Caccia alle Streghe, Zakharova e non solo
“Tremate, tremate, le streghe son tornate!”
Con l’approssimarsi di Halloween l’allarme si è fatto ricorrente. A farne le spese è stata Susan Fatayer, candidata alle elezioni regionali in Campania. La lobby sionista ha protestato presso i vertici di AVS reclamandone l’estromissione. Cosa aveva fatto di male questa signora di origine palestinese che fino a poco prima era una perfetta sconosciuta? Semplicemente una svista nella condivisione di un post, ma tanto è bastato perché si rispolverassero forme di dileggio personale che non si erano più udite dai tempi del Covid (“In leggerissimo sovrappeso” e per di più “napulitana”, ha detto di lei un decano del giornalismo nostrano).
Poi è toccato alle femministe politically incorrect, un’indagine giudiziaria durata nove mesi, i tempi ordinari di una gestazione rispetto a quelli biblici della giustizia penale e civile. A quanto pare tutto sarebbe scaturito da una denuncia privata per stalking ma il messaggio veicolato dai media è che le streghe avrebbero in questo caso oltraggiato via social figure pubbliche in odore di santità (Mattarella, la senatrice Segre e la Murgia, una sacra trimurti del progressismo nostrano), nonché Cecilia Sala (una tra le fate turchesi dell’informazione).
Quindi è stata la volta di Francesca Albanese, la funzionaria delle Nazioni Unite che i giornalacci della destra sottopongono a lapidazione un giorno sì e l’altro pure. La relatrice per i problemi palestinesi è stata chiamata in causa da Danny Danon, ambasciatore israeliano all’ONU: “Sig.ra Albanese, lei è una strega […] una strega fallita […] possano le sue maledizioni continuare a ritorcersi contro”. Quest’ultima però piuttosto che arretrare ha rilanciato: “se avessi il potere di fare incantesimi li userei per fermare il genocidio e per mandarvi dietro le sbarre”.
Ma la vera strega, quella che ha suscitato lo sdegno bi-partisan di tutti i benpensanti non poteva che essere una figlia delle steppe, di quell’ impero del male resuscitato dalle sue ceneri come la mitica fenice. Riferendosi al crollo della Torre dei Conti a Roma Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri russo, ha detto che l’Italia farebbe meglio a spendere “utilmente” i soldi dei contribuenti per salvaguardare i suoi monumenti piuttosto che sperperarli “inutilmente” per mandare armi all’Ucraina.
Ora, da che mondo è mondo, si sa che le cose vere non si gridano ad alta voce perché sono proprio queste quelle per cui ci si arrabbia di più. E se è così da sempre, ovunque figuriamoci nel paese del melodramma!
Ed infatti gli alfieri della libera informazione sono tutti scattati come un sol uomo: “come si permette costei, con una persona ancora sotto le macerie?! E, aggiungiamo noi (visto che le disgrazie non arrivano mai da sole) con il ministro Giuli ed il sindaco Gualtieri in pole position ad intralciare, pardon … a coordinare i soccorsi!
Le guerre di propaganda si nutrono da sempre di frasi ad effetto, ma che la sig.ra Zacharova fosse a conoscenza del fatto che in quei momenti la vita di un operaio fosse appesa ad un filo, e soprattutto che intendesse speculare su questo punto, è cosa su cui è più che lecito dubitare. Quel di cui invece si può essere assolutamente certi è che le sue parole siano state usate strumentalmente nel vano sforzo di alimentare quella russofobia così cara alle nostre classi dirigenti e che, con aspri duoli di costoro, in Italia stenta ad attecchire.
Valga per tutti il pacato commento di Calenda :” Zakharova è feccia. Bisogna capire cosa sono i russi (non Putin, Zakharova, o chi per loro, ma i russi tout court [n.d.a.] ) deportano i bambini, ammazzano i civili. La Russia è un posto guidato da spietati assassini”. E il leader di se stesso, la cui presenza sugli schermi è inversamente proporzionale alle sue fortune elettorali, come un Bulldog ha continuato a stringere la presa proponendo di pagare il restauro della torre con i beni sequestrati ai russi.
Si urla e si sbraita, ma ci si tiene ben distanti dalla sostanza del problema. La perdita di ogni vita umana è sempre un dramma, ma qui vi è una tragedia nella tragedia. In tal caso non che sia morto un operaio ma che sia morto quel tipo di operaio; Octay Stroici, 66 anni , romeno. E che sia morto in quelle condizioni, per un pezzo di pane alla soglia della pensione. Ma quanti Octay Stroici vediamo ogni giorno sulla nostre strade (sempre più ingolfate) e nei cantieri delle nostre città (sempre più cementificate)? Li schiviamo con le nostre auto, li vediamo arrampicati su scale traballanti, in condizioni di insicurezza pressoché totali. E in tutto questo allora, qual’è la colpa della signora Zakharova? Quella di aver fatto da termometro.
Fior di esperti avevano già messo in guardia rispetto ad un intervento di restauro tecnicamente sbagliato,[1]ma bisognava spendere i fondi del PNRR, si rischiava di perderli. In un‘Europa pervasa da fregole belliciste comincia a mancare la trippa per gatti, meglio darsi alla caccia alle streghe quindi … e agli stregoni.
Nel frattempo infatti apprendiamo che, grazie all’intervento provvidenziale dell’eurodeputata PD Pina Picerno, al baritono russo Ildar Abdrazakov, è stata negata la partecipazione al Don Giovanni di Mozart presso il Teatro Filarmonico di Verona. Il cantante era stato descritto in questi termini dallo stesso ente lirico che poi lo ha estromesso: “uno dei bassi più ricercati dell’opera e uno degli artisti più celebrati e riconosciuti della sua generazione…la sua voce potente ma raffinata, unita alla avvincente presenza scenica hanno spinto i critici ad acclamarlo come un ‘basso sensazionale che ha praticamente tutto’ ”.
Dismesso prontamente il casco da cantiere, il ministro Giuli si è cinta la testa con l’elmo di Scipio per sentenziare con encomiabile tempismo che la “..propaganda al servizio di un potere dispotico…non può e non deve avere diritto di cittadinanza nel mondo libero”: “Crolla una torre ma la logica e il buon senso sono già crollati da un pezzo insieme alla decenza.
[1] Si veda l’intervista all’archeologo Andrea Carandini, “Corriere della Sera” 04.11.25

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