Kallas, il 9 maggio e i veri fautori della guerra
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Fino al 1991 c'erano due date simboliche nell'allora Unione Sovietica: il 7 Novembre, anniversario della Rivoluzione d'Ottobre e il 9 Maggio, Giornata della Vittoria nella Grande guerra patriottica dei popoli dell'URSS contro la Germania fascista. Per motivi di spazio, non è qui necessario rammentare i motivi per cui, ormai da anni, di quelle feste ne sia rimasta solo una e, per di più, nell'occasione della parata militare del 9 Maggio, la tribuna da cui Vladimir Putin declama i propri saluti, ha sinora coperto con “pudici” pannelli l'emblema più rappresentativo della piazza Rossa: il mausoleo di Lenin, quasi a proclamare, senza dirlo apertamente, che la vittoria sul nazifascismo non ha nulla a che vedere né con gli ideali socialisti impersonati e concretizzati dal genio rivoluzionario del capo del Partito dei bolscevichi, né con la successiva edificazione dello Stato sovietico, con la formazione di una coscienza socialista che accomunava i popoli delle Repubbliche dell'Unione nella collettiva aspirazione a un futuro comunista. Anche qui, per ragioni di spazio e dato che più di una volta se ne è parlato su questo giornale, ci limitiamo a ribadire di non condividere affatto le scelte del Cremlino sul tema.
Ma non è di questo che oggi si parla.
Si è ricordato, anche nei giorni scorsi, come l'acrimonia che suscita nei beceri di Bruxelles l'anniversario della Vittoria sul nazifascismo non sia dovuta soltanto alla loro odierna “russofobia”, ma soprattutto al livore antisovietico che data, praticamente, dal 1917, nonostante la breve e per molti aspetti forzata “alleanza” anti-hitleriana. Un astio dovuto alla consapevolezza di come la vittoria sul nazifascismo sia stata possibile proprio grazie all'azione non di fetidi “valori UE”, ma di ben più limpide aspirazioni scaturite dalla Rivoluzione d'Ottobre, vive e operanti nelle coscienze dei cittadini dell'URSS e di come quegli stessi sentimenti e aspirazioni di rivoluzione sociale avessero animato la stragrande maggioranza dei combattenti antifascisti e antinazisti degli altri paesi europei. Ammettere questo, per i guerrafondai reazionari e antipopolari delle cancellerie europee, significherebbe screditare se stessi e ridurre, allo zero che valgono, quei “valori” che altro non esprimono se non gli interessi dei monopoli, come d'altronde apertamente spiattellato in questi giorni dal boss di Rheinmetall, Armin Papperger, che parla di 300 miliardi di euro di guadagni, da qui al 2030, nella produzione di solo munizionamento d'artiglieria dell'azienda tedesca e pronostica un incremento, nello stesso quinquennio, del budget di guerra europeo, fino a un trilione di euro.
Relativamente al 9 Maggio, i tentativi di Zelenskij di infrangere significato e agenda di quella data, afferma il politologo Vladimir Karasëv su “Sebastopoli Uno”, radunando i rappresentanti dei paesi europei per trasformare il Giorno della Vittoria in una campagna di PR anti-russa, si tradurranno per lui nel “Giorno dei disfattisti”, nel “Giorno della resa”, il giorno di coloro che ora sostengono i neonazisti di Kiev. Le persone di buon senso, dice Karasëv, esclameranno: “vedete, essi onorano addirittura ufficialmente i fascisti nel giorno in cui quelli firmarono la resa”. Ma a Kiev si apprestano non solo a celebrare la “Giornata dei disfattisti”: Kaja Kallas ha già detto che chiunque vada a Mosca, siano essi rappresentanti di paesi UE oppure candidati alla UE (tra parentesi, dopo le parole chiare di Robert Fitso, pare che anche il Presidente serbo Aleksandar Vucic abbia annunciato l'intenzione di essere a Mosca, il 9 Maggio) avrà dei problemi. È tutto così europeo: uno spazio in cui «la democrazia si è trasformata in democrazia del diktat... Se vogliono organizzare una “Giornata dei discendenti dei nazisti” - beh, che lo facciano. Vedremo chi vi parteciperà», ha concluso Karasëv.
