"Disforia di genere": un pericoloso cavallo di Troia?
America sull’orlo della guerra civile? Sembrerebbe di sì: per la promozione della birra Budweiser - negli USA, da sempre, simbolo di “mascolinità”- ora in mano a tale Dylan Mulvaney, un trans con dieci milioni di followers su Tik Tok. Sembrerebbe. Ma se si analizzano meglio le tante “notizie” apparse sui media USA (come le bombe minacciate contro la Budweiser da fantomatici “gruppi sovranisti” o l’altrettanto inesistente crollo in Borsa della Budweiser) si capirà che (al pari di quanto successe nel 1985 con il “tradimento” della Coca Cola) si tratta di una mera strategia di marketing per rifidelizzare i consumatori storici e procacciarsene degli altri; altro che spianare la strada al transumanesino come denunciato da più parti su internet.
Questo significa che la spasmodica attenzione ai trans che sta avvincendo media, aziende e governi sia da sottovalutare? Tutt’altro, basti soffermarsi sulla Pfizer che dopo avere inneggiato ai transgender, ha sponsorizzato, con i Grammy Awards di quest’anno, il loro nume tutelare Sam Smith. Sui social è stato tutto un ribollire di proteste per il video del suo spettacolo, che invita ad adorare il demonio: evidente “prova” che la già famigerata multinazionale opera per imporre un mostruoso transumanesimo finalizzato a capovolgere i valori della società. Molto probabilmente, invece, l’interesse della Pfizer per promuovere la causa gender è dettato da interessi ben diversi ma altrettanto loschi. Ci riferiamo al colossale business che sta promuovendo la moda della disforia di genere e cioè del disagio ad appartenere ad un sesso assegnato burocraticamente alla nascita.
Solo da qualche decennio la trasformazione da maschio a femmina, o viceversa, comincia ad essere considerata non una disgrazia o una malattia ma un accadimento da affrontare. Come? E, soprattutto, per ottenere cosa? Il passaggio al nuovo sesso o il convinto mantenimento nel sesso primigenio? Obiettivi che presuppongono una attenta analisi psicologica e clinica in quanto se si trattasse di una disforia di genere transitoria, il cambiamento di sesso effettuato frettolosamente potrebbe comportare gravissimi problemi.
In tal senso, ad esempio, andava il comunicato della Società Psicanalitica Italiana (SPI) che, nel gennaio di quest’anno, esprimeva grande preoccupazione per i sempre più diffusi farmaci (a totale cario del Servizio sanitario nazionale) finalizzati a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi, di entrambi i sessi, a cui era stata diagnosticata una “disforia di genere”. Questa diagnosi in età prepuberale, evidenziava la SPI, è, spesso, basata sulle sole affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso. A questo è da aggiungere che solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione dopo la pubertà.
Questo appello, invece di una levata di scudi, avrebbe meritato una attenta riflessione anche perché la diagnosi di disforia di genere - così come emerge in quello che è considerato il più attendibile studio (condotto da K.J. Zucker nel 2017 riportato in un documento dell’Istituto superiore della Sanità - avrebbe dovuto essere confinata in un numero ristrettissimo di persone (lo 0,005-0,014% nei maschi e lo 0,002-0,003% nelle femmine) mentre oggi, come già detto, affibbiare lo status di trans è diventata una sorta di moda, alimentata anche da celebrità di Hollywood che sbandierano i loro figli transgender come se fossero un trofeo. Questo ha determinato un colossale effetto bandwagon (o “imitativo”) e una impennata delle richieste, da parte di adolescenti, per cambiare sesso; un trend destinato ad aumentare come deducibile da questo sondaggio.
A tal riguardo esemplare è il caso della Tavistock Clinic di Londra - fino al 2018 unico centro pubblico inglese dedicato al trattamento dei minori e punto di riferimento internazionale nel trattamento della disforia di genere - che, nel luglio 2022, quando è stata chiusa (per inciso, a seguito della causa intentata e vinta da un’adolescente che la accusava di averla plagiata per spingerla ad una trasformazione chirurgica irreversibile) aveva registrato un aumento del 4400% di richieste da parte dei ragazzi/e, rispetto al decennio precedente.
Come già detto, nel dilagare della cultura trans c’è chi vede un Cavallo di Troia per imporre un transumanesimo e cioè una simbiosi tra essere umano e tecnologia che con la rimozione di ogni identità (culturale, etnica, sessuale…) tende a creare un individuo annichilito nella sua identità, con una sessualità fluida, ambigua e polimorfa; resettato, privo di punti di riferimento e di sostegno (come la comunità, la famiglia, l’ideologia, la religione) mero consumatore di merci e di mode; inconsapevole schiavo del “Nuovo ordine mondiale”.
Esagerazioni? Forse. Comunque, va detto che contro il dilagare di questa cultura, consacrata al recente Festival di Sanremo, sono, davvero poche le voci critiche “a sinistra” dove i più si limitano ad affollare i vari pride o a sostenere abomini quali l’utero in affitto e il “reato di omotransfobia” o a inneggiare a quella preside che, credendo di fare cosa buona e giusta, ha abolito ogni regola di genere per usufruire dei bagni della scuola.
Da Avanti.it