"Chi vuoi spianare?" Quello che pensano i familiari degli ostaggi israeliani del governo Netanyahu

"Chi vuoi spianare?" Quello che pensano i familiari degli ostaggi israeliani del governo Netanyahu

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di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


Per Gil Dikman il governo israeliano è troppo impegnato a distruggere Gaza, per riportare a casa i suoi parenti, ostaggi di Hamas. Lunedì, durante un’audizione in commissione parlamentare del “Forum sulle famiglie rapite e scomparsi”, ha tenuto un appassionante e duro intervento rivolto all’ex ministro Galit Distel Atbaryan, per un post pubblicato su X il primo novembre, in cui l’esponente del Likud definiva i palestinesi “dei mostri” e chiedeva di cancellare, annientare e spianare Gaza.

"I miei cugini sono lì. Ci sono bambini, ebrei e arabi. Chi vuoi spianare? Gli esseri umani che hai abbandonato [gli ostaggi NdR], gli esseri umani che vivono sotto un regime assassino [i palestinesi sotto Hamas NdR] sono quelli che vuoi spianare? Basta con gli slogan. Prendetevi cura della vita perché c'è vita a Gaza”.

I familiari degli ostaggi sembrano essere consapevoli del fatto che i furiosi slogan di odio e vendetta del governo di Benjamin Netanyahu siano solo propaganda di guerra. I loro cari sono stati abbandonati da Israele e forse stanno morendo non per mano di Hamas, ma sotto le bombe dell’esercito che dovrebbe salvarli.

Mentre in Italia le foto degli ostaggi vengono utilizzate  per creare consenso attorno alla guerra contro Gaza, in Israele i familiari rifiutano di essere i testimonial di un massacro, chiedono un accordo di scambio e addirittura scendono in piazza per manifestare contro il governo.

Israele si rifiuta categoricamente di trattare con Hamas, ritiene che la vittoria sia l’unico modo per salvare gli ostaggi. I rappresentanti del Forum non la pensano così. Non possono attendere ancora molto il ritorno di familiari e amici. In quasi quaranta giorni di guerra non hanno avuto alcuna informazione sui loro cari, non sanno se sono vivi o morti, non hanno la minima idea delle condizioni di detenzione.

Shmuel Brodtz ha detto alla commissione che preferirebbe che Israele accettasse un cessate il fuoco, se fosse possibile garantire che gli ostaggi venissero visitati dalla Croce Rossa, che non è ancora riuscita a raggiungerli. Sua nuora e i suoi nipotini sono rinchiusi da qualche parte a Gaza.

“Ho un nipote di quattro anni. Non sa cosa sia Hamas. È tenuto lì al buio, non so se mangia, beve o è vivo. Al governo israeliano non importa che io non riceva alcuna informazione. Se c’è bisogno di concedere un cessate il fuoco, deve farlo”, afferma.

Le sue parole sono scevre da sentimenti di vendetta: “Se  tuo figlio fosse a Gaza, cosa faresti?” chiede Brodtz a Distel Atbaryan.

"I rapiti sono cittadini di questo Paese, e se uno di loro non ritorna sano e salvo, questo Paese non ha il diritto di esistere", ha detto un altro rappresentante.

In generale, i familiari degli ostaggi temono che la liberazione dei loro cari sia un obiettivo secondario rispetto a quello militare di vincere la guerra. Dopo lo shock iniziale, in Israele è cresciuta la rabbia dell’opinione pubblica, con le famiglie dei prigionieri aspramente critiche nei confronti del governo. Lo scorso sabato, come quello precedente, hanno manifestato a Tel Aviv. Alcuni chiedevano concessioni, altri i negoziati con Hamas o un accordo per la liberazione di tutti i prigionieri.

