Le 3 ragioni per cui Trump concentrerà la sua guerra doganale contro l'Unione Europea
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di Alessandro Volpi*
Sono convinto che Trump concentrerà la sua guerra doganale contro l'Unione Europea per varie ragioni.
La prima è costituita dal fatto che gran parte dell'Europa è molto dipendente dalle esportazioni negli Stati Uniti, più di quanto non lo siano la Cina o altre parti del pianeta. Per dirla meglio, troppo a lungo i paesi europei hanno impoverito il mercato interno, con la contrazione dei redditi e dei consumi, fidando in misura davvero eccessiva solo sulle esportazioni verso gli Usa dove gli europei spediscono oltre 500 miliardi di dollari di produzione e ne importano meno di 350. Trump questo lo sa bene, è ben consapevole della fragilità dell'Europa in termini di mercati interni e dunque può piegarla proprio con i dazi, non permettendo l'ingresso negli Stati Uniti e quindi mettendo in ginocchio ancor di più economie che sono comunque concorrenti, come nel caso della Germania: i dazi americani contro l'Europa possono essere realmente un'arma di distruzione della concorrenza europea.
C'è poi un altro aspetto che gioca a favore degli Stati Uniti nella logica dei dazi e si lega alla natura delle esportazioni americane, caratterizzate da una larga prevalenza dei servizi. Se si considera la bilancia dei servizi, si nota infatti che gli Usa esportano in Europa per quasi 400 miliardi di dollari mentre importano per meno di 300 miliardi. In quest'ottica, è evidente che un'eventuale azione ritorsiva dell'Unione europea sarebbe molto difficile perché bloccare i servizi in termini fiscali è estremamente più complesso rispetto al blocco delle merci. Dunque, Trump, che è obbligato a ridurre il disavanzo commerciale complessivo, è molto probabile che scelga di colpire l'Europa, con un'aggressione magari selettiva, ma in grado di far male anche perché la tariffa esterna europea deve essere, per obbligo normativo, unica.
Del resto non può certo colpire la Cina, da cui dipendono l'inflazione Usa e la dollarizzazione, ma neppure abbattersi in maniera troppo marcata nei confronti di Messico e Canada proprio per la natura stessa del commercio estero degli Stati Uniti che, a differenza dell'Europa, è concentrato per oltre il 45% in Messico, Canada e Cina, mentre il Vecchio Continente pesa per circa i 18%. Vale la pena ricordare in chiusura che in 10 anni il valore dell'interscambio Usa-Ue è raddoppiato e i benefici sono stati soprattutto europei.
Ora Trump vuole invertire questa situazione ma l'assenza di mercati interni veri, impoveriti lungo questo decennio, rende tutto difficile; una difficoltà decisamente accentuata dal fatto che, mentre crescevano le esportazioni verso gli Stati Uniti, cresceva, parimenti, la trasmigrazione dei risparmi degli europei verso gli States con conseguenze decisamente nefaste sulla capacità di contrastare l'impoverimento e le disuguaglianze. Trump, in estrema sintesi, è lo specchio crudo dei nostri errori.
La prima è costituita dal fatto che gran parte dell'Europa è molto dipendente dalle esportazioni negli Stati Uniti, più di quanto non lo siano la Cina o altre parti del pianeta. Per dirla meglio, troppo a lungo i paesi europei hanno impoverito il mercato interno, con la contrazione dei redditi e dei consumi, fidando in misura davvero eccessiva solo sulle esportazioni verso gli Usa dove gli europei spediscono oltre 500 miliardi di dollari di produzione e ne importano meno di 350. Trump questo lo sa bene, è ben consapevole della fragilità dell'Europa in termini di mercati interni e dunque può piegarla proprio con i dazi, non permettendo l'ingresso negli Stati Uniti e quindi mettendo in ginocchio ancor di più economie che sono comunque concorrenti, come nel caso della Germania: i dazi americani contro l'Europa possono essere realmente un'arma di distruzione della concorrenza europea.
C'è poi un altro aspetto che gioca a favore degli Stati Uniti nella logica dei dazi e si lega alla natura delle esportazioni americane, caratterizzate da una larga prevalenza dei servizi. Se si considera la bilancia dei servizi, si nota infatti che gli Usa esportano in Europa per quasi 400 miliardi di dollari mentre importano per meno di 300 miliardi. In quest'ottica, è evidente che un'eventuale azione ritorsiva dell'Unione europea sarebbe molto difficile perché bloccare i servizi in termini fiscali è estremamente più complesso rispetto al blocco delle merci. Dunque, Trump, che è obbligato a ridurre il disavanzo commerciale complessivo, è molto probabile che scelga di colpire l'Europa, con un'aggressione magari selettiva, ma in grado di far male anche perché la tariffa esterna europea deve essere, per obbligo normativo, unica.
Del resto non può certo colpire la Cina, da cui dipendono l'inflazione Usa e la dollarizzazione, ma neppure abbattersi in maniera troppo marcata nei confronti di Messico e Canada proprio per la natura stessa del commercio estero degli Stati Uniti che, a differenza dell'Europa, è concentrato per oltre il 45% in Messico, Canada e Cina, mentre il Vecchio Continente pesa per circa i 18%. Vale la pena ricordare in chiusura che in 10 anni il valore dell'interscambio Usa-Ue è raddoppiato e i benefici sono stati soprattutto europei.
Ora Trump vuole invertire questa situazione ma l'assenza di mercati interni veri, impoveriti lungo questo decennio, rende tutto difficile; una difficoltà decisamente accentuata dal fatto che, mentre crescevano le esportazioni verso gli Stati Uniti, cresceva, parimenti, la trasmigrazione dei risparmi degli europei verso gli States con conseguenze decisamente nefaste sulla capacità di contrastare l'impoverimento e le disuguaglianze. Trump, in estrema sintesi, è lo specchio crudo dei nostri errori.
*Post Facebook del 4 febbraio 2025