EDIP, European Defence Industry Programme, l’antipasto della economia di guerra
di Federico Giusti
Il Consiglio europeo dovrà presto verificare se gli obiettivi del Riarmo lanciato nella primavera scorsa, sono stati raggiunti o se invece il cronoprogramma presenta qualche intoppo o incidente di percorso di troppo. Se la Ue doveva introdurre enormi capitali e prestiti finanziari per il Riarmo e questo obiettivo può dirsi raggiunto, qualche problema, e decisi ritardi, invece riscontriamo nella realizzazione degli intenti del Libro Bianco di Draghi a proposito di attività industriali e di ricerca sinergiche tra i vari paesi comunitari. Di definitivo abbiamo ad oggi la Defence Readiness Roadmap 2030 presentata dalla Commissioni come sviluppo del Libro bianco del marzo scorso.
Che ci siano poi problemi dovuti a contraddizioni interne alla Ue è risaputo come anche le difficoltà nella messa a punto dell ‘European Defence Industry Programme (EDIP). L’EDIP altro non è che l’insieme dei finanziamenti per acquistare congiuntamente delle armi e quanto serve per l’equipaggiamento militare, presenta anche fondi destinati all’acquisto di materiali indispensabili ed urgenti avvalendosi di altri capitoli di bilancio. E proprio per questa ragione è impresa ardua conoscere l’esatta spesa militare quando si sovrappongono differenti e molteplici capitoli di bilancio, spesso afferenti a ministeri diversi.
L’EDIP ha un suo budget di spesa che da qui al 2027 dovrebbe aggirarsi su 1,5 miliardi di euro dei quali oltre 300 milioni già destinati all’Ucraina.
In questi giorni l’alto rappresentante Ue Kaja Kallas ha fatto suo il motto degli antichi per i quali la pace si difende preparando la guerra, se la Germania procede verso il riarmo con uno sforzo economico che non ha pari nel vecchio continente, altri paesi arrancano e faticano a raggiungere le spese promesse al cospetto Ue e Nato.
Ma resta innegabile che proprio in questi giorni tocchiamo con mano gli interessi materiali statunitensi perché la Ue impiegherà anni, ammesso che raggiunga in toto l’obiettivo, prima di acquisire la piena autonomia militare dai prodotti Usa, E sarebbe importante capire la composizione azionaria, la dislocazione dei siti produttivi, delle principali aziende di armi comunitarie prima di addentrarci in ulteriori considerazioni.
Gli obiettivi poi sono sempre quelli descritti da mesi ossia generare economie di scala, l’interoperabilità, acquisire maggiore standardizzazione dei prodotti evitando doppioni concorrenziali tra loro, attenuare la frammentazione dei mercati europei della difesa, accrescere il budget destinato da quasi 20 anni a investimenti congiunti nel settore militare e nella acquisizione di tecnologie di ultima generazione.
L’obiettivo presente è quello di ridurre la dipendenza militare e tecnologica Ue da paesi terzi e da qui il tentativo di guidare anche le acquisizioni di proprietà di aziende per evitare che altri paesi vengano a prendersi la tecnologia e la produzione del vecchio continente utilizzandole per competere alla fine con la stessa UE.
Fin qui tutto chiaro, poi ci saranno i prestiti Safe in deroga ai tetti di spesa e al limite imposto all’indebitamento statale, anche i fondi previsti, richiesti da 19 stati membri della Ue, sono già destinati a progetti e piani regolarmente sottoscritti.
L’uso della clausola permetterà ai Paesi che ne fanno richiesta – e sono stati la maggioranza – di “sforare” fino all’1,5 % del PIL i limiti fissati al deficit pubblico per nuovi investimenti sulla difesa. A tutt’oggi i fondi del piano SAFE – richiesti da 19 Stati membri – sono già stati interamente sottoscritti.
Ma qualche passo in avanti la Ue dovrà farlo in tempi relativamente celeri per droni, missili e la difesa aerea per acquisire l’auspicata “capacità strategica indipendente” ma “complementare” con i piani militari della NATO.
Nei fatti alla voce “Resilience and security, defence industry and space” sono previste cifre di gran lunga superiori alle iniziali previsioni, si parla di 130,7 miliardi di euro per sette anni, il che imporrà a mettere mano al Bilancio Ue che queste enormi somme non ha stanziato con le dovute coperture.
È bene ricordare l’obiettivo di portare in pochi anni la spesa al 5 % del PIL con un 3,5 per la difesa in senso stretto e un 1,5 per gli investimenti in sicurezza (infrastrutture per energia, trasporti e digitale), quello che vediamo nelle manovre di Bilancio è solo l’antipasto della economia di guerra.
Si tratta di far andare d’accordo allora non solo gli impegni assunti in seno alla Ue ma anche quelli presi in ambito Nato, di sicuro gli incentivi finanziari e fiscali dell’UE potrebbero andare in via privilegiata ad integrare i bilanci nazionali per dare impulso alla industria militare europea, ci sarà da capire se tutte le aziende del vecchio continente vorranno muoversi in questa direzione o se invece subiranno le forti pressioni di importanti azionisti extra europei. Se il sostegno all’Ucraina è il banco di prova della vincente sinergia tra paesi Ue i prossimi mesi sapranno offrirci qualche elemento in più, di sicuro noi siamo certi che il disimpegno Usa dagli scenari europei sia funzionale all’accrescimento della spesa militare del vecchio continente e avere maggiori risorse da concentrare in settori nei quali i ritardi europei sono assai evidenti.
E non possiamo escludere che parte dei fondi finirà nelle tasche degli Usa che guadagneranno somme ingenti dalla vendita delle loro piattaforme e tecnologie senza le quali la industria Ue almeno in campo missilistico e spaziale non potrà acquisire le competenze necessarie. Ecco spiegata la ragione del dibattito, serrato sulla necessaria “europeizzazione” dell’EDTIB che potrebbe tradursi nella standardizzazione degli equipaggiamenti militari europei ragionando in una ottica comunitaria e non più nazionale.
I grandi gruppi come Airbus, Rheinmetall, Dassault, Safran, Thales, MBDA e KNDS, BAE Systems, Leonardo saranno sempre più protagonisti delle scelte industriali nell’immediator futuro, non desti meraviglia la crescita esponenziale delle deroghe anche in materia di appalti per velocizzare l’affidamento e la realizzazione di sistemi di arma. Al contempo gli investimenti saranno rivolti in misura quasi assoluta alla continua trasformazione delle tecnologie dual use per portare i necessari cambiamenti alla industria militare, al modello di difesa oggi esistenti. Le ripercussioni sulla ricerca sono scontate, i finanziamenti saranno selezionati e debitamente indirizzati, la lunga mano delle imprese di armi e delle Fondazioni ad esse legate sulla ricerca e sull’università andrà di pari passo al depotenziamento degli investimenti pubblici verso tutti quei settori, quelle branche di studio, estranei al grande riarmo.
https://www.consilium.europa.eu/it/policies/defence-industry-programme/
Difesa: il nuovo cantiere dell'industria europea | ISPI
State of the Union Address by President von der Leyen

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