Yakovi Inon, 78 anni, e sua moglie Bilha, 76, sono stati assassinati a Netiv HaAsara il 7 ottobre. Loro figlio Maoz da alcuni giorni ha piazzato una tenda davanti al parlamento israeliano a Gerusalemme. Chiede a Netanyahu di dimettersi e di porre fine alla guerra.

“La guerra non finirà finché Netanyahu sarà al suo posto”, afferma in un’intervista. Lancia un appello: “Chiedo al mondo di non inviare armi a Netanyahu. Non mandateci armi, non mandateci navi da guerra. Mandateci la pace. Mandateci amore. Mandateci riconciliazione”.

Nel presidio che ha allestito campeggiano i volti delle vittime di Hamas e delle persone trattenute ancora a Gaza. Quelle stesse immagini che in Italia sono strumentalizzate per sostenere la guerra di Israele, in Israele diventano uno strumento per chiedere la pace in Palestina. Maoz ha disposto dei lumini accesi per omaggiarli. C’è una bandiera israeliana.

“Capisco il desiderio di vendetta, ma vedo dove questa vendetta ci ha portato”, scrive su Istangram.

La madre di Neta Heiman Mina, attivista di ''Women Making Peace'', è ostaggio a Gaza: "Non importa quante volte cercheremo di spazzare via Hamas – scrive sui social - il prossimo round sarà sempre peggiore. La convinzione che la soluzione debba essere politica non solo non si è indebolita, ma si è rafforzata, perché questa volta sono stato colpita personalmente".

Sabato alcune centinaia di pacifisti ebrei e arabi hanno sfidato la repressione e organizzato una protesta contro la guerra per chiedere al governo un cessate il fuoco. Durante il presidio hanno esposto striscioni e cartelli con slogan per chiedere una soluzione politica al conflitto, lo scambio dei prigionieri: “Non esiste una soluzione militare”, “solo i colloqui di pace risolveranno tutto”, “la guerra non ha vincitori”, “scambio degli ostaggi subito”.

Israele somiglia sempre più ad un Moloch che danza sui corpi dei propri morti, per spargere altro sangue e altra distruzione. Si pone al di sopra della giustizia internazionale, con slogan furenti istiga nel suo popolo la vendetta. Subordina la liberazione degli ostaggi alla vittoria su Hamas. Nella dottrina Dahiya ciò si traduce in guerra senza regole: a Gaza nessuno è innocente. Ogni civile, ogni casa, ogni scuola, ogni ospedale diventa un obiettivo militare dell’esercito israeliano. Il diritto alla difesa di Israele si converte in terrorismo di Stato.

La campagna #kidnapped, “Rapiti”, è stata creata subito dopo il 7 ottobre, da artisti israeliani che vivono a New York, con lo scopo di costruire il sostegno internazionale per la liberazione degli ostaggi. In diverse città italiane come Roma, Napoli, Milano, Torino, Parma, le foto dei rapiti sono apparse sui muri delle strade, con il loro nome ed età per creare un legame empatico ed emozionale con chi osserva il volantino. Sotto ogni volto sorridente, l’appello: aiutaci a riportarli a casa.

La richiesta, apparentemente ineccepibile, nasconde la domanda “in che modo?”.

Se Israele intende liberare gli ostaggi distruggendo Gaza ed espellendo i palestinesi dalle loro terre– come dichiarato dai vertici politico-militari israeliani – allora sostenere una campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri di Hamas vuol dire sostenere una guerra contri i civili e quei volantini altro non sono che propaganda bellica. Questa è la semplice ragione per cui spesso vengono strappati.

La realtà in Israele è diversa dalle campagne propagandistiche. Molti dei familiari dei 240 prigionieri e delle vittime rifiutano che i loro cari siano utilizzati per legittimare un massacro, rifiutano logiche di odio, rifiutano la mostrificazione dei palestinesi. Chiedono uno scambio di prigionieri, chiedono concessioni, chiedono il cessate il fuoco, la riconciliazione, la pace. Chiedono di restare umani.

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