Fascismi e antifascismo: il senso del 2 giugno oggi

La Festa della Repubblica oggi tra antifascismo di facciata e fascismo finanziario (ignorato)

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Fascismi e antifascismo: il senso del 2 giugno oggi

 

di Paolo Ercolani 

 

La Repubblica italiana, di cui il 2 giugno si celebra il 77esimo anniversario, è stata fondata certamente sui principi dell’antifascismo ideologico, ma oggi risulta sprofondata nel fascismo finanziario. Peraltro in buona compagnia di tutte le democrazie occidentali.

Provo a spiegarmi. È stata fondata sulla base dell’antifascismo poiché, dopo un ventennio dittatoriale, liberticida e omicida, con un regime che ha coinvolto il paese in operazioni belliche tanto di natura imperialistica quanto militarmente disastrose, si è venuta formando una Resistenza – composta da comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani e azionisti – che è arrivata a fondare la Repubblica dotandola di una Carta costituzionale che rifiutava il fascismo e ne proibiva ogni forma di rinascita ideologica o partitica. Ciò quantomeno sulla carta, per l’appunto, perché l’Italia ha sempre contenuto al proprio interno una larga fetta di cittadini nostalgici del ventennio o, quantomeno, di un uomo e un partito forte che affermassero determinati valori e princìpi in barba a quella cosa considerata fastidiosa e che passa sotto al nome di democrazia.

Insomma, l’Italia è pur sempre rimasta un paese in cui più o meno – a seconda dei frangenti storici – ritornava il culto dell’uomo forte (fino all’apoteosi del ventennio berlusconiano) e comunque resistevano sotto traccia impulsi reazionari, xenofobi, maschilisti e poco propensi a votarsi alla causa del rispetto delle regole democratiche.

Tuttavia tali impulsi sono stati contenuti – al netto di un certo terrorismo di destra, peraltro fronteggiato da quello di sinistra – all’interno di un contesto comunque democratico e capace di accogliere le conquiste sociali e culturali da cui è stato caratterizzato l’Occidente liberale dal dopoguerra fino a quasi tutta la seconda metà del secolo scorso.

Oggi non è più così e non soltanto in Italia. Ciò non solo, ma direi non tanto, perché nel belpaese è salita al potere una coalizione guidata dalla Destra radicale, o perché tale compagine ideologica si sta pericolosamente affermando in tutte le democrazie occidentali, compresi gli Stati Uniti che della democrazia sono sempre stati i sedicenti alfieri, con le politiche di Trump che in special modo verso gli stranieri ricordano il fascismo della peggiore specie.

Se l’antifascismo ha un senso preciso che va oltre i proclami ipocriti di facciata, infatti, occorre considerare che esso non ha riguardato soltanto l’opposizione a un regime che si è macchiato di razzismo, imperialismo e distruzione della democrazia formale (la pars destruens, per così dire), ma anche la lotta contro un regime che salì al potere picchiando gli operai che scendevano nelle piazze per i diritti dei lavoratori, che appoggiò il grande capitale a nocumento del benessere della gran parte della popolazione e che legiferò mortificando o annullando del tutto diritti fondamentali del popolo, dei lavoratori, delle donne e delle categorie sociali meno forti in genere.

Ecco, da questo punto di vista specifico, se l’antifascismo non vuole essere un’etichetta di facciata, ipocritamente buona soltanto per criticare l’attuale governo Meloni (più che criticabile sotto molteplici punti di vista, sia chiaro) ma di fatto incurante dei diritti sociali dei cittadini che lavorano, che pagano le tasse, che devono istruirsi e curarsi attraverso la sanità pubblica, allora è il caso di denunciare l’incombere di un fascismo che poco ha a che fare con i molti fascistelli ignoranti e incapaci che compongono l’attuale governo italiano. Ma poco ha a che fare anche con l’antifascismo di un centro-sinistra ormai da decenni non solo incapace di difendere i diritti sociali di cui sopra, ma che ha anche svolto un ruolo fattivo nello smantellare l’impianto sociale e democratico delle leggi che normano il lavoro, la sanità, la fiscalità e in generale il benessere delle classi sociali medie.

Una politica fiscale che tutela i più ricchi, una sanità a cui troppi devono rinunciare per mancanza di risorse economiche, per non parlare dei lavoratori sempre più costretti a lavorare per stipendi da fame e senza più quasi alcuna protezione, ciò unito ai profitti esorbitanti dei più ricchi, al fatto che a questi ultimi sia consentito di esercitare di fatto una dittatura sociale sulle classi medie e povere (sul piano lavorativo, fiscale, sanitario etc.), sono i sintomi più evidenti e preoccupanti di un fascismo finanziario montante rispetto al quale le istituzioni e i partiti democratici non hanno più armi – ammesso e non concesso che ne abbiano l’intenzione – per contrastarlo e contenerlo. Se viene minato quanto sancisce l’articolo 3 della Costituzione italiana, che sancisce il principio di uguaglianza e vita dignitosa di tutti i cittadini, mi sembra evidente che ci troviamo di fronte a un nuovo fascismo. Di cui sia i nostalgici del Ventennio al governo (non tutti) sia gli antifascisti di facciata all’opposizione (non tutti, ma molti) fanno finta di non accorgersi. 

Paolo  Ercolani

Paolo Ercolani

Paolo Ercolani (Roma, 1972) è filosofo, scrittore e saggista. Docente dell’Università di Urbino «Carlo Bo», ha scritto libri e articoli scientifici. Iscritto all’Ordine dei giornalisti, è autore di numerosi articoli per varie testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «il manifesto» e «MicroMega». Fra i suoi ultimi libri, “The West Removed. Economics, Democracy, Freedom: A Counter-History of Our Civilization” (2016), “Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio” (2016), “Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa” (2016). 

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