Goodbye Europe! La sicurezza energetica dell'UE nel contesto geopolitico attuale

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Goodbye Europe! La sicurezza energetica dell'UE nel contesto geopolitico attuale

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di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

Forse l'elemento più strategico e fondamentale in un'economia evoluta è la sicurezza energetica, da intendersi come la possibilità di avere forniture certe, abbondanti (possibilmente più che abbondanti) e magari anche a basso prezzo.

Per una nazione avere la sicurezza energetica consente di programmare investimenti industriali e in ricerca e sviluppo e, conseguentemente, di riuscire a rimanere competitivi nell'agone del mercato mondiale.

Al contrario perdere la sicurezza energetica, ovvero sia – come ho detto – perdere la certezza di avere forniture energetiche abbondanti, sicure e a prezzo competitivo comporta inevitabilmente l'inabissamento dell'economia dei paesi privi di questo requisito: impossibilità di programmare investimenti, impossibilità di continuare a fare ricerca e sviluppo e ultimo - ma non ultimo per importanza - avere energia a basso costo comporta essere competitivi a livello di prezzo sul mercato.

Per oltre trenta anni la competitività europea si è basata sulla sicurezza energetica garantita dalla Federazione Russa, prima attraverso i gasdotti e gli oleodotti sovietici poi grazie alla costruzione dei gasdotti NorthStream 1 e 2 che, attraversando il Baltico dal Golfo di San Pietroburgo fino alla Germania, hanno trasformato Berlino nell'Hub energetico europeo che era in grado di garantire all'Europa energia a profusione e a basso costo; naturalmente alle industrie tedesche veniva garantito un prezzo dell'energia ancora più basso così da avere un importante vantaggio di partenza sulle altre aziende concorrenti europee.

Il resto lo ha fatto l'apertura dei mercati a livello mondiale come stabilito dai trattati sul libero commercio e dal World Trading Organization: la formidabile competitività europea guadagnata grazie alla benevolenza del Cremlino poteva riversarsi sui mercati mondiali e soprattutto su quello USA a causa dell'egemonia del dollaro come mezzo di regolamento dei commerci internazionali doveva sobbarcarsi l'onere di “consumatore di ultima istanza” (cito il grande Marcello De Cecco). Situazione questa che è andata avanti per trenta anni fino alla completa consunzione degli Stati Uniti che hanno accumulato oltre 18 000 miliardi di dollari di posizione finanziaria netta (NIIP) negativa minacciando ormai la stessa sopravvivenza dell'economia americana compreso il suo ipertrofico sistema finanziario che ha in quella fabbrica di dollari sintetici di Wall Street il suo fulcro imprescindibile.

Sappiamo bene come Washington ha deciso di porre rimedio a questa situazione diventata insostenibile, seguendo l'insegnamento di Bismarck secondo il quale ci sono cento modi per far uscire l'Orso russo dalla tana, ma non ce n'è manco uno per farlo rientrare. Detto fatto: colpo di stato a Kiev finanziando e sostenendo una banda di nazisti antirussi e filoeuropei e l'orso russo – fiutando il pericolo di avere Kiev nemica – è uscito dalla tana inferocito. Il resto lo conosciamo bene; l'Europa è stata prima costretta da Washington a imporre sanzioni suicide che le hanno fatto perdere un florido mercato di sbocco per le proprie merci come era quello russo, e poi a subire l'attentato che ha distrutto il  gasdotto NorthStream. Da aggiungersi a questo che il regime di Kiev ha già fatto sapere che il 2024 sarà l'ultimo hanno in cui consentirà il passaggio del gas russo attraverso il proprio territorio.

Come se non bastasse tutto questo non possiamo fare a meno di registrare l'esplosione di tutto il Quadrante Est sia nel sub-quadrante caucasico (guerra azero-armena) che in quello mediorientale (nuova grande crisi israelo-palestinese); questo quadrante doveva essere quello che avrebbe sostituito i flussi energetici russi verso l'Europa sempre più ridotti al lumicino. Ma ora anche qui tutto è in pericolo: sicuramente possiamo dare per bloccata la progettazione e costruzione dell'EastMed Pipeline che avrebbe dovuto trasportare in Europa il gas dei giacimenti off-shore israeliani e ciprioti. Anche il gasdotto sub-caucasico (che porta il gas in EU riconnettendosi prima con il gasdotto Trans-Anatolico e poi con quello Trans-Adriatico) ormai non è più sicuro a causa della guerra azero-armena per le note contese territoriali riguardanti il Nagorno-Karabak e il corridoio Zangezur; per non parlare poi del conflitto latente tra Georgia e Russia per le regioni formalmente di Tiblisi dell'Ossezia del Sud e dell'Abkazia ma che sono - da anni ormai - autogovernate dai filorusso protetto da truppe di Mosca.


Immagine 1: I maggiori fornitori di uranio della EU

 

In questa disamina non può non essere citato  il Sahel africano, terra di antico colonialismo francese. Fenomeno questo che ha avuto due importanti significati nell'epoca della (finta) decolonizzazione: Franco CFA e risorse minerarie tra le quali lo strategico uranio del Niger che ha alimentato per decenni le centrali nucleari francesi. Con la cacciata delle truppe francesi da questo paese a seguito del colpo di stato che ha destituito il presidente nigerino Mohamed Bazoum abbiamo assistito prima all'aumento del costo dell'uranio grezzo nigerino passato da 0,8 a 200 euro al chilogrammo e poi al blocco dell'estrazione da parte dei francesi.