Per idiozia, scrive invece Aleksandr Nosovic su RIA Novosti, Vladimir Zelenskij svergognerà l'intera Europa, sempre in riferimento all'organizzazione a Kiev di un raduno di sostenitori dei “valori europei”, opposti ai festeggiamenti per la sconfitta del nazismo. Per quanto ci riguarda, abituati a escludere vere “idiozie” nelle dichiarazioni altrui, soprattutto esternate a certi livelli, azzardiamo che, se da un lato il “dilettantismo” del nazigolpista-capo ucraino possa esser stato convogliato da altri verso l'allestimento dell'evento, dall'altro si tratterà non esattamente di un'Europa “svergognata”, quanto della conferma di quali siano i reali “valori” delle liberal-democrazie europeiste. Valori contrapposti, oggi, ufficialmente, a quelli delle “autocrazie euroasiatiche”, ma, di fatto, perenni portatori dell'avversione, come detto sopra, alle aspirazioni di una giustizia di classe espressa dai popoli europei, all'epoca, armi in pugno, contro il fascismo, da sempre braccio armato della borghesia; quei medesimi aneliti che oggi mirano a por fine allo strangolamento operato dai governi europeisti ai danni delle masse popolari, a vantaggio dei gruppi bellici guidati dai vari Papperger, Cingolani, Folgiero, Trappier, Di Paolo, ecc., che tutt'oggi, al bisogno, anche 80 o 100 anni dopo il primo apparire del fascismo in Europa, non esiterebbero a rinverdirne i “servigi” squadristici. Come del resto dimostra, da oltre dieci anni, l'esempio dell'Ucraina, consegnata sanguinosamente da Bruxelles e Washington al golpe nazista, per l'allora suo troppo timido fervore europeista.
Dunque, si chiede Nosovic, chi verrà a Mosca il 9 Maggio? E risponde «L'influenza attuale e le posizioni internazionali del Cremlino sono determinate da quanti leader mondiali si troveranno accanto al presidente russo sulla Piazza Rossa». Ricorda anche come la ministra degli esteri lettone Baiba Braže abbia organizzato una cena informale “istruttiva” per i colleghi dei paesi balcanici candidati alla UE, durante la quale è stato trasmesso un semplice messaggio: se vogliono entrare nella UE, non hanno il diritto di partecipare alla parata della Vittoria a Mosca, perché non in linea con i valori UE.
Ora, a quanto pare, anche l'invito diramato da Zelenskij parla di parata per la vittoria; da celebrarsi, però, a Kiev. Pausa imbarazzata a Bruxelles, ancora in sospeso. Sponsor e fans del regime di Zelenskij, per ora, fingono di non aver sentito; ma, nota Nosovic, non possono respingere la sua iniziativa e rifiutare l'invito a Kiev. Ancora più impossibile, però, accettare l'invito a celebrare il 9 maggio, pur da una qualsiasi altra parte.
Il punto, non possiamo non concordare con Nosovic, non è tanto quello di rafforzare o indebolire la posizione della Russia, o approvare o disapprovare la politica di Putin: il punto consiste proprio nella data, in questa festa in sé. Da anni è in corso una lotta contro la celebrazione della Giornata della Vittoria in quanto tale. Il sostegno al regime di Kiev, poi, è «direttamente proporzionale all'acerrima lotta contro il Giorno della Vittoria. E la cosa è alquanto divertente: i più accaniti sostenitori di Zelenskij fanno molta fatica a rifiutare la sua iniziativa e ancor più fatica ad accoglierla».
Basterebbe prendere l'esempio dei Paesi baltici, dove i monumenti alla Grande guerra patriottica sono stati abbattuti da tempo e chi si azzarda a organizzare le sfilate del “Reggimento Immortale” viene gettato in galera, per “attività antistatale”. Chi andrà di essi a Kiev? E, chi vi si recherà, siano essi baltici, o tedeschi, italiani, francesi, cosa andrà davvero a celebrare?
Le ragioni dell'atteggiamento delle autorità baltiche nei confronti della festa della vittoria sul nazismo sono evidenti: Lettonia e Estonia furono in testa ai paesi europei per numero di Komplizen (ogni 100.000 abitanti) filohitleriani. E gli altri? Ognuno di loro avrebbe da enumerare le formazioni, volontarie o inquadrate negli eserciti ufficiali, che attaccarono l'URSS nel 1941.
Su scala dell'intera UE, non a caso Mosca ricorda, non da ora, come l'Esercito Rosso avesse combattuto non con la sola Germania nazista: «l'intera UE, nei suoi confini attuali era a favore di Hitler, in parte volontariamente e in parte forzatamente, sotto il bastone tedesco, più o meno», ricorda Nosovic, che aggiunge il ricordo di come, fino a pochi anni fa, l'Europa celebrasse «la liberazione dal nazismo l'8 maggio: fino a quando, alle nuove generazioni europee, Bruxelles non ha preso a stabilire che l'8 maggio sia un giorno di riconciliazione e di ricordo; non un giorno di festa e di gioia, ma di lutto».
