La rivolta sociale che non c'è

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La rivolta sociale che non c'è

 

di Giuseppe Giannini

La propaganda dei media del potere appare turbata dalle parole del segretario della CGIL Landini. Il quale, avrà anche mire politiche, ma di sicuro è più mansueto rispetto a quanto capeggiava la FIOM.

I partiti al governo, gli accoliti, e le pseudo opposizioni, fingono di essere preoccupati dalla presenza del "sobillatore" che vuol spronare le coscienze. Da un lato le tv della destra con gli onnipresenti provocatori seriali cercano, in tutti  i modi, di esasperare il clima. In particolare Rete 4 è famosa per i suoi talk dove l'attacco spropositato è rivolto a chi cerca di evidenziare il disagio sociale ( la Salis è la vittima preferita). Le proteste nelle periferie delle nostre città, da parte di migranti e centri sociali rappresentano l'occasione per trattare le questioni dal punto di vista dell'ordine pubblico, rimuovendo, volutamente, le cause. Il fine è quello di distrarre gli ascoltatori. Dall'altra, il mondo liberal (dal PD al Corriere della Sera per intenderci) espressione della classe agiata non tollera il dissenso verso le élite. Eppure c'è un Paese impoverito (il 10%); la classe media è evaporata; e gli sfratti per morosità incolpevole sono una costante.

La produzione industriale è ferma da oltre un anno e  mezzo. Interi comparti attendono i rinnovi contrattuali.

I tagli lineari previsti nella legge di bilancio vanno a colpire, tra gli altri, la sanità e la scuola. Le banche ricevono i soliti favori. La stagione dei bonus per abbindolare il popolino non è mai finita. E per le pensioni minime  l'incremento sarà di ben 3 euro! Mentre il governo snocciola dati a sé stanti ( sulla occupazione), la salita dei costi energetici (dovuti alla pandemia, alle guerre globali ed alle speculazioni) e della spesa alimentare fra i tanti impattono soprattutto sui ceti medio-bassi.

Accomunata dalla sudditanza verso il capitale globale, esecutrice dell'imperialismo di guerra, questa classe partitica diventata professione il massimo di sociale che conosce sono le promesse, poi tradite, durante la campagne elettorali.

Di certo l'Italia dagli anni zero è lontanissima parente del conflitto sociale ( e del fermento culturale) esploso negli anni' 60 e '70. Decenni di lotte, anche armate nello (e dallo) Stato, che hanno prodotto decisivi miglioramenti: lo Statuto dei diritti dei lavoratori, la scala mobile e la legge sull'equo canone. Progressi conseguenti a rivendicazioni dal basso, concessioni necessitate dalla questione sociale. E la classe lavoratrice è sempre stata in prima linea. Gli operai, il sindacalismo di base, l'internazionalismo, che sin dagli albori del '900 portò a conquiste determinanti: la regolazione e riduzione dell'orario di lavoro, il riconoscimento della previdenza.

Il clima teso di oggi è completamente diverso da quel periodo.  Basti pensare che nell'Italia democristiana era presente il PCI, che vantava milioni di iscritti,  e tante organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Il lavoro regolare non conosceva il precariato eppure vi erano contestazioni violente. Militanti della galassia rivoluzionaria procedevano a sequestri e gambizzazioni. Tra spinte radicali, tendenti al superamento dell'alienazione, e settori conservatori in cerca della svolta autoritaria che potesse accontentare lo status quo – le gerarchie ecclesiastiche, i fascisti, i servizi deviati, gli atlantisti. Contrapposizioni che sfociarono nella cd. strategia della tensione. Ci furono battaglie urbane, scontri, e morti. Stragi di Stato e il terrorismo. Dagli anni '80 in poi il Paese riappacificato dai governi della continuità, intravedeva all'orizzonte il vento del cambiamento.

L'illusione del miglioramento impersonificato dai governi della democrazia capitalistica. E che nei decenni seguenti ha prodotto mutamenti strutturali e danni. L'involuzione del conflitto, la scomparsa della classe operaia, il dogma liberista come ideologia unica dopo il crollo (fomentato) delle ideologie classiche. Ed infine la caduta del welfare state.  L'ultimo quarto di secolo ha decisamente peggiorato le aspettative di vita. E, se non bastasse, ecco che dal 2008 in poi le policrisi dell'economia di guerra hanno ulteriormente aggravato le condizioni.

