di Federico Giusti
I Caf e i centri studi dovrebbero offrire simulazioni pratiche e spunti critici sulle Leggi di Bilancio, ad esempio mostrare quali siano le effettive privazioni subite dai poveri assoluti e da quelli relativi. I dati statistici sono efficaci per quanti vogliano indagare dei fenomeni ma l'attenzione della opinione pubblica si cattura solo con riferimenti immediati, efficaci e crudi da resistere all'oblio.
Un povero relativo deve stringere la cinghia, risparmiare sulle spese sanitarie privilegiando le bollette, il mutuo o il canone di locazione, rinuncia all'istruzione (che sia un libro o un teatro, se poi è in pensione potrà accedere a una biblioteca per i prestiti di testi), il povero relativo calcola quale mezzo sia più conveniente per recarsi al lavoro, se deve iscrivere i figli in palestra riserverà grande attenzione alla scelta dello sport e del luogo per far coincidere impegni e non accrescere le spese. Sono esempi pratici, uno specchio nel quale molti di noi, incluso chi scrive, si è riflettuto in presenza di un solo reddito familiare, tagliando le uscite del sabato sera per onorare il debito con le banche
Un libro andrebbe scritto, parlare della vita agra di chi non arriva in fondo al mese, costretto ai salti mortali per assicurare una vita dignitosa a sè stesso e al proprio nucleo familiare, tuttavia dubitiamo esistano editori disposti a farlo.
Molti lavoratori e lavoratrici vedono i salari perdere potere di acquisto, nonostante i rinnovi contrattuali, i passaggi di livello vedono con preoccupazione e sofferenza le ultime due settimane del mese prima del fatidico giorno di riscossione.
Con alcuni di loro siamo andati alla ricerca di dati, simulazioni, esempi pratici. Ad esempio i ticket restaurant di numerosi enti pubblici, aggiudicati dopo una gara Consip, vengono spesi in alcuni ipermercati perchè rifiutati dai bar e ristoranti limitrofi ai posti di lavoro che lamentano condizioni capestro e costi eccessivi. E allora prepararsi il pranzo a casa ci riporta indietro di 60 anni, ai nostri nonni e ai loro sacrifici senza dimenticare dei 7 euro di ticket fermi da un decennio per decreto legge.
Se perfino la Pubblica amministrazione è incapace di intervenire su questioni elementari come i buoni pasto immaginiamoci davanti a problemi maggiori quale risposta potrà arrivare.
Dieci milioni i lavoratori italiani che non vedranno un euro in busta paga derivante dalla manovra di Bilancio del governo Meloni, eppure le dichiarazioni di intenti erano diametralmente opposte. Parliamo dei redditi medio-bassi , di chi sta sotto i 28 mila euro l’anno, per gli altri che invece superano questa cifra arriveranno pochi euro al mese. Il taglio Irpef riguarda solo chi ha almeno 28 mila euro di reddito, ma i maggiori vantaggi arriveranno a quanti percepiscono oltre 50 mila euro annui. Ma non doveva essere una manovra per restituire dignità ai salari della classe popolare e di quella media? Forse dovremmo intenderci su cosa sia oggi la classe popolare, a fronte di milioni di poveri accertati dall'Istat , e definire al contempo la classe media vista la grande confusione regnante.
Fatti due conti in Italia ci sono quasi 16 milioni di lavoratori dipendenti sotto i 28 mila euro , se consideriamo le loro famiglie possiamo parlare di un terzo della popolazione italiana, ebbene questi 16 milioni, o quasi sono esclusi dalla riforma Irpef che riduce al 33% l’aliquota per i redditi compresi tra 28 mila e 50 mila euro.
Irpef offre invece vantaggi ai redditi più alti mentre una manovra fiscale dovrebbe scegliere opzioni di sostanziale equilibrio, se vogliamo di equità e ridistribuzione sociale.
Quanti hanno un reddito annuo attorno a 30 mila euro prenderanno circa 3 euro al mese, insomma se prendiamo in esame riforma Irpef e riduzione delle tasse sul salario accessorio i benefici saranno assai contenuti e di gran lunga inferiori al potere di acquisto perduto da anni di erosione. Far quadrare i conti non è cosa facile specie se hai scelto in partenza di sostituirti alle imprese salvandole dall'onere di corrispondere salari dignitosi, con questa premessa la strada si presenta impervia e in salita, raggiungere il traguardo dell'equità (parlare di uguaglianza sarebbe fin troppo arduo) sociale diventa impossibile.
La tassazione al 5% degli aumenti salariali avrà benefici contenuti in busta paga senza dimenticare che ben presto il welfare ci presenterà il conto sotto forma di servizi tagliati, di mancate assunzioni in sanità e nella scuola. Si parla di quasi 150 euro di benefici all'anno, una dozzina di euro al mese, più o meno quanto la miseria della indennità di vacanza contrattuale. Ma se i salari percepiti saranno bassi , anche i soldi in busta paga diminuiranno ulteriormente.
Riflettiamo poi sulla maggiorazione del lavoro notturno o festivo, per avere qualche beneficio dovremo lavorare in orari disagiati, la logica in fondo è sempre la stessa ossia aumenti irrisori e legati all'aumento della produttività escludendo al contempo una buona parte della forza lavoro, quelli della ristorazione e del turismo che già beneficia del bonus del 15% sugli straordinari.
Bisogna poi ricordare una caratteristica di queste misure di detassazione: il rischio è che, nel medio termine, non portino vantaggi ai lavoratori ma alle imprese. E paradossalmente gli aumenti in busta paga, i pochi che siano, deriveranno dalle misura fiscali e dai soldi dello Stato attraverso gli sgravi fiscali.
Non solo parliamo di cifre ridicole ma anche di uno Stato senza bussola di orientamento, disponibile a sacrificare il proprio welfare, con il plauso dei sindacati rappresentativi o di buona parte degli stessi, a cui mancheranno presto risorse economiche.
E non veniteci a raccontare che gli aiuti pubblici favoriranno i rinnovi contrattuali, anche la indennità di vacanza contrattuale in teoria doveva servire alla stipula degli accordi nei tempi previsti ma vista la irrisorietà delle cifre ai datori conviene rinnovare un contratto con anni di ritardo.
La manovra del Governo prevede che sia lo stato a pagare al posto delle imprese, lascia fuori dai benefici fiscali milioni di lavoratori e lavoratrici, taglia le tasse sui salari per vendere l'illusione degli aumenti. Quanto potrà durare questo bluff?
E' sufficiente far arrivare ai redditi da 30 mila euro 40 euro all'anno e a quelli che arrivano a 220 mila euro 400 euro ? Dove sta il principio della equità sociale? E poi sono cifre tali da farci credere che verrà accresciuto il potere di acquisto?
Se tra i redditi medio-bassi aumentano i poveri relativi, è possibile asserire che gli stessi abbiano già beneficiato di fin troppi aiuti come il taglio del cuneo fiscale? Quali sono allora gli interessi tutelati dal Governo Meloni? Senza dubbio non la tutela delle classi popolari e di quella media.
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