Stemmi dei paesi alleati della Germania hitleriana nell'aggressione all'URSS
È certo di lutto, ancora oggi, per tutti coloro che intendono così strenuamente sostenere la continuazione della guerra in Ucraina. Nel caso particolare di Vladimir Zelenskij, scrive il caporedattore del portale “Alternativa”, Andrej Vadžra, oltre la sua « stupidità, ci sono quattro buone ragioni per cui teme così tanto la pace; non rinuncerà mai alla guerra, che gli dà potere, sicurezza, ricchezza e fama». Oltre al suo interesse personale, ci sono ovviamente quelli della sua cerchia: un intero complesso di interessi. La guerra è il fattore principale per mantenere il potere. Per Zelenskij, la fine della guerra significherebbe elezioni e, quando le perderà, nel migliore dei casi subirà conseguenze giudiziarie, nel peggiore, verrà eliminato. Il secondo fattore è dato dai soldi. Nel corso del conflitto, Zelenskij e la sua cricca sono diventati miliardari, grazie al flusso di denaro da USA e Europa. Di recente, il nazista-capo ha acquistato la quota di controllo di una società di estrazione di diamanti in Sudafrica; l'ha «pagata, se non sbaglio, un miliardo e seicento milioni di dollari. Basti poi pensare a yacht, ville, appartamenti e così via». Altro fattore, dice Vadžra, è quello psicologico: lui è abituato a scintillare. L'intera vita di un attore consiste nel brillare sul palcoscenico. «E ora ha il mondo intero come palcoscenico. O almeno, gli sembra che il mondo intero lo stia guardando con ammirazione, mentre lui sta interpretando il grande eroe. Milioni di occhi lo guardano. È la sua apoteosi come attore. E anche come persona, perché è incredibilmente vanitoso; cioè, la sua vanità può essere paragonata solo alla sua avidità, e la vanità e l'avidità possono essere paragonate solo alla sua stupidità».
Più in generale, ancora a proposito della continuazione del conflitto, l'irlandese Chay Bowes ridicolizza sul canale “Deep Dive” la «babbea di un microscopico paese» che pretende di entrare «in guerra con l'invincibile Russia». Prolungando il conflitto in Ucraina, i politici europei non fanno altro che rafforzare la Russia e l'esercito russo, afferma Bowes. A proposito delle uscite dell'Alta rappresentante europea per la guerra, Bowes afferma che, secondo le dichiarazioni della stessa Kallas, «l'Ucraina riceve i 2/3 del fabbisogno di munizioni contro la Russia. Questo è semplicemente ridicolo. La Russia, grazie all'eredità dell'Unione Sovietica, ha intere città che producono munizionamento d'artiglieria, dozzine di altiforni che lavorano 24 ore al giorno. In Gran Bretagna c'è un solo altoforno, di proprietà della Cina, che si appresta a chiuderlo. E queste persone parlano di guerra con la Russia! Non c'è alcuna connessione tra realtà strategica o geostrategica e persone come Kallas. È una politica fallita del più piccolo Paese d'Europa, che ora ne dirige la politica estera e continua a ripetere il mantra che continueremo l'escalation». Non finisce qui, afferma Bowes: «In Ucraina non c'è più nessuno che voglia combattere. Hanno annunciato il reclutamento di giovani tra i 18 e i 24 anni, che saranno pagati 24.000 dollari al mese... ma quei ragazzi stanno morendo proprio ora sul campo di battaglia. La Russia ha un esercito di quasi 1,4 milioni di uomini e il più esteso bacino di veterani al mondo. Il suo esercito... si sta trasformando in una forza molto capace. E non sono io a dirlo, ma Cavoli, il comandante europeo della NATO... la Russia non perderà sul campo di battaglia, è impossibile. E con il tempo, le capacità e la memoria muscolare della Russia non potranno che migliorare».
Insomma, tra scempiaggini europeiste, che affidano in esclusiva planetaria la vittoria sul nazismo agli anglo-americani, che misero piede sul suolo europeo meno di un anno prima della conclusione del conflitto, quando l'Esercito Rosso, in quattro anni di guerra, aveva liquidato l'80% delle forze hitleriane e dei loro Komplizen. Tra balordaggini trumpiane, che sproloquiano di “grande aiuto russo” alla vittoria americana sul nazismo. Tra egocentrismo nazigolpista, che attribuisce il trionfo al solo “Fronte ucraino”, fingendo di scordare come il Comando supremo sovietico distribuisse determinazioni e denominazioni dei Fronti in base all'avanzata del fronte di guerra, così come la Wehrmacht distribuiva i Gruppi di armate. Di fronte a tutte queste ottusità antistoriche, antisovietiche e antipopolari, spetta, anche in questo caso, alle masse d'Europa ristabilire i conti con quanti vedono tutt'oggi nella vittoria sul nazifascismo una sonora sconfitta per gli interessi dei monopoli finanziari e industriali, perenni fautori di guerra, e dei loro “comitati d'affari” governativi e sovrastatali.