E se il problema fosse proprio il ruolo della Cgil?

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E se il problema fosse proprio il ruolo della Cgil?

 

di Federico Giusti

Sono trascorse poche settimane dalle elezioni referendarie ma in realtà sembrano passati anni con una autentica giravolta moderata della Cgil che del resto avevamo già ipotizzato ricordando proprio i fatti di 40 anni or sono quando Cisl Uil, e la minoranza socialista della Cgil, boicottarono ogni residua difesa della scala mobile.

Spiace dirlo ma sembra che il solo obiettivo sindacale rimasto sia quello di rafforzare l’intesa con Cisl e Uil riaprendo tavoli di trattativa in ogni settore, ad esempio nel comparto meccanico, senza prendere atto che quella unità sindacale è venuta meno negli ultimi mesi e a tenerla in piedi è rimasto un pericoloso convitato di pietra, o un sistema di interessi, che ruota attorno a Enti Bilaterali, Caf, Patronati, Sanità e previdenza integrativa. E a proposito del settore meccanico qualche parola andrebbe spesa sulla riconversione di aziende a fini militari, se guardiamo alla Germania produzioni civili stanno per passare al militare proprio con il sostegno acritico del sindacato che pensa di superare la crisi strutturale delle 4 ruote.

Da parte nostra siamo assai preoccupati per la firma di alcune intese con aumenti inferiori al costo della vita o la mancata sottoscrizione di alcuni accordi senza avere criticato prima l'assetto contrattuale e i contenuti stessi delle relazioni sindacali. Insomma, se urgono accordi contrattuali dignitosi il recupero del potere di acquisto e di contrattazione dovrebbero essere parte attiva e prioritaria delle rivendicazioni, al contrario ascoltiamo richieste generiche come se il problema si risolvesse solo assicurando maggiori risorse economiche ma evitando di entrare nel merito dei meccanismi che regolano gli aumenti contrattuali e gli stessi contratti

Non è la frammentazione negoziale ad alimentare disuguaglianze e a dividere i lavoratori, sono invece proprio i contratti degli ultimi decenni ad avere accresciuto disparità e trattamenti iniqui sta qui la principale critica avanzata alla Cgil.

Ma anche il linguaggio ha il suo peso, noi non parleremmo di mercato costruito tra instabilità e basse tutele, la idea stessa di mercato del lavoro si basa da anni sui bassi salari, sulla precarietà e sulla contrazione delle tasse, sul supporto statale ai padroni sotto varie forme, basterebbe leggere solo i bollettini delle associazioni datoriali per farsi una idea di quanto vicine siano le posizioni datoriali e dei sindacati rappresentativi.

E mentre il Governo licenzia la partecipazione dei lavoratori alle dinamiche aziendali in ruoli ovviamente subordinati, la Cgil continua a chiedere una legge sulla rappresentanza e lo fa con sindacati come Cisl e Uil che per principio non vogliono riconoscere agibilità ai sindacati di base anche laddove i loro numeri sono rilevanti ma rivendicano invece un insieme di regole che un sindacato democratico e conflittuale dovrebbe rifiutare.

E si torna a parlare di reale rappresentatività quando nella PA un sindacato firmatario di contratto è presente alle trattative anche se non ha membri in Rsu, di quale democrazia parla allora la CGIL? Di quel sistema di regole che si sono costruiti avallando prima le scelte governative del centrosinistra al pari di quanto oggi fanno Cisl, Ugl e Sindacati autonomi con la destra al potere?

E spiace ricordare a Landini che al di sotto di una paga dignitosa ci sono molti contratti siglati anche dalla Cgil perfino mentre faceva campagna a favore dei referendum, contratti che riguardano complessivamente milioni di lavoratori in attesa di risposte, altro che la solita stantia polemica sui contratti pirata

Neanche sul welfare ci sono posizioni chiare, le risorse destinate al contrasto della povertà negli ultimi due anni e mezzo hanno perso oltre 3 miliardi ma non ci risultano proteste di sorta.

E dovrebbe suscitare indignazione l’incremento delle prestazioni di cassa integrazione e NASpI a conferma che la crisi imperversa nel sistema produttivo per quanto ne dicano al Governo.

 È il segnale che la fragilità del mercato del lavoro si sta accentuando mentre la crisi sociale è sempre più profonda.

E poi il sistema fiscale, la rivendicazione di ripristinare tante aliquote fiscali quante ve ne erano negli anni Settanta dovrebbe essere accompagnata alla richiesta di un fisco equo e progressivo, al contrario incontriamo solo dichiarazioni congiunte sulla necessità di accrescere il taglio del cuneo fiscale e con i soldi pubblici si pagano gli aumenti contrattuali al posto delle associazioni datoriali. E perfino davanti alle temperature di queste settimane con malori e morti sul lavoro la risposta è sempre quella debole tra ammortizzatori sociali e protocolli di intesa con le istituzioni e le associazioni datoriali senza, ad esempio, accorciare gli orari a parità di salario. Cosa pensiamo di fare allora? La Cgil è sempre più simile al Giano Bifronte, prenderne atto dovrebbe essere la prima iniziativa per guardare la realtà con obiettività e non accontentarsi delle parole.

 

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