La California verso la secessione dagli Stati Uniti?
“L'indipendenza della California potrebbe essere sulla scheda elettorale del 2028”, così titolava lo scorso 25 gennaio la prestigiosa testata Newsweek.
Il primo passaggio sarebbe rappresentato dalla formale approvazione da parte di Shirley Weber, segretario di Stato della California, della campagna per la raccolta delle firme per una petizione popolare, finalizzata alla richiesta della secessione dalla federazione e la nascita di una Repubblica di California indipendente. Un’iniziativa che non giunge del tutto nuova, visto che nello scorso giugno un altro stato, stavolta repubblicano di ferro, il Texas (altro pilastro dell’economia americana) aveva manifestato volontà secessioniste.
Come ricorda la citata testata: “Per includere il voto per l'indipendenza nella scheda elettorale della California per le elezioni del 2028, i sostenitori della campagna devono raccogliere 546.651 firme, pari al 5 percento del totale dei voti espressi per il governatore Gavin Newsom nel novembre 2022, e presentarle ai funzionari elettorali della contea entro il 22 luglio 2025”.
La notizia apparentemente segna un cambio di rotta, in una fase storica nella quale, stando alle parole del presidente Donald Trump, gli States dovrebbero andare verso un allargamento, che potrebbe interessare Groenlandia, Canada, e forse Panama (per lo meno l’omonimo Canale).
Una prospettiva non certo favorevole al potere federale. Non solo la California è lo stato più ricco e popoloso tra i cinquanta che compongono gli USA, ma stando al PIL rappresenterebbe la quinta economia del pianeta, precedendo giganti come India o Regno Unito.
Per battezzare l’eventuale secessione è stato coniato anni fa il neologismo “Calexit”, con un evidente richiamo alla famosa Brexit, dal titolo del documento varato nel 2016 da un gruppo indipendentista, che promuoveva il disegno secessionista subito dopo la prima vittoria elettorale del tycoon.
Inutile dire che il ritorno in auge del progetto ha scatenato la reazione di Trump, che già durante la campagna elettorale definì la proposta come un attacco contro gli interessi della California. Tali parole, ora come allora, ben lungi dal dissuadere i fautori del disegno, ne hanno rafforzato le intenzioni.
Subito dopo il 5 novembre – che segnò la sconfitta della ex vicepresidente Kamala Harris, originaria proprio della California – i promotori della “Calexit” avevano proclamato che quelli espressi da Trump “sono completamente estranei e contrari ai valori della California"; il leader del movimento secessionista "Yes California", Marcus Ruiz Evans, aveva dichiarato, poco dopo la proclamazione dei risultati, la necessità di un “divorzio nazionale”, per scongiurare il pericolo di un'altra "guerra civile".
Chiaramente è troppo presto per valutare portata ed effetti dell’iniziativa, ammesso e non concesso che la campagna firme raggiunga i suoi obiettivi e che i cittadini dello stato votino a favore nel 2028 (consultazione oltretutto non decisiva), ma di sicuro le fratture esistente all’interno della Federazione a stelle e strisce – non solo di natura politica, come ben evidenziato in un numero di Limes del 2022 – non dovrebbero essere sottovalutate.
La stessa vittoria di Trump, decisamente più orientato verso l’interno (magari a spese degli alleati, veri o presunti), costituisce un segnale in questo senso, e pure un’affermazione importante quale quella dello scorso novembre non potrà porre rimedio tanto facilmente alle tante, troppe faglie che attraversano gli Stati Uniti.