La guerra di Bergoglio
di Carla Filosa
Dire due parole sulla morte di questo papa sembra opportuno per il ruolo che ha svolto in questi 12 anni di pontificato nel mondo intero.
Il ricordo di questo papa lo rivolgiamo a credenti e non credenti, ovvero proviamo a fare una riflessione come ci sembra che lui abbia indicato, nella concezione di un’umanità priva di distinzioni, di appartenenze fittizie, o confini etnici, religiosi, statali, mentre altri, che magari governano, ne promuovono una sprovvista di solidarietà e senso comunitario.
Proprio come l’ultima sua apparizione in san Pietro, nella benedizione del giorno di Pasqua, senza risparmio per sé stesso nella conclusione di una vita spesa per una umanità che si riconosca come tale e non nell’alienazione di questa organizzazione sociale dominata dal denaro, intrinsecamente costretto alla distruzione bellica ricorrente. Ma questo denaro Bergoglio ha saputo riconoscerlo quando si è scagliato contro il sistema di capitale – certo in un linguaggio non così riconoscibile, ma mediato da termini religiosi inequivocabili – indicando in questo la causa delle esclusioni e della povertà, o impoverimento deliberato.
Se riusciamo a fuoriuscire da questo trito linguaggio di “ricchi e poveri” che contrappone l’umanità senza indicarne la causa oggettiva e operante, linguaggio usato necessariamente anche da questo papa, ma entriamo nello spirito con cui i poveri sono sempre stati il fondamento della sua cura e attenzione, capiamo allora che sostenere i più miseri, gli ultimi, gli “scarti” umani, i senza diritti, i disabili, era un combattere per un’uguaglianza umana già posta come realtà imprescindibile. E questa realtà, come ostacolo non rimovibile, Bergoglio l’ha ribadita nel dissenso e nella riprovazione per l’ultimo governo Usa, che ha cancellato gli aiuti internazionali ai paesi più impoveriti del mondo, oltre a quelli destinati alle chiese americane che maggiormente sostenevano i migranti, da negare anch’essi.
Quando sin da subito è stato accusato di comunismo, da cui si è distanziato rivendicando la priorità del Vangelo, dell’insegnamento di Cristo, come guida del suo indicare il cammino della chiesa, effettivamente chiamata a fuoriuscire dalle sue mura anguste e aiutare la società in tutte le forme dell’inclusione, l’accusa aveva ben individuato il pericolo di un intervento nelle coscienze non più di assopimento, ma di risveglio di una dignità ferita dall’oppressione dello sfruttamento senza più limite.
Coscienze che avrebbero potuto raggiungere, unitamente alla difesa dell’ambiente peraltro ribadito e condiviso anche ultimamente con la visita dei reali britannici, un consapevole livello di difesa delle proprie vite ora in ostaggio di poteri che sacrificano quote sempre maggiori di libertà altrui, dissolte nell’assuefazione alla precarietà del lavoro e dell’esistenza per l’esproprio sociale della ricchezza socialmente prodotta.
Difesa della propria vita e dell’ambiente – che questo papa ha insistentemente sostenuto - vuol dire infatti delegittimare i potenti nell’uso indifferente degli esseri umani come mezzi, di fini che esulano dalla prosperità anche di un futuro senza garanzie. Il continuo riferimento poi alle deprecabili guerre in corso, e attualmente ne sono state contate ben 57, era il vedere chiaramente come questo dominio, suprematismo, arroganza e altro non detto ma interno a un concetto di criminalità da abiurare, da cui convertirsi in termini religiosi, non può condurre che alla distruzione della vita, dei popoli, infine alla coltivazione dell’odio.
Il papa è anche un capo di stato, e in quanto tale Francesco ha impersonato l’unico esecutivo al mondo che ha continuamente invocato la pace e ne ha praticato la sua preparazione, nei limiti ovviamente delle possibilità diplomatiche concesse alla straordinarietà di questo stato particolare.
Tutti i dettagli che ora si potrebbero ricordare di questo pontificato, uniti alle contraddizioni sue e delle diverse modalità di pensiero di ognuno di noi, non trovano posto in questo breve intervento a riflettere sulla cesura ora posta dalla fine di questo sorprendente, non allineato pontificato. Non è necessario credere nella trascendenza divina, nell’eternità della vita umana per capire le parole spese contro la maschera tecnocratica del potere capitalistico, che però questo papa ha disconosciuto nelle sue leggi discriminatorie.
Il suo primo viaggio a Lampedusa, la corona di fiori nell’acqua sopra i corpi dei naufraghi non fu solo un gesto di pietà umana, ma un parteggiare esplicito per chi, per vivere è costretto a perdere la vita, e questa è selezionata dall’utile legalizzato a difesa dei privilegi.
È necessario però capire se i nostri nemici sono i migranti, gli esclusi dal mercato del lavoro perché portatori di merci di cui non si ha bisogno, o i diversi d’ogni tipo, da quello sessuale, a quello etnico, nazionalistico, religioso, della disabilità, ecc., o se invece i nostri nemici sono quelli che predispongono guerre contro tutti i popoli del mondo, compresi quelli del proprio paese, palesemente vittime predestinate di un’umanità al macero, inservibile all’altrui arricchimento.
Forse questo papato ha cercato di indirizzare la comprensione di tutto ciò in una forma, quella religiosa, da cui dover estrarre un contenuto, non diverso, ma altrimenti esprimibile, che poi coincide con l’insegnamento di un Gesù di Nazareth che combatté il sinedrio e le sue rigidità di leggi superate, come oggi risultano quelle di questo sistema che si sostiene solo con la distruzione senza fini né fine.