La mozione PD e il macabro teatrino di colonia Italia

La mozione PD e il macabro teatrino di colonia Italia

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di Alberto Fazolo


Martedì 13 gennaio alla Camera dei Deputati è andato in scena un macabro teatrino sulla crisi mediorientale. C’è stata la discussione di una mozione sulla questione palestinese presentata dal Partito Democratico. Il documento contiene interessanti elementi di discontinuità con la linea attendista e accondiscendente verso Israele, pur tuttavia evitando prese di posizione risolute. Per usare un termine di paragone, qualsiasi esternazione dei vertici ecclesiastici è più chiara e avanzata. Comunque, va preso atto che la mozione del PD -tra mille limiti e contraddizioni- finalmente affronta questioni inderogabili come: il cessate il fuoco, una conferenza internazionale di pace, il dispiegamento a Gaza di una missione d’interposizione ONU, il riconoscimento dello Stato di Palestina, sanzioni contro i coloni israeliani, i fondi per l’UNRWA o altre organizzazioni che lavorano a Gaza, creazioni di commissioni d’inchiesta internazionali, ecc. Si tratta pertanto di una soddisfacente piattaforma su cui intavolare una discussione.

Va notato che gli indugi del PD sulla questione palestinese sono stati rotti solo dopo che è arrivato un segnale analogo dal Presidente americano Biden. Non sembra quindi un caso che la piattaforma proposta dal PD ricalchi i punti delle esternazioni del Presidente americano. Queste ultime hanno provocato un terremoto sia nelle fila dei democratici statunitensi, sia nel Deep State. Notoriamente Biden soffre del peso degli anni e della sua fragile condizione clinica, per cui non è del tutto lucido. Stupisce però il fatto che questi limiti non abbiano rappresentato un problema finché Biden non ha attaccato Israele e il suo Governo, ora invece per alcuni del suo partito e per molti media americani, lui non è più in grado di ricoprire il proprio incarico. Il tempismo e la coincidenza, lasciano sbalorditi. Quando si toccano gli interessi d’Israele, si attivano meccanismi oscuri.

Forse un qualcosa del genere è successo pure in Italia, dove il partito Democratico ha provato ad esprimere una posizione ragionevole, ma poi è finito per fare l’opposto di quello che era il suo intento. Il punto dolente è nel passaggio sulla liberazione degli ostaggi. In primo luogo c’è una questione d’onesta intellettuale nella comunicazione. Infatti, sul sito del PD si parla di “liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi”, mentre la mozione recita “liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani”. La differenza è di non poco conto, perché il testo approvato se ne infischia dei palestinesi tenuti in ostaggio dagli israeliani, molti dei quali bambini. Forse qualcuno che si occupa di comunicazione si è fatto prendere dal pudore. A prescindere da queste miserie, il problema di una tale presa di posizione è di più ampio respiro: questa formula va a sabotare tutto il resto della mozione. Non è un caso che la Meloni l’abbia fatta passare, perché quella mozione è una trappola che si ritorce contro chi la propone. I buoni propositi del PD -che in questo caso vanno riconosciuti- finiscono per scontrarsi con la generale dinamica internazionale. In un momento in cui tutta la comunità internazionale si riunisce (tra il Cairo e altre città) in un corale sforzo di mediazione diplomatica per cercare di trovare le condizioni per ottenere la liberazione degli ostaggi, il PD ne chiede la liberazione incondizionata. Cioè il PD esprime una posizione più arretrata di quella d’Israele, ma soprattutto che sabota lo sforzo collettivo delle diplomazie e pone al di fuori della comunità internazionale.

Sicuramente il PD voleva fare qualcosa di buono, ma forse è intervenuta una “manina” che ha manipolato il testo della loro mozione per neutralizzarla. Ovviamente la Meloni non si è fatta sfuggire l’occasione per ridicolizzare, ancora una volta, gli avversari.

Il teatrino della politica lascia il tempo che trova, l’emergenza palestinese resta.

 

 

Alberto Fazolo

Alberto Fazolo

Alberto Fazolo. Laureato in Economia, esperto di Terzo Settore e sviluppo locale. Giornalista. Inizia l'attività giornalistica testimoniando la crisi del Kosovo e la dissoluzione della Jugoslavia. Ha trascorso due anni in Donbass, profondo conoscitore delle vicende ucraine. Attivo nei movimenti di solidarietà internazionalista, soprattutto in contrasto con le operazioni di "Regime change".

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