Repubblica e la propaganda senza fine sullo "smart working"

Repubblica e la propaganda senza fine sullo "smart working"

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Tutta questa attenzione sulle vicende del Quirinale ci ha “distratti” dalle discussioni ancora accesissime in materia di lavoro, di diritti ad esso connessi e, in particolare, dalle mirabolanti prospettive aperte dallo smart working. Per la verità, quanto accaduto in merito alla elezione del “nuovo” Capo dello Stato era assolutamente prevedibile: provate a leggere cosa scrivevano Cornetti e Fazi il 13 gennaio dalle colonne de La Fionda. È chiaro che un contributo come quello proposto dai due autori non lo troverete facilmente in giro e, soprattutto, non in testate che non siano le solite che si salvano. Il resto non è informazione o riflessione: è banale, subdola e servile propaganda.
 
E i danni sono seri perché alla fine, diciamocela tutta, la gente ci casca e finisce col non incazzarsi più e incazzarsi è davvero importante in questi casi: se il popolo non si incazza, il sistema fa un po’ come gli pare. Se il popolo è assopito, la politica partorisce ciò che mai avremmo creduto possibile, persino che a determinare la scelta del Presidente della Repubblica siano esponenti politici come Luigi Di Maio. E abbiamo detto tutto.
 
E il mondo del lavoro, il suo racconto in particolare, è infestato dalla propaganda: lo era quando ci ingozzavano con la storia della flessibilizzazione che avrebbe dovuto attrarre gli investimenti, il rilancio economico e occupazionale; lo è oggi quando si parla di smart working.
 
E Repubblica ci sbatte in faccia il titolone: «Smart working, un lavoratore su 5 accetterebbe una retribuzione inferiore pur di non tornare in ufficio». L’occasione è ghiotta, offerta da uno studio a cura dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche (INAPP). Tuttavia è davvero curioso che il giornale non dia, nell’epoca in cui la gente legge solo i titoli degli articoli, sufficiente menzione (nemmeno nell’occhiello o nel catenaccio) del fatto che il 50% circa degli intervistati comunichi di riuscire a «disconnettersi» solo in pausa pranzo, oppure, che quasi il 65% (65%!) dei lavoratori lamenti la tendenza all’isolamento.
 
 
Dalla lettura del pezzo uno dedurrebbe viceversa che il lavoro agile sia tanto rivoluzionario per questo campione statistico da indurre persino alla rinuncia di parte della retribuzione pur di accedervi. Questa ipotesi, davvero avvilente e peraltro ad oggi assolutamente contra legem (ad oggi!) ci è stata proposta già diverse volte in quest’ultimo periodo. Si, insomma, lo smart working comincia pian piano ad assumere le sembianze di una forma di welfare aziendale (chi vi parla, peraltro, ritiene che il welfare debba essere pubblico e universalistico: piccola precisazione): un premio, in poche parole, una concessione che deve evidentemente prevedere un qualche ritorno, una contropartita, magari di carattere retributivo.
 
E tuttavia qualche genio potrebbe opinare: «ma allora come ti spieghi che il 20% dei lavoratori accetterebbe una contrazione retributiva pur di accedere al lavoro agile». La domanda assume ancora maggior rilievo in considerazione del fatto che «per oltre il 60% risulta problematico l’aumento dei costi delle utenze domestiche».
 
Alcuni (ricordiamo che l’80% è contrario!) accetterebbero tale umiliazione (perché di questo si tratta) non perché è la modalità di prestazione lavorativa a migliorare: il lavoro in sé non c’entra assolutamente nulla! Alcuni accettano perché è tutto il resto a fare schifo: i mezzi pubblici, le nostre strade, la mobilità in generale, le politiche abitative, l’aria che respiriamo, i servizi pubblici. È questo a fare schifo e dinanzi a tale contesto la gente si è arresa, dopo una lunga fase di rassegnazione, come la politica stessa si è arresa e lo abbiamo visto in questi giorni.
 
La verità è che i gruppi di potere dominanti, chi in poche parole la lotta di classe la sta vincendo, è infinitamente abile e guarda avanti e lontano (è una caratteristica del capitale, di chi investe, avere una prospettiva anche a lunghissimo termine). Pensate quanto raffinata sia la loro mente: prima ti tagliano lo stato sociale, ti impoveriscono, ti avvizziscono, rendendo tutto ciò che ti circonda un vero e proprio inferno e – dopo aver completato il quadro – ti concedono di sottrarti all’agone dantesco, a patto che tu rinunci a parte della tua retribuzione. Semplicemente geniale.
 
Piccolo dettaglio, questione ormai tutto sommato marginale, resterebbe da domandarsi quanto questo c’entri con la nostra Costituzione. Direi nulla, anzi ne sono piuttosto sicuro, ma ormai conta poco, praticamente niente.
*
Ho scritto “Contro lo smart working”, Editori Laterza 2021 (
 
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858144442) e “Pretendi il lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi”, GOG Edizioni 2019 (
 
https://www.gogedizioni.it/prodotto/pretendi-il-lavoro/)

Savino Balzano

Savino Balzano

Savino Balzano, nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Perugia. Autore di "Contro lo Smart Working" (Laterza, 2021) e di "Pretendi il Lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi" (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.

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