Il 2025 sarà l’anno della povertà

Dopo trent’anni di compressione e riduzione di salari, il sistema economico italiano oggi accelera la loro discesa verso il basso.

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Il 2025 sarà l’anno della povertà

 

di Giorgio Cremaschi - Fatto Quotidiano

Il sistema più semplice e furbo per calare i salari è quello di non adeguarli all’inflazione. In Italia negli ultimi 3-4 anni abbiamo avuto una inflazione complessiva attorno al 17%, mentre i fondi destinati dal Governo Meloni per il rinnovo dei contratti pubblici e di competenza pubblica coprono incrementi retributivi del 6-7%. Cioè il governo ha programmato la riduzione dei salari del 9-10%.

Lo stesso naturalmente stanno facendo la Confindustria e le principali associazioni imprenditoriali, escluse le banche. Tutti offrono rinnovi contrattuali che sono lontanissimi dal permettere il recupero dell’aumento dei prezzi, anche per colpa di regole contrattuali inique per i lavoratori, come “Il Patto per la Fabbrica” sottoscritto tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil nel 2018.

Quell’accordo di concertazione è l’ultimo di una serie di patti sociali, stipulati dal 1992 tra governo sistema delle imprese e grandi sindacati confederali, che hanno fatto sì che le retribuzioni italiane fossero le sole tra i paesi Ocse a perdere quasi il 3% di valore negli ultimi trent’anni. E a fine anno la Federmeccanica ha respinto tutte le richieste salariali per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, proprio adducendo a motivo le regole del Patto per la Fabbrica.

Insomma dopo trent’anni di compressione e riduzione di salari, il sistema economico italiano oggi accelera la loro discesa verso il basso.

Le imprese non sganciano un centesimo, anzi risparmiano su aumenti che prima o poi dovrebbero dare. I lavoratori si pagano l’aumento con i loro stessi soldi: è una parte del loro salario lordo che diventa disponibile in busta paga. Naturalmente se questa operazione fosse finanziata con tasse ai ricchi avrebbe il senso di una redistribuzione fiscale. Invece la riduzione del costo del lavoro viene coperta dai tagli ai servizi pubblici. Cioè i lavoratori si pagano il piccolo aumento della loro retribuzione netta con i loro stessi soldi, per poi subire i maggiori costi dei servizi sociali: una partita in perdita.

Se il salario di chi ha un lavoro relativamente sicuro e fisso è in costante calo, la povertà aggredisce chi va in cassa integrazione o vive di lavori precari. Il rifiuto da parte del governo di istituire il salario minimo pesa in tutta la sua brutale iniquità di classe. Milioni di lavoratori nei servizi e nell’agricoltura ricevono paghe da fame, inferiori a 6 euro all’ora. Ai cassintegrati tocca un’indennità equivalente ad una retribuzione netta di 5 euro all’ora. Chi viene licenziato e ottiene l’indennità di disoccupazione, la Naspi, prende ancora meno e per tempi ridotti.

Infine ci sono quei lavoratori che sono senza retribuzione da mesi e magari lottano per il posto di lavoro, senza che governo e istituzioni facciano davvero nulla; tra tutti ricordiamo gli operai della Gkn, da mesi senza salario e senza cassaintegrazione.

In conclusione tutto il lavoro dipendente o è già povero o si sta rapidamente impoverendo. Le pensioni, da quelle minime a quelle medio alte, subiranno per l’ennesima volta l’erosione del loro valore; per la stragrande maggioranza dei pensionati il 2025 sarà un anno di riduzione del reddito disponibile. E il valore medio della pensione in Italia è poco più di 1000 euro al mese, lordi – perché non bisogna mai dimenticare che i pensionati versano allo stato ogni anno 50 miliardi di tasse.

Ci sono poi gli emarginati e coloro che vivono in miseria. Per costoro il reddito di cittadinanza era il minimo della sopravvivenza e la sua abolizione da parte del Governo Meloni è stato un autentico atto di criminalità sociale. Secondo il Censis oltre il 27% della popolazione italiana, 16 milioni di persone, sono sotto la soglia di povertà, salvo poi godere di piccoli aiuti pubblici che in parte riducono la miseria.

Queste persone rinunciano a curarsi perché la sanità pubblica è sempre più ridimensionata, mentre non possono permettersi di pagare i costi della privatizzazione. Lo stesso avviene per l’accesso alla scuola e alla formazione.

Il Governo Meloni vanta 23 milioni di occupati, cifra record anche se drogata da astuzie contabili della statistica. Ma viene volutamente ignorato che, mentre aumenta il numero di chi lavora, diminuisce la massa complessiva dei salari in valore reale. È un modello ottocentesco di società, dove lavoro e miseria si intrecciano sempre più profondamente. Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.

L’evasione fiscale del mondo delle imprese garantisce profitti anche ai piccoli imprenditori, come dimostrano gli stessi dati ufficiali che vedono gioiellieri, ristoratori, albergatori, guadagnare meno dei loro dipendenti. Fanno impresa per pura generosità.

I 62 miliardari italiani hanno visto crescere fino a 200 miliardi il proprio patrimonio, quasi il 20% in più. E il 60% dei super ricchi sono eredi esentasse. Altro che l’imbroglio del merito, il solo vero merito in Italia è nascere nella famiglia giusta. E gran parte delle famiglie di super ricchi ha all’estero la sede fiscale della propria società.

Tutte le spese sociali sono tagliate per far fronte al patto di austerità che il Governo Meloni ha sottoscritto con la Ue, tranne gli stipendi dei ministri e le spese militari. Sono le sole due voci di bilancio che davvero aumentano più dell’inflazione.

L’Italia sta regredendo di un secolo e mezzo nelle ineguaglianze sociali e nella distribuzione della ricchezza e la povertà di massa dilaga. È vero che i percorsi che hanno portato a questo disastro sono cominciati da lontano e sono responsabilità di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni. Ed è vero che le politiche di austerità e guerra sono una scelta della Ue che oggi tutta l’Europa, salvo la Spagna che tassa i ricchi, sta pagando.

Quando il Governo Meloni afferma che i principali guasti vengono dal passato dice la verità. Ma poi mente spudoratamente quando afferma di fare qualcosa per ridurre questi guasti. Anzi le politiche meloniane a favore dei ricchi, delle multinazionali e della guerra aggravano e diffondono quei guasti. Così il 2025 sarà l’anno della povertà, sempre che non si riesca a rovesciare il governo e le politiche italiane ed europee di austerità e guerra.

 

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