Senza dilungarci sulle possibili conseguenze del blocco del flusso di petrolio dello stretto di Hormuz (da cui passa il 40% del greggio mondiale) dovuto ad un possibile bombardamento dell'Iran da parte di Israele e USA, ricordo solamente che la Russia ha ulteriormente aggravato la situazione vietando l'export verso l'Europa dei distillati di petrolio quali Diesel e Benzina.


Immagine 2: Aumento dell'import di diesel dalla Russia verso

l'Arabia Saudita  passati da 0 a 174000 barili giorno (Bloomberg)

 

Con il provvedimento del Cremlino sull'export verso la EU dei distillati di petrolio abbiamo assistito al solito schema, questa volta con protagonista l'Arabia Saudita: Riyad ha fatto incetta dei distillati di petrolio russi e ha iniziato a vendere i propri distillati alla EU...a prezzi maggiorati, ovviamente. Immediatamente i prezzi del diesel in Europa sono aumentati vertiginosamente con i futures balzati a 1.012,75 dollari per tonnellata.

E' chiaro che questa situazione per l'Europa può essere definita - nel suo complesso - come drammatica senza che nessuno possa accusarci di allarmismo e sensazionalismo.  Ormai la sicurezze energetica (sia per le quantità che per i prezzi) europea può essere definita come un elemento appartenente al passato e con esso rischia di diventare un lontano ricordo anche la nostra competitività nei mercati mondiali. A tale proposito basta ricordare che secondo un rapporto della Camera di commercio e dell’industria tedesca, più della metà delle aziende intervistate afferma che la transizione energetica (leggasi anche come “la crisi delle forniture energetiche tradizionali” NdA) sta avendo un impatto negativo o molto negativo sulla loro competitività. Tra i produttori, quasi un terzo sta valutando di delocalizzare la produzione all'estero con un raddoppio rispetto a quanto registrato durante la crisi energetica dello scorso anno (1).

A questa situazione la UE ha risposto con la convocazione di un vertice sulla sicurezza delle forniture di diesel (2); meeting - va sottolineato – del tutto ignorato dalla nostra “grande” stampa, meglio continuare ad inoculare dosi di bromuro da parte delle varie Nathalie Tocci che da oltre due anni sostengono che l'economia russa è prossima al tracollo perché il Pil di questo paese è inferiore a quello della sola Spagna. Peccato che la Signora Tocci non abbia capito un concetto fondamentale; quando si raffrontano le economie di due paesi non basta certamente raffrontare il valore monetario del prodotto interno lordo, bisogna magari indagare che cosa si produce e a quel punto magari ci si accorge che c'è una bella differenza tra l'essere il maggior produttore di energia al mondo ad essere il maggior produttore di Mojito e di ballerine di flamenco.

Per il resto, i maggiori leader europei provano a risolvere in maniera scoordinata questo enorme problema. Macron è volato proprio in questi giorni in Kazakistan con l'evidente finalità di sostituire l'uranio del Niger con quello Kazako (3). Il Cancelliere tedesco Scholz invece è volato fino in Nigeria per stringere accordi sul gas, così da garantire a Berlino la sicurezza e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico (lo ha dichiarato lui durante la visita) (4).  Infine la Meloni per conto nostro è andata fino in Mozambico e Congo (5) per negoziare forniture di gas. Inutile dire che si tratta di paesi distantissimi dall'Italia e per quanto consta sapere quasi privi di infrastrutture e dunque con un costo di avviamento del progetto tutto da investire e tutto da ammortizzare attraverso opportuni (e salati) margini di prezzo. Da rimarcare che l'ENI ha annunciato anche un accordo triennale per la fornitura di gas GNL dall'Indonesia (6) con prima fornitura prevista per gennaio 2024. Ormai manca solo la Nuova Zelanda e le isole della Micronesia... magari gli avanza una bombola [perdonatemi la battuta].

Naturalmente sono arrivati – immancabili – gli annunci di contratti per forniture pluridecennali dal Qatar, sia per l'Italia (che si impegna ad acquistare 1 milione di tonnellate/anno di GNL per 27 anni a partire dal 2026), Francia ( la TotalEnergies ha firmato un contratto per l'acquisto di LNG dal Qatar dal 2026  per 27 anni. 5 miliardi di metri cubi l'anno) e Germania (che qualche mese fa ha annunciato un accordo per l'acquisto di 2,8 miliardi di metri cubi all’anno per 15 anni). Naturalmente in questi annunci non si fa riferimento al prezzo, ma tutti gli osservatori concordano che il gas GNL qatarino costerà almeno il doppio rispetto a quello che costava quello russo erogato attraverso i gasdotti.  Un vero e proprio salasso che non potrà non riverberarsi in un deficit di competitività dell'industria europea.

Sotto l'aspetto della distruzione della competitività europea certamente il progetto americano può ritenersi a buon punto, è stato un lavoro di lunga lena, probabilmente iniziato con i bombardamenti della Libia, continuato con la crisi ucraina e le successive sanzioni e ormai sfociato nella crisi del quadrante est che mette in pericolo sia le forniture caucasiche che quelle (in via di progettazione) dell'EastMed. Goodbye Europe!

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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