"Generazione Antidiplomatica" - Intervista al sindacato SGC sui referendum
Generazione AntiDiplomatica è lo spazio che l’AntiDiplomatico mette a disposizione di studenti e giovani lavoratori desiderosi di coltivare un pensiero critico che sappia andare oltre i dogmi che vengono imposti dalle classi dirigenti occidentali, colpendo soprattutto i giovani, privati della possibilità di immaginare un futuro differente da quello voluto da Washington e Bruxelles. Come costruirlo? Vogliamo sentire la vostra voce. In questo nuovo spazio vi chiediamo di far emergere attraverso i vostri contenuti la vostra visione del mondo, i vostri problemi, le vostre speranze, come vorreste che le cose funzionassero, quale società immaginate al posto dell’attuale, quali sono le vostre idee e le vostre riflessioni sulla storia politica internazionale e del nostro paese. Non vi chiediamo standard “elevati” o testi di particolare lunghezza: vi chiediamo solo di mettervi in gioco. L’AntiDiplomatico vi offre questa opportunità. Contribuite a questo spazio scrivendo quanto volete dei temi che vi stanno a cuore. Scriveteci a: generazioneantidiplomatica@gmail.com
-------------------
Articolo di Pablo Baldi
I referendum sul lavoro proposti dalla CGIL hanno visto reazioni diverse dentro il mondo del sindacalismo conflittuale. Il Sindacato Generale di Classe sottolinea i risvolti positivi di un eventuale vittoria del sì nei primi quattro quesiti sul lavoro, ma non ne ignora i limiti.
Segue intervista:
Quali sarebbero gli effetti concreti della vittoria del sì nei 4 quesiti sul lavoro?
A differenza di come vengono presentati dai promotori, gli esiti di questi referendum non incideranno sulle cause strutturali dello sfruttamento, della precarietà, della sicurezza nei luoghi di lavoro. Slogan come “per un equo indennizzo”, “aboliamo i contratti precari”, “fermiamo le morti sul lavoro”, “impediamo i licenziamenti illegittimi” non trovano riscontro nei contenuti reali delle proposte.
• Quesito 1 – Licenziamenti e reintegro nelle imprese con più di 15 dipendenti. Se vincesse il sì non verrebbe reintrodotto l’art. 18 nella originaria formulazione della legge 300/70 ma quello, fortemente depotenziato, modificato nel 2012 con la legge n. 92/2012 (riforma del mercato del lavoro). Quindi, se da una parte potrebbero ampliarsi gli ipotetici casi di reintegra nel luogo di lavoro, dall’altra, paradossalmente, nei casi in cui è previsto il solo risarcimento si tornerebbe alla legge Fornero del 2012 con il massimo del risarcimento a 24 mensilità, anziché alle 36 mensilità generalmente applicate a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale.
• Quesito 2 – Licenziamenti e indennizzo nelle piccole imprese. Se vincesse il sì verrebbe abolito il limite massimo alla misura dell’indennizzo. Risultato positivo, ma surrogato dell’unica vera garanzia di tutela per il lavoratore: la reintegra nel luogo di lavoro, resa già meno efficace rispetto alle imprese di maggiori dimensioni. La quantificazione dell’indennizzo, anche in questo caso, viene lasciata alla discrezionalità del giudice.
• Quesito 3 – Obbligo della causale per i contratti a termine. Premesso che tutti i contratti a termine dovrebbero avere la causale, non possiamo non denunciare la demagogia della promotrice CGIL che, con CISL e UIL, ha firmato contratti collettivi che prevedono fino al 42% di lavoratori precari sul totale dei dipendenti (esempio il recente CCNL dei trasporti e logistica). Se vincesse il sì, quindi, non verrebbe né garantita la stabilità del rapporto di lavoro né verrebbe scalfito il precariato.