Quindi, la realtà conflittuale, purtroppo, nella sua drammaticità, è meno interessante di quanto dovrebbe essere. Nonostante decenni di politiche liberiste lacrime e sangue, l'impoverimento generalizzato, e la scomparsa dei soggetti storici della rappresentanza di classe ( i partiti di sinistra ed il sindacato), convertiti alla ratifica acritica di quelle politiche, oggi scontiamo la totale assenza del protagonismo numerico e qualitativo, che nel secolo scorso, dentro e soprattutto al di fuori delle istituzioni è riuscito a contenere lo strapotere del capitalismo. Per tali motivi è quanto mai necessario il conflitto.

Gli episodi di protesta, le manifestazioni e gli scioperi, tutti importanti, però non sono in grado di competere a livello di diffusione con le analoghe iniziative e le dimensioni assunte altrove dai  movimenti della contestazione.

Ad esempio, se la Spagna e la Francia hanno visto gli Indignados e i Gillet gialli, noi non siamo andati oltre i Forconi e le Sardine. E' pur vero che esistono importanti movimenti transgenerazionali e transnazionali (No TAV e contro le grandi opere, Non Una di Meno, Extinction Rebellion ecc.), il sindacalismo di base e le molteplici iniziative che partono dal basso e che mettono al centro il lavoro, la casa, i diritti. Nella loro varietà rimangono comunque isolati ed incapaci a farsi movimento di massa (come lo erano le tante sigle radicali degli anni '60 e '70 o il Movimento No Global degli anni '90).

Cosi come non è possibile percepire un partito, che si faccia portavoce di quelle istanze alla pari di Podemos, France Insoumise o BSW. Sia chiaro, le differenze tra questi sono evidenti, alcuni immersi nella "ragione populista", altri che spingono verso l'emancipazione dal compromesso con il capitale. E, sebbene la loro lotta avviene all'interno delle istituzioni borghesi, hanno quanto meno quel grado di appeal in grado di mobilitare gli iscritti, facendo presa sul resto della cittadinanza.

Da noi invece, vista la distanza degli eredi della sinistra, in tanti lavoratori hanno appoggiato le destre intolleranti. E continuano a farlo malgrado le ruberie, gli scandali,e i favori alle rendite. E' il segno dell'individualismo, di chi guarda al proprio orticello invece di fare fronte comune. In Italia alcuni partiti tendenzialmente di sinistra hanno fatto delle ambiguità la loro storia.

Non prendendo in considerazione il pds-ds-pd, che al pari di laburisti inglesi, socialisti francesi, e socialdemocratici tedeschi, hanno scelto da lungo tempo di convertirsi al mercantilismo di ogni specie, altri come SEL-Sinistra Italiana, sono più preoccupati di salvaguardare il loro spazio, andando spesso a braccetto nei cartelli elettorali con il pd. I Cinque Stelle da movimento-partito aziendale gestito dal guru se all'inizio era riuscito a canalizzare il malcontento popolare, trainando però la protesta su terreni più affini all'astrattezza della legalità (la componente di destra), e facendo proprie idee tipiche della estrema sinistra (il reddito di cittadinanza, la democrazia diretta) sia pur declinate in maniera qualunquistica, ha dimostrato con i troppi cambiamenti sulle alleanze e le prese di posizione, di muoversi più che altro in senso strategico (la gestione Conte). E poi ci sono gli altri partiti di sinistra fuori dal Parlamento da circa venti anni (Rifondazione), con una risicatissima espressione (PAP), e mille facce  (la versione "rossobruna" del comunismo di  Rizzo).

Lo stesso discorso può essere fatto verso i grossi sindacati confederali preoccupati di tutelare i garantiti del ramo pubblico e culturalmente distanti dal percepire il ripensamento del mondo del lavoro. Essi vanno avanti con slogan che sembrano appartenere ad altre epoche, e con colpevole ritardo hanno messo sul piatto la questione del precariato. Che è diventato normalità dagli anni '90 tanto quanto le nuove schiavitù, che una economia globalizzata e deregolamentizzata produce in continuazione.

Allora, invocare eufemisticamente la rivolta è una urgenza che non si può più rimandare. Non è di certo il Palazzo d'Inverno che va assalito, anche se altrove, i settori reazionari c'hanno provato (i seguaci di Trump). Il senso deve essere quello di chiamare alla partecipazione per far recuperare la coscienza civile e di classe troppo spesso calpestata dai detentori del potere, liberale e conservatore, le cui differenze sostanziali in riferimento alle manovre economiche sono davvero minime.

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