Il malessere piu' profondo della scuola italiana

Competizione, bullismo e ossessione per la "inclusione" : i mali della scuola pubblica specchio della societa' attuale

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Il malessere piu' profondo della scuola italiana

 
 
di Angela Fais per l'AntiDiplomatico
 
 
Risale a qualche giorno addietro il gesto estremo di una giovane adolescente vittima di bullismo che a Massa-Carrara ha tentato di togliersi la vita gettandosi dal balcone della scuola, salvata in extremis da una compagna e da un professore.
 
Terrificante che il fatto non sia un avvenimento isolato. E’ sufficiente infatti una semplice ricerca in rete per scoprire che la casistica è frequentissima. Le motivazioni alla base di questi gesti purtroppo sono da addebitarsi a episodi di bullismo vissuto a scuola e a rendimento scolastico e voti bassi.
 
Gesti così estremi però non maturano in un sol giorno ma sono la tragica conclusione di un lungo calvario di sofferenza e solitudine che poi culmina in esiti drammatici.
 
E’ lecito dunque chiedersi come mai lo sportello dello psicologo venga attivato sempre dopo. Davvero a fronte di una sofferenza così profonda mai nessun campanello di allarme viene individuato per tempo?
 
Leggere che in un istituto di Recanati le lezioni siano proseguite regolarmente lo stesso giorno in cui una 15enne è precipitata dal secondo piano, non fa che dare forza all’inquietante ipotesi per cui la scuola non sarebbe esattamente il luogo in cui si coltiva l’empatia. Non ne esce certo una immagine edificante della scuola pubblica. Si rilevi un doloroso paradosso: ci si straccia le vesti per insegnare educazione sentimentale ai ragazzi con corsi specifici ma poi a fronte di un accadimento così grave si sceglie di continuare le lezioni come se nulla fosse accaduto?
 
D’altronde non si può rischiare di rimanere indietro coi programmi. Va rilevato che con fervore sempre crescente negli ultimi decenni, si è saldamente instaurato un paradigma di competitività per cui la febbre della rivalità ormai è endemica. Si persegue l’utile per puntare “a costruire e progettare competenze spendibili in futuro, sul lavoro” che notoriamente è luogo della competizione più spietata.
 
Così invece di contrastare il paradigma disfunzionale già operante nei luoghi di lavoro, lo abbiamo importato nel mondo della scuola rendendo gli studenti, al pari degli operai, forza lavoro obbligata alla produttività, performante e aderente a determinati standard. E l’assunto per cui a scuola è giusto coltivare una “competitività sana” al fine di preparare al mondo del lavoro, che di sano non ha proprio nulla, ha una portata devastante sotto molteplici punti di vista.
 
Da tempo immemore infatti a scuola si consuma una logorante diatriba attorno al dilemma se sia preferibile il sistema di valutazione basato sui voti o quello basato sui giudizi. In realtà a dominare le scene a monte e con buona pace dei pedagogisti, è una ideologia precisa che, si badi bene, molto spesso sono proprio le famiglie a nutrire.
 
Ma se ci mettiamo in una prospettiva di competitività c’è il rischio che qualcuno resti indietro, nonostante ‘inclusione’ sia oramai una parola chiave nella scuola di oggi. Questa ossessione ricorrente per l’inclusione in realtà testimonia, paradossalmente, proprio la sua assenza. Se la scuola fosse veramente inclusiva non avrebbe bisogno di tornare ossessivamente sul tema dell’inclusione.
 
Siamo purtroppo agli antipodi di un’autentica politica di inclusione che evidentemente è semplicemente predicata ma non agita, se non a favore soltanto di determinate categorie. Le differenze sono preziose e vanno preservate, ma muovendoci nell’orizzonte della competizione si rischia di cancellarle perché ci troviamo obbligati a omologarci a precisi protocolli. In tale ottica di omologazione questa società viene presentata come l’unica possibile, e pertanto non può né deve essere contestata ma accettata e fatta accettare agli studenti, anche piccolissimi.
 