• Quesito 4 – Appalti e sicurezza: in caso di vittoria del sì l’effetto sarebbe più simbolico che concreto. L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di eliminare gli infortuni e le morti sul lavoro, raggiungibile non soltanto ampliando le responsabilità, ma eliminando la pratica degli appalti al ribasso, eseguendo maggiori controlli sull’applicazione delle norme, inasprendo le condanne nei confronti dei datori di lavoro che le trasgrediscono, rendendo partecipi e formati davvero i rappresentanti sindacali per la sicurezza. L’esempio in negativo è rappresentato dall’ex ILLVA di Taranto dove la sicurezza dei lavoratori, diretti e in appalto, è costantemente sacrificata in nome della necessità di produrre e del ricatto occupazionale, anche dalle OO.SS. interne, CGIL compresa. Per l’ultimo grave incidente che si è verificato non è stata indetta neanche un’ora di sciopero!
I quesiti sono stati proposti dalla CGIL. Quali sono i più evidenti tradimenti che questo sindacato ha commesso nei confronti della classe lavoratrice?
Basta ripercorrere gli ultimi 40 anni della nostra storia e confrontare le condizioni di vita e di lavoro di allora e di oggi per comprendere l’inarrestabile trasformazione di quello che fu il 2 sindacato di Di Vittorio. Hanno svenduto tutte le conquiste ottenute dalla classe operaia, hanno consentito che la cosiddetta democrazia rimanesse fuori dai cancelli delle fabbriche, ingabbiando il potenziale di lotta in leggi e regolamentazioni contro la libertà di sciopero. Un sindacato ormai in pieno conflitto di interessi: grande elargitore di servizi, di assicurazioni, gestore di fondi sanitari e pensionistici. Basti pensare al tema della sanità pubblica: a parole dicono di volerla difendere, nei fatti in tutti i contratti spingono per l’adesione alla sanità privata. Oppure al TFR che vogliono sia dirottato ai fondi da loro gestiti anziché lasciato in azienda o all’INPS.
Pensate che il referendum sia un buono strumento di lotta di classe per conquistare o difendere i diritti conquistati dai lavoratori?
Il referendum in materia di diritti dei lavoratori è uno strumento molto insidioso perché si chiama al voto l’intero corpo elettorale, controparti comprese. Troppi i potenziali elettori non direttamente coinvolti e motivati a schierarsi a favore del lavoro dipendente. Troppi anche i diretti interessati che verranno esclusi dal diritto ad esprimersi, come i milioni di lavoratori stranieri. Non possiamo dimenticare, a titolo di esempio, il drammatico esito del referendum che confermò l’eliminazione della “scala mobile”, il meccanismo che adeguava automaticamente i salari all’inflazione reale (eliminazione sollecitata dall’Unione Europea). I diritti sul lavoro sono stati conquistati, si difendono e si continua a migliorarli con la lotta di classe non con strumenti di dubbia efficacia. Una lotta che i confederali, compresa la CGIL, hanno svenduto e abbandonato già dagli anni ’80.
Se gli effetti sono così limitati, per non dire inesistenti o dannosi, perché i partiti di centro-sinistra e della sinistra radicale dicono acriticamente di votare sì?
