“Henna for Palestine”, l’arte dei tatuaggi raccoglie fondi per Gaza in tutta Italia

“Henna for Palestine”, l’arte dei tatuaggi raccoglie fondi per Gaza in tutta Italia

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di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico

 

Jessica Pulsone è un'arabista, analista di Asia Occidentale e henna artist per passione. Dopo varie esperienze di studio e volontariato nel mondo arabo, ha lanciato un progetto di divulgazione sui social che ha l'obiettivo di decostruire i pregiudizi occidentali nei confronti del mondo arabo-islamico. I suoi campi di studio riguardano l'islamofobia, l'arabofobia e l'orientalismo in Italia e in Europa.

Lo scorso dicembre, a due mesi dall’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza invita le henna artists in Italia a organizzare una raccolta fondi per la popolazione palestinese. Oltre 40 artiste aderiscono da tutto il Paese. È così che nasce Henna for Palestine. Le abbiamo chiesto di parlarci di questa preziosa iniziativa.


Henna for Palestine è un’iniziativa creativa ma molto seria, lo dimostra anche il suo supporto a Medici senza Frontiere. Come è nata?

Henna for Palestine nasce con l’obiettivo fare qualcosa di concreto per Gaza, perché dal 7 ottobre assistiamo a un vero e proprio genocidio nasce quindi per superare l’impotenza. I social non sono sempre portatori di discordie; alcune settimane fa ho visto su Instagram il reel di un gruppo di henna artist statunitensi che raccolgono fondi per la Palestina. Senza nemmeno pensarci ho lanciato un appello alle henna artist italiane chiedendo di replicare anche in Italia. Sei di loro hanno aderito subito, il passaparola ha fatto il resto, stanno partecipando più di quaranta artiste, una risposta importante. E pensare che di persona ne conoscevo solo un paio.


Come vi organizzate e finanziate?

Essendo un’iniziativa di tipo volontaristico e solidale -per evitare rimborsi di viaggio e quindi non sottrarre fondi alla causa- cerchiamo di non affrontare viaggi che non siano indispensabili, ma organizziamo l’evento laddove ci sono già un minimo di tre artiste e un posto di buona volontà che possa ospitarci. Non è il gruppo che si sposta, ma il messaggio.


Si è già svolta due volte a Roma, Milano, Vicenza, San Giorgio al Tagliamento, e Bergamo. Quali le prossime tappe?

A Firenze il 17 febbraio, a Trieste il 24 febbraio, Bari il 2 marzo, Bologna il 3 marzo e speriamo anche Napoli e Catania. Spero di poter andare anche a Napoli. Il target vede avvicinarsi persone di ogni età, certamente anche in base alla sede: a Roma in un centro olistico e a Torpignattara in un’associazione culturale che svolge doposcuola per bambini; si tratta di un quartiere multiculturale, perciò si sono presentate molte famiglie di diverse nazionalità. Le nostre artiste sono italiane, indiane, bengalesi, ispaniche, un team ricchissimo.


Cos’è e come nasce l’arte dell’henné?

Quest’arte nasce all’alba dei tempi, sono stati rinvenuti corpi mummificati con unghie e pelle decorate. L’impasto di pianta tintoria era legato alle proprietà antisettiche, igieniche, contro le infezioni. La sostanza argillosa viene ricavata dalla lawsonia inermis, una pianta nota sin dall'antichità per le sue proprietà tintorie e utilizzata da secoli in India e in Medio Oriente per colorare i capelli e renderli più forti. Nei secoli ha poi assunto un significato apotropaico cioè di protezione rituale da influssi negativi ed energie ritenute pericolose, quindi legato al sacro.

Oggi con questa iniziativa cerchiamo di darle una funzione politica, nel senso migliore del termine, e di attivismo. Tra i tatuaggi proponiamo simboli della resistenza palestinese come la Kefiah o la chiave del ritorno cosicché le persone che indossano questi tatuaggi (la durata è di un paio di settimane) parlino di Palestina quando verrà chiesto loro cosa raffigurano. Come se la pelle si facesse megafono, a dispetto della perdita di interesse dei media e dell’opinione pubblica.

L’arabofobia moderna è riemersa con l’11 settembre e ora vediamo un triste revival strumentale di questa paura: Israele viene presentato come una democrazia all’avanguardia nel Medioriente islamico barbaro e retrogrado.

Pensiamoci bene, spesso si dà quasi per scontato che un arabo sia un terrorista, ed è quindi pregiudizialmente chiamato a discolparsi o legittimarsi solo per la propria origine. Il termine “Occidente” presuppone uno sguardo eurocentrico; ma le persone che noi definiamo orientali non si definiscono così. Si tratta di una definizione che nasce per reazione. La parte occidentale del mondo ha una visione irrealistica di sé, quella di una civiltà superiore e attenta ai diritti, e la ferita tra israeliani e palestinesi mostra proprio questa dicotomia irrazionale: israeliani bianchi e tolleranti e palestinesi pericolosi, inferiori. Per questo, con la complicità dei media, la resistenza di Gaza viene considerata terrorismo, sulla base di stereotipi.

Giulia Bertotto

Giulia Bertotto

Giulia Bertotto, giornalista per diverse testate online, è laureata in Filosofia a La Sapienza di Roma e ha un master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale, ha scritto due raccolte poetiche, un saggio, e partecipato alla stesura di diversi volumi con altri autori. Svolge e stravolge interviste, recensioni di film e libri, cronache da eventi e proteste. Articoli per sopportare il mondo, versi e rime per evaderlo.

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