NAGORNO KARABAKH, ARTSAKH. La situazione dopo il cessate il fuoco

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NAGORNO KARABAKH, ARTSAKH. La situazione dopo il cessate il fuoco

 

 

                                                                                     A cura di Enrico Vigna, 8 dicembre 2020

 

Con la cessazione delle ostilità e la sconfitta delle ridotte forze militari della Repubblica dell’Artsakh coadiuvate da reparti armeni e la vittoria dell’esercito azero, affiancato da reparti speciali dell’esercito turco e, inoltre è stata denunciata la presenza di terroristi islamici spostati dalla Siria e portati a combattere nella regione. Ora si è aperto un delicato e complesso processo di ritorno ad una normalità che sarà difficile da ripristinare. 

Dopo la firma per la fine del confronto armato, sottoscritto tra Armenia, Azerbaigian e Russia, e la cessazione della guerra, favorito dalla mediazione della Russia e dal solito straordinario lavoro diplomatico del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, dovrà ora essere proprio la stessa Russia a garantire e impedire altre spirali armate e a trovare forme di negoziati costruttivi che salvaguardino la pace e parallelamente, i diritti della minoranza armena dell’Artsakh, tra cui le misure volte alla conservazione dei beni religiosi e culturali, aspetto molto sentito dalla popolazione armena . Un compito e un ruolo molto difficili e delicati. 

La guerra ha lasciato un segno profondo sul territorio dell’Artsakh e sulla sua capitale Stepanakert. Il numero dei morti è ufficiosamente per ora intorno a 5000, tra le due parti. Molti edifici sono stati danneggiati, compreso il mercato centrale. Ma molti prigionieri sono tornati, i negozi hanno riaperto. C’è il problema delle migliaia di rifugiati dalle zone ora sotto il controllo azero, a cui si deve trovare alloggio, assistenza sanitaria e alimentare.

Per rispondere alle prime emergenze dall’Armenia e dalla Russia sono già stati formanti centinaia di convogli umanitari.

 

La Russia nel suo ruolo di paese mediatore, come da accordi, ha mandato 1960 militari, 90 mezzi corazzati da trasporto, 380 veicoli e materiali speciali della 15ª Brigata di fanteria motorizzata in qualità di Forza per il mantenimento della pace, agli ordini del tenente generale Rustam Muradov, di etnia azera, con un area di pertinenza suddivisa in due settori: Zona di responsabilità "Nord", con sede a Martakert; e una Zona di responsabilità "Sud" con base a Stepanakert, dov'è collocato il quartier generale che comanda tutti i 25 posti d'osservazione sparsi sul territorio. L’accordo prevede la presenza militare russa nella regione per 5 anni, più ulteriori 5 se nessuna delle parti comunicherà 6 mesi prima della scadenza la propria contrarietà.

 

Il Patriarca della Chiesa Apostolica armena Garegin II, ha pubblicamente ringraziato il Presidente della Federazione Russa V. Putin, per aver preservato l’eredità e le radici armene in Karabakh. 

 

 

Garegin II ha elogiato gli sforzi delle autorità russe, per porre fine alle ostilità, stabilire un cessate il fuoco e stabilire pace, sicurezza e stabilità nella regione. "Vogliamo esprimere la nostra profonda gratitudine per i vostri sforzi nel preservare il patrimonio storico del popolo armeno, monasteri storici, chiese, monumenti culturali nei territori ora controllati dall'Azerbaigian, e solo grazie al dispiegamento delle forze di pace russe, le funzioni religiose in questi territori, sono state  garantite…Il nostro popolo ricorderà per sempre l'importante ruolo della Russia e di V. Putin, nel fermare lo spargimento di sangue nell'Artsakh. Pregheremo per la fermezza della secolare amicizia armeno-russa", ha dichiarato Garegin II. 