Diverse le ragioni, non tutte “convergenti”. L’obiettivo “interessato” di avvicinamento, principalmente tra CGIL e PD, è per la CGIL quello di ottenere una legge sulla rappresentanza sindacale che trasformi in legge il Testo Unico liberticida del 10.01.2014. Una legge fortemente richiesta dalla CGIL per rafforzare il monopolio confederale sui lavoratori, ridurre ulteriormente la democrazia nei luoghi di lavoro e il diritto di sciopero; per il PD è quello di aprire uno scenario politico in vista delle prossime elezioni 2027. Stesso interesse per i partiti della cosiddetta sinistra istituzionale e probabilmente per quelli della cosiddetta sinistra radicale. Si tenta di attrarre strati della popolazione che vive del proprio lavoro senza “aggredire” i problemi reali che li attanagliano: salari sempre più inadeguati al costo della vita, lavoro precario e sottopagato, servizi sociali inesistenti o con costi inaccessibili, sanità privatizzata, pensioni misere, diritto alla casa inapplicato e inapplicabile. Basta andare in un qualsiasi supermercato per vedere quanto i prezzi dei beni di prima necessità, dagli alimentari a quelli per l’igiene, siano aumentati. Chi lavora fatica ad arrivare a fine mese, chi lavora saltuariamente o chi il lavoro non ce l’ha sprofonda sempre di più in una condizione di povertà assoluta. Visti i provvedimenti votati in questi anni dall’intero arco costituzionale, guerre e spese militari comprese, sostegno al ReArm europeo e alle politiche di incremento delle spese in favore della NATO che inevitabilmente porteranno alla distruzione della sanità e della previdenza pubblica, la distruzione operata sui diritti in materia di tutele del lavoro proprio quando a governare c’era la finta sinistra, non possiamo certo attribuire l’iniziativa referendaria ad un improvviso interesse per 3 la classe che lavora. Propendiamo per una interpretazione molto meno benevola: sanno che, anche nell’ipotesi di una vittoria del sì, l’impatto sarebbe più mediatico che concreto.
Che valutazione date della scelta di USB di criticare 3 dei 4 quesiti sul lavoro ma di creare comunque un comitato indipendente per spingere a votare 5 sì?
In realtà, oltre ad USB anche altre organizzazioni sindacali di base hanno fiutato l’inganno (ci vuole poco), hanno valutato molto lucidamente le ragioni per cui la CGIL ha promosso i 4 referendum. Tuttavia hanno assunto posizioni decisamente singolari, invitando in modo convinto ad andare a votare sì. D’altra parte, altrettanto singolare è anche la scelta di firmare l’accordo liberticida del 10 gennaio 2014, invocando contestualmente una maggiore democrazia nei luoghi di lavoro. Le ragioni di queste scelte, però, devono essere chieste a loro. Per quanto riguarda la nostra Organizzazione sindacale, tra le poche non firmatarie dell’accordo del 10 gennaio 2014, non è stata espressa una indicazione di voto ma esposta la nostra analisi e la nostra valutazione politica e sindacale sui referendum e su chi li promuove.
I lavoratori con cui avete parlato che posizioni esprimono riguardo ai referendum?
I lavoratori nostri iscritti hanno smesso da tempo di credere alle panzane della CGIL e dei confederali. Hanno imparato, anche sulla loro pelle, che dietro ad ogni loro proposta si nasconde una fregatura o nel migliore dei casi “niente di positivo”. Parlando in generale con i lavoratori, pur rilevando differenze tra i diversi settori lavorativi, abbiamo rilevato che i quesiti risultano tecnicamente complessi, di difficile comprensione per i non addetti ai lavori e, di conseguenza, facilmente “spendibili” per una propaganda mediatica ingannevole. Abbiamo visto girare poche analisi approfondite; condivisibili o meno, sarebbero state utili per far maturare opinioni, dibattiti e conseguenti scelte. Alcuni lavoratori, quindi, pur non avendo compreso né la portata né i reali effetti dei quesiti proposti, seguiranno acriticamente le indicazioni dei loro dirigenti (politici o sindacali). Altri, semplicemente, non andranno a votare ciò che non hanno compreso. Altri ancora voteranno sì ad alcuni quesiti apparentemente più comprensibili (ad esempio il quesito 4 sull’estensione alla ditta appaltante della responsabilità in caso di infortunio sul lavoro). Questo quadro dimostra ulteriormente l’inadeguatezza ed i conseguenti rischi nell’utilizzo dello strumento “referendum” per affermare o difendere diritti in materia di lavoro.
Parlando del referendum sulla cittadinanza, qual è la vostra posizione?
Il sindacato è favorevole in linea di principio, ma lo considera un provvedimento senza reale impatto sociale sui diritti dei migranti lavoratori, soprattutto considerando quanto spesso per loro il problema sia l’ottenimento della residenza legale piuttosto che la durata per ottenere la cittadinanza .