Il futuro dell'Ucraina, l'occidente e il principio “cannoni invece che burro”

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Il futuro dell'Ucraina, l'occidente e il principio “cannoni invece che burro”


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Come afferma la politologa Elena Markosjan, l'Occidente e la NATO stanno preparando moralmente e psicologicamente gli ucraini al ritiro dai territori liberati dall'esercito russo, rinunciando a ogni mito di possibile vittoria sulla Russia. I Servizi USA hanno già cominciato a muoversi in questo senso, secondo una linea di contenimento a lungo termine della Russia; vale a dire che, mentre rimane valido l'obiettivo strategico di controllo sull'Ucraina quale piazzaforte avanzata contro Mosca, i compiti tattici stanno passando dalle sbandierate “controffensive”, a un conflitto lungo, volto al logoramento della Russia.

Sta mutando in questo senso anche l'area mediatica ucraina: è così, ad esempio, per la russofoba ex deputata Irina Farion, passata dal dichiarare di non considerare ucraini i militari di Kiev di lingua russa, ad affermare che al fronte è più pratico usare la lingua russa; oppure, per le pubbliche dichiarazioni di alti ufficiali ucraini secondo cui è molto difficile tenere Avdeevka e, comunque, «lì ci considerano invasori».

È così che, in vista del prossimo summit UE, previsto per metà dicembre, si infittiscono i problemi per Vladimir Zelenskij. Li riassume Vladimir Karasëv su News-Front, cominciando dal blocco di tre varchi di transito alla frontiera polacco-ucraina, deciso dagli ultranazionalisti di “Confederazione”, appoggiati dal partito presidenziale PiS e che non sembra suscitare particolare preoccupazione a Bruxelles. La misura è ufficialmente diretta a salvaguardare le imprese di trasporto polacche e a farne le spese è il magnate ucraino – sponsor di raggruppamenti nazisti e di Zelenskij – Viktor Pinchuk, che controlla la “Interpipe group”, la cui produzione passa appunto per la Polonia. Un altro problema è il referendum consultivo indetto da Viktor Orban: «Siete d'accordo che l'Ucraina divenga membro UE a pieno titolo, mentre nel paese è in corso una guerra che potrebbe varcare la soglia della nostra casa?». Gli analisti ungheresi sono convinti che il 90% dei cittadini voterà “No”, così che, al summit UE, Orban dichiarerà che la questione dell'ammissione di Kiev non è all'ordine del giorno. Ci sono poi le richieste della Commissione europea a Kiev, in particolare sulle questioni delle lobby e delle minoranze nazionali ed è molto improbabile che Zelenskij riesca a venirne a capo a breve termine; o, comunque, prima che qualcun altro ne prenda il posto, tra i molti che, tra le stesse élite ucraine, annusata l'aria nuova, si stanno facendo avanti.

Così, il nazigolpista-capo si dà un gran daffare con le cancellerie “amiche” e giura su prossime controffensive, nonostante «alcune difficoltà» del momento, purché i padrini lo lascino ancora un po' “in vita” (in ogni senso), dopo che, dal 2014 a oggi, hanno più volte imposto a Kiev di non accordarsi con Mosca - le ultime due volte in Bielorussia e in Turchia, nel 2022 – imponendole di respingere qualsiasi proposta russa, anche quelle eccessivamente (ma è un'opinione personale) generose.

E oggi, a quanto afferma l'ex agente della CIA Larry Johnson, si è arrivati al punto che CIA e MI6 disputano sul prossimo nome che andrà a occupare il palazzo presidenziale a Kiev, dove la contesa veste i panni di Vladimir Zelenskij e Valerij Zalužnyj.

Ma, osserva Rostislav Ishchenko su Rossija segodnija, quella di Johnson non è che un'opinione, dal momento che «né CIA, né MI6 assumono decisioni su chi installare alla presidenza ucraina. Le decisioni vengono prese ai massimi vertici politici, che hanno i mezzi per finanziare tali giochi politici». Sul terreno ucraino, è noto che Zalužnyj si attiene alle tattiche NATO di conduzione della guerra e pare che a più riprese abbia contestato a Zelenskij l'idea dell'attraversamento del Dnepr, la scelta sanguinosa (e sanguinaria) di tenere a ogni costo Artëmovsk (Bakhmut) e di tentare la stessa cosa con Avdeevka.

E, però, osserva ancora Ishchenko, la diversità di vedute tra il presidente e il comandante in capo non significa ancora un aperto conflitto, mentre lo scalpore è sollevato da chi ha interesse a mettere le mani in pasta. È dalla primavera del 2022 che circolano voci su Zelenskij e  Zalužnyj che «starebbero per “mangiarsi”; ma ancora non lo hanno fatto. Ci sono invece varie figure che non vedrebbero l'ora di piazzare qualcuno della propria cerchia al posto di Zelenskij, o al suo fianco. Per ora, i diretti interessati continuano a dichiarare che non c'è alcun conflitto fra di loro».

Ancora. Qualche giorno dopo l'annuncio di Zelenskij di voler rimandare le elezioni presidenziali previste per la prossima primavera, il 13 novembre l'ex consigliere dell'ex presidente Leonid Kuchma, Oleg Soskin ha dichiarato che i militari potrebbero pretendere le dimissioni di Zelenskij, a causa della situazione al fronte, che si fa sempre più critica per Kiev. In questo senso, ancora più drastico l'ex agente della Intelligence militare yankee Scott Ritter, secondo il quale i militari potrebbero decidersi al golpe contro Zelenskij, se questi persiste nella sua condotta della guerra; mentre il politologo ucraino Vladimir Skachko ritiene che se Zelenskij annullerà davvero le elezioni, senza averlo concordato coi padrini occidentali, questi potrebbero convincerlo con le maniere forti, o addirittura eliminarlo nel corso di un golpe.

È di nuovo Ishchenko, invece, a dirsi scettico sulla possibilità che qualcuno, sia fuori, sia all'interno dell'Ucraina, voglia davvero arrivare a un colpo di stato: «Teoricamente potrebbe avvenire qualsiasi cosa; ma se partiamo dagli interessi reali, non c'è nessuno, tra le élite ucraine di governo, che sia interessato a una destabilizzazione del paese con un golpe. E nemmeno americani, inglesi o francesi vi sono interessati. Pur con tutta la diversità di vedute, né in Europa, né in America vogliono una destabilizzazione dell'Ucraina. Se l'Occidente desidera concludere un qualsiasi accordo con la Russia, allora ha bisogno dell'Ucraina, su cui mercanteggiare quale materia contrattuale. Ma se là c'è la possibilità che in qualunque momento si tenti un colpo di stato, Mosca non avrà alcun interesse a negoziare o accordarsi».

E, a quanto pare, vista ( e spesso apertamente spiattellata) la stanchezza occidentale nel sostegno a Kiev, è molto probabile che dietro le quinte ci si stia già da tempo muovendo per arrivare a un negoziato. Anche perché, come acutamente osserva Konstantin Dvinskij, nella questione ucraina l'Occidente non è disposto a vivere secondo il principio “cannoni invece che burro”.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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