Nella nostra società si afferma infatti il tempo dell’obbedienza. Se da una parte si coltiva il mito dell’eterna giovinezza, dall’altra si sanziona severamente la trasgressione. E questo emerge chiaramente anche nel nuovo Decreto Sicurezza che prevede sanzioni pesantissime per chi protesta. In una società in cui è imperativo obbedire e omologarsi chi non lo fa resta indietro, alla faccia dell’inclusione.
 
Ma se l’Altro resta alle spalle diventa una minaccia e il futuro stesso diventa persecutorio: è il discorso securitario della violenza totale. A fronte del panorama qui descritto non stupisce che un crescente numero di famiglie scelgano l’istruzione parentale. Scelta che rientra tra le possibilità previste in primis, dalla nostra Carta Costituzionale, dal Codice Civile e poi da tutta una serie di norme derivate.
 
L’avvocato Alice Amato, esperta in diritto scolastico e diritto all’istruzione parentale, ci spiega quali sono le motivazioni più frequenti alla base di una scelta che sempre più famiglie compiono.
 
Ricordiamo infatti che il genitore è il primo educatore. “Esattamente - conferma l’Avv. Amato -   l'istruzione dei figli è in primo luogo una responsabilità dei genitori e solo in seconda istanza dello Stato,  come  d'altronde è previsto sia dall'art 30 della Costituzione sia dall'articolo 147 del Codice Civile. Riscontro ormai da molti anni che di fronte a un ambiente scolastico sempre più ostile e competitivo, le famiglie non vogliono più  lasciare al “caso” l’istruzione dei figli delegandola ad occhi chiusi alla scuola di stradario senza entrare nel merito del metodo pedagogico usato, dei ritmi didattici e delle finalità proposte.
 
Pertanto, non soddisfatti, sempre di più si orientano verso “l’istruzione parentale” che può essere impartita non solo tra le mura domestiche e direttamente dai genitori, ma può essere affidata ad insegnanti scelti o ad associazioni che tra le proprie attività istituzionali prevedono il supporto didattico ai figli degli associati. Tra i motivi che portano le famiglie a sceglierla c’è senza dubbio quello di voler evitare che la crescita dei minori sia incentrata su valutazioni etichettanti e sull’estenuante competizione tra pari che ha smesso di vedere il bambino nella sua centralità ed unicità.
 
Da anni, la competizione sembra essere ascesa a legge nazionale. La necessità di questa corsa però non è prevista dalla normativa che, al contrario, negli obiettivi da raggiungere per il passaggio alla classe successiva, all'interno delle "Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, indica tutt’altro. Ci tiene l’Avv. Amato a precisare che questo documento del Ministero non è ispirato ad alcuna ideologia competitiva e che in esso è espresso chiaramente il fatto che ciascun bambino  dovrà raggiungere gli obiettivi didattici sottesi solo alla fine del ciclo. Quindi lunghi periodi di tempo che garantiscono il rispetto delle differenze di tutti.
 
La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi.
 
In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato."
 
L' Avvocato Amato conclude ricordando che il Ministero dell’Istruzione  esorta sempre ad adottare piani di studio personalizzati. Il documento ministeriale, concepito nel rispetto delle tappe pedagogiche e della centralità dell’alunno, non sembra pero' venga recepito nella sua autenticità dagli istituti destinatari.
 
Se questi ne rispettassero a pieno le indicazioni si eviterebbe sia l'innesco di competitività e rivalità deleterie, terreno di coltura del bullismo nonché fonte di grave malessere, sia di compromettere irrimediabilmente lo sviluppo sereno e la vita stessa degli alunni.

Angela Fais

Angela Fais

Laureata in filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma e Dottoressa in psicologia scrive per varie riviste e collabora con l'Antidiplomatico

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