che coincide con la liberazione nazionale e la nascita di una democrazia internazionale) guida ora l’emergere (o il riemergere) progressivo sulla scena internazionale di Paesi come la Cina, la Russia, vittime sia dei progetti di dominio del colonialismo occidentale che di quelli di schiavizzazione messi in campo dalla Germania nazista e dall’alleato giapponese.

Non può quindi sorprendere la pervasività dell’operazione, in atto da tempo, di riduzione del ruolo decisivo svolto dall’Urss e dai comunisti cinesi per la vittoria nel secondo conflitto mondiale, sia sul fronte occidentale che su quello asiatico. Va cancellato dalla memoria collettiva uno dei risultati di quel contributo di sangue “rosso”: l’accelerazione dei processi di liberazione nazionale in Asia come in Africa, il riconoscimento del diritto alla vita e allo sviluppo sociale ed economico a sterminate masse. Nell'incontro svoltosi alla vigilia delle cerimonia in Piazza Rossa a Mosca, Putin e Xi Jinping hanno sottolineato, in memoria del sacrificio immane patito dai due popoli durante le criminali occupazioni nazista e nipponica, il "contributo storico straordinario al mantenimento della pace mondiale e alla causa del progresso umano". L'antifascismo oggi, nella sua radicalità, non può limitarsi ai confini nazionali ma deve rispondere alla richiesta di maggiore equità e giustizia internazionali.

Ciò che resta ad Occidente è un antifascismo di maniera, sganciato dalle sue radici storiche, e ridotto ad “instrumentum regni” dell’imperialismo: ad essere sussunto nella categoria di “fascismo” (o di “hitlerismo”) è ormai ogni governo che resiste ai progetti di dominio mondiale coltivati a Washington e trasmessi all'Unione europea.

La denuncia di un simile ed ingannatore “antifascismo atlantico”, ornato di retorici orpelli sempre meno credibili, è un dovere per chi ha a cuore la pace, il dialogo tra le civiltà e la democratizzazione delle relazioni internazionali.

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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