Astensionismo, le ragioni

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Astensionismo, le ragioni

 

di Michele Blanco*

Non partecipano alle votazioni chi da poco ha acquisito il diritto di voto, le giovani generazioni, insieme alle classi sociali meno abbienti perché non lo ritengono uno strumento democratico di partecipazione efficace e utile per incidere sulle questioni concrete della vita di tutti i giorni e di emancipazione collettiva.
 
Purtroppo alle recenti elezioni regionali in Abruzzo e in Sardegna non hanno votato circa il 50% dei cittadini che avevano diritto. Un dato estremamente preoccupante ma che non stupisce, perché questa tendenza va avanti da molto, troppo tempo. Già alle amministrative del 2021, ad esempio, si era registrata la stessa percentuale.
 
L’elemento che più colpisce è l’estrazione sociale degli astenuti. Nel 2021 gli elettori a basso reddito e basso livello di istruzione erano proprio quelli che avevano disertato in larga parte il voto: poco più di uno su quattro era andato alle urne. Tra gli elettori benestanti l'80% aveva votato. Questo dato ci dice qualcosa di veramente sorprendente e paradossale: gli appartenenti alle classi sociali disagiante non esercitano il diritto di voto oggi perché non lo ritengono più un reale strumento di difesa dei diritti sociali, in primis, e di emancipazione collettiva, quindi decidono di astenersi.
 
Un tempo, fino al 1919, con il suffragio universale maschile, in Italia non aveva diritto di voto gran parte della popolazione, in particolare i poveri, bollati come pericolosi, oppure le donne, che ottennero il diritto di voto solo nel 1946, perché ritenute non capaci di intendere e volere. Oggi, non hanno il diritto di voto i concittadini stranieri, le persone immigrate, anche di seconda generazione, che vivono nel nostro Paese, lavorano e pagano le tasse ma non hanno diritti politici.
È un'esclusione grave, che contraddice il principio fondamentale della democrazia, secondo cui tutti coloro che sono tenuti a obbedire alle leggi dovrebbero poter contribuire a fare le leggi. Gli esclusi di fatto, che si astengono volutamente invece, sono persone titolari dei diritti politici che possono votare e candidarsi, ma sentono di esprimere un voto che non contribuisce a eleggere un loro rappresentante nelle istituzioni. L’esempio più immediato è quello delle leggi regionali con assurdi e non limpidamente costituzionali premi di maggioranza con soglie di sbarramento che sono evidentemente troppo elevate.
 
Si può chiaramente definire chi non partecipa alle elezioni “autoescluso”, di fatto non rappresentato, che deliberatamente si astiene dal partecipare e dal votare. Di recente in Cile il referendum che avrebbe dovuto sancire la definitiva archiviazione della brutta Costituzione di Pinochet prevedeva l'obbligo del voto, con una multa anche piuttosto consistente per i disertori. A votare è andato più dell'80% delle persone e la riforma è stata incredibilmente bocciata. Questo dimostra che forse il problema dell'astensionismo non si risolve mai con mezzi coercitivi e sanzionatori.
 
Nel nostro Paese sono le persone di ceto sociale basso che vivono in aree periferiche, come la nostra regione, e meno istruite, che covano sentimenti di disinteresse verso la politica.
 
Loro non votano perché sono assolutamente convinte dell’inutilità del voto, oppure per protesta o ancora perché non aderiscono a nessun programma politico, visto che nessun partito si occupa seriamente dei loro pressanti problemi e delle ingiustificate e gravi diseguaglianze del nostro Paese. Nessuno che faccia realmente qualcosa per permettere a milioni di italiani di avere cure e una sanità adeguata, impedendo i continui tagli. Nessuno che si preoccupi realmente di combattere lo spopolamento di aree sempre più ampie dei nostri territori.
 
Nessuno che impedisca a milioni di persone di vivere, o meglio sopravvivere, con redditi irrisori che portano inesorabilmente alla povertà assoluta. Ancora nessun partito che faccia qualcosa per ridurre la precarietà del lavoro che da decenni sta assillando milioni di lavoratori che non riescono ad avere una vita tranquilla, serena e stabile.
 
In questo contesto il governo ha prospettato la necessità di un premierato.
 
Il premierato prevede l’elezione diretta del capo del governo, ma diversamente da quanto accade in altri sistemi presidenziali, contestualmente all’elezione del Parlamento, la lista collegata al candidato o candidata premier avrebbe, secondo questa proposta, un premio di maggioranza del 55%.
 
Ci sarebbe quindi una maggioranza non rappresentativa dell’elettorato e assolutamente blindata al solo servizio del capo del governo e questo va contro tutti i princìpi della Costituzione italiana e della democrazia, almeno come è conosciuta finora in tutti i sistemi ritenuti democratici nel mondo.
La riforma da un lato depotenzia le istituzioni di garanzia, tra cui il ruolo fondamentale della presidenza della Repubblica, perché quella maggioranza non rappresentativa vanifica le previsioni costituzionali di maggioranze qualificate per eleggere i vari organi di garanzia. Per altro verso, esautora ulteriormente il Parlamento, perché quando il Presidente della Repubblica dà l'incarico di formare un governo non esercita un potere arbitrario ma prende atto di quelli che sono gli equilibri parlamentari che sono il risultato del volere del popolo sovrano espresso attraverso il voto.
 
La vera e unica vittima della presunta riforma proposta dall’attuale governo sembra essere quindi il popolo italiano prima del Parlamento, talaltro già ridotto a un organo che ratifica il volere dell'esecutivo.
 
Il potere reale dei cittadini, previsto dalla Costituzione italiana, non è eleggere una persona, ma i suoi rappresentanti in due assemblee (Camera dei deputati e Senato della Repubblica), non una carica monocratica, che, evidentemente, non sarebbe rappresentativa della complessità della società se non in una visione assolutamente identitaria che nulla ha a che vedere con una democrazia rappresentativa della cittadinanza.
 
A questo punto ci dobbiamo tutti fare una domanda: a chi fa comodo che milioni d’italiani pensino che sia inutile andare ad esprimere il loro diritto fondamentale costituzionale del partecipare alle scelte politiche che riguardano tutti?

*Già pubblicato su "La Fonte periodico dei terremotati o di resistenza umana", maggio 2024, Anno 21, n. 5, p. 6.

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