Israele inizia a inondare i tunnel di Gaza. Gli USA sempre più isolati

Israele inizia a inondare i tunnel di Gaza. Gli USA sempre più isolati

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PICCOLE NOTE

“L’IDF ha iniziato a pompare acqua di mare nel sistema di tunnel sotterranei di Hamas a Gaza per distruggere la rete sotterranea di passaggi e nascondigli del gruppo terroristico palestinese e portare i suoi agenti allo scoperto”. Così sul Timesofisrael. L’inondazione provocherà un disastro ambientale e umanitario, dal momento che toglierà l’acqua potabile a due milioni di persone (Wall Street Journal), che a questo punto potrebbero bere solo grazie a fonti esterne, ma va da sé che portare acqua potabile a tante persone è più che arduo anche se Israele spalancasse la porta agli aiuti umanitari, per ora chiusa.

Inondare i tunnel, una “buona idea”

Peraltro, la mossa blocca qualsiasi trattativa sugli ostaggi, timidamente riprese tra mille cautele, perché Hamas potrebbe scommettere, e lo farà, sul fatto che Israele non oserebbe annegare anch’essi. Ma potrebbe anche perdere la scommessa perché non è detto che ciò basti a far desistere dall’intento le autorità israeliane, dal momento che il Capo di Stato Maggiore, Herzi Halevi, ha affermato che allagare i tunnel è “una buona idea“, eludendo ulteriori commenti. Un silenzio preoccupante.

Di ieri un appello pubblico, pubblicato sul New York Times, di alcune tra le più importanti organizzazioni umanitarie, americane e non: CARE USAMercy Corps. il Consiglio norvegese per i rifugiati, Oxfam America, Refugees International, Save the Children US. Nell’appello, i responsabili di tali organismi hanno affermato che, nonostante nello svolgimento del loro lavoro in tante aree di crisi hanno visto di tutto “non abbiamo mai visto niente di simile all’assedio di Gaza”.

L’appello del New York Times a Biden

“In nessun’altra guerra di questo secolo […] i civili sono rimasti così intrappolati, senza alcuna via o possibilità di fuga per salvare se stessi e i loro figli […] Da quando è terminato il cessate il fuoco, assistiamo di nuovo a un livello di bombardamento eccezionalmente elevato e a una ferocia crescente“.

“Le poche aree di Gaza ancora non toccate dai bombardamenti si stanno restringendo di ora in ora, costringendo un numero sempre maggiore di civili a cercare una sicurezza che non esiste. Oltre l’80% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono sfollati. L’offensiva israeliana li sta ora costringendo a raggrupparsi in un minuscolo frammento di terra”.

“Il bombardamento non è l’unica cosa che flagella brutalmente vite umane. L’assedio di Gaza e i blocchi che la costringono hanno causato una grave mancanza di cibo, il taglio delle forniture mediche e dell’elettricità e l’assenza di acqua pulita. Nell’enclave l’assistenza medica è ormai quasi assente e pochi sono i farmaci. I chirurghi lavorano alla luce dei loro cellulari, senza anestetici. Stanno usando gli strofinacci come bende. Il rischio di ondate di malattie infettive trasmesse dall’acqua non farà altro che aumentare nelle condizioni di vita sempre più stipate degli sfollati”.

“[…] Nella leadership di Washington si dibatte continuamente di prepararsi per il ‘giorno dopo’. Ma se continuerà incessante il bombardamento e l’assedio non ci sarà nessun ‘giorno dopo’ per Gaza. Sarà troppo tardi. Centinaia di migliaia di vite sono in gioco oggi” [neretto nostro].

“[…] Gli eventi strazianti che si stanno verificando sotto i nostri occhi stanno plasmando una narrazione globale che, se resterà invariata, trasmetterà ai posteri l’indifferenza dimostrata di fronte alle sofferenze indicibili, i pregiudizi nell’applicazione delle leggi di guerra e l’impunità per quanti violano il diritto umanitario internazionale”. E chiude così: “Il governo degli Stati Uniti deve agire adesso e lottare per l’umanità”.

 

Di ieri anche il voto dell’Assemblea generale dell’Onu in cui si chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza. I voti a favore sono stati una valanga, 153; contro solo 10 Stati.

Hanno votato contro Israele, ovviamente, gli Stati Uniti, la Repubblica Ceca (guidata da un ex generale Nato), l’Austria (ormai appiattita sulle posizioni del governo israeliano), il Guatemala e il Paraguay (tra i pochi Paesi che hanno trasferito l’ambasciata da Tel Aivv a Gerusalemme), Papua Nuova Guinea (ormai Stato satellite degli Usa), la Liberia (bizzarrie di uno Stato nato per dare una patria agli schiavi americani), oltre alla Micronesia e Nauru, la cui rilevanza geopolitica salta all’occhio.

Ventitré Stati si sono astenuti, evidentemente ritenendo poco rilevante la decisione, tanto da consentirgli di stare a guardare (tra questi l’Italia, dove si dibatte di tutt’altro).

Al di là delle posizioni pilatesche, resta che Washington appare un tantino isolata, tanto che Biden è stato costretto a dire che Israele sta perdendo sostegno a livello internazionale a causa dei “bombardamenti indiscriminati”, che sta compiendo gli stessi errori commessi dagli Usa dopo l’11 settembre e che dovrebbe cambiare rotta, aggiungendo, però, che Washington avrebbe continuato a sostenerla in maniera incrollabile (Antiwar).

Una schizofrenia notata anche nell’appello delle Ong succitato e che non aiuta fermare le stragi, meglio non consente dal momento che gli Usa continuano a rifornire di ordigni micidiali l’alleato mediorientale: finora sono 22mila le bombe made in USA sganciate a Gaza (The Cradle).

Comunque, Biden ha inviato in Israele il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jacob Jeremiah (Jake) Sullivan che, a ragione, ritiene più fidato del Segretario di Stato Blinken, inviato in precedenza.

Sullivan, secondo Haaretz, sarebbe latore di una data di scadenza per le ostilità. Nutrire scetticismo sull’efficacia di tale strategia, che usa solo l’ambito privato e amicale per indurre la leadership israeliana a mitigare la palese ferocia, è legittimo.

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