QUALE FUTURO? Un contributo di Iniziativa Italiana per il Karabakh

 

Prime riflessioni, a caldo, a poche ore dalla firma dell’accordo trilaterale tra Armenia, Azerbaigian e Russia. Non si placano le proteste per una soluzione che, resa necessaria dall’andamento della guerra, poteva arrivare molto tempo prima e a ben altre condizioni.

Della repubblica di Artsakh, a giudicare dalle prime mappe postate sui social, sembra rimanere ben poco: la piana di Stepanakert, Askeran, un pezzo della provincia di Martuni e una parte di quella di Martakert. Degli undicimila chilometri quadrati che componevano la repubblica prima del 27 settembre ne rimangono pochi, orientativamente intorno ai 3000.

Un isola armena circondata da un mare azero, senza più difese naturali come i monti Mrav e un’unica sottile via di fuga attraverso il corridoio di Lachin. Persa Shushi, persa HadrutTogh; addio al monastero di Dadivank e forse pure a quello di Amaras dove il monaco Mastots creò l’alfabeto armeno nel IV secolo.

Ma c’è anche il rischio che a scomparire per sempre dalle mappe armene sia il monastero di Gandzasar: e qui si apre il primo punto interrogativo, ovvero l’esatta individuazione del territorio ceduto agli azeri.

Nell’accordo si parla della “regione di Kelbajar“, espressione che dovrebbe riferirsi a quella che attualmente si chiama “regione Nuovo Shahumian”; se così fosse, buona parte della regione di Marakert sarebbe salva (a parte la porzione nord orientale all’altezza di Talish e Mataghis) in quanto si farebbe riferimento al territorio della cittadina di Karvachar (Kelbajar per gli azeri); quindi Gandzasor rimarrebbe a noi. Ma se disgraziatamente si dovesse fare riferimento al “distretto di Kelbajar” allora parte del territorio di Martakert, monastero compreso, andrebbe perduto.

Le prime mappe in circolazione sembrano puntare su regione e non su distretto. In questa fase non sono ancora determinati con esattezza i nuovi confini corrispondenti alla linea del fronte al momento della cessazione delle ostilità. Nei prossimi giorni vedremo, anche se non ci saranno particolari variazioni di rilievo rispetto alle prime anticipazioni. La regione di Martuni rimasta in mano armena dovrebbe rimanere collegata al resto della repubblica da uno stretto passaggio lungo la strada che passa dal villaggio di Nngi.

Detto questo, l’interrogativo più importante riguarda il futuro del territorio rimasto agli armeni.

L’accordo non specifica lo status dello stesso e quindi continuiamo a chiamarlo Repubblica di Artsakh. Ma è chiaro che, in mancanza di una definizione certa, il suo futuro non può essere assicurato: fra cinque o dieci anni, appena i russi se ne saranno andati, l’Azerbaigian troverà la scusa buona per attaccare quel poco che è rimasto.

Serve dunque una perimetrazione rapida e certa: o un riconoscimento della Repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh da parte del maggior numero possibile di Stati (a cominciare da quelli europei) o annessione all’Armenia. Nel primo caso il rischio di attacco non verrebbe meno ma dopo il riconoscimento internazionale sarebbe piuttosto incauto da parte azera attaccare il piccolo Stato e annientare la poca popolazione presente; nel secondo caso, l‘Armenia garantirebbe la sicurezza dei suoi confini con il trattato CSTO.

Questa definizione dello status della regione non è di secondaria importanza: Stepanakert è per buona parte distrutta e così molti centri minori: se si vuole avviare una veloce ricostruzione che favorisca il reinsediamento della popolazione, allora sarà necessario che l’Artsakh abbia un futuro di pace davanti che possa tranquillizzare e avviare le necessarie opere.

Magari l’Europa, e l’Italia, così assenti e distaccate in questa guerra potranno dare il loro contributo politico ed economico a una pace stabile.

A cura di Enrico Vigna, CIVG  -  8 dicembre 2020

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