La controffensiva di Trump in Medio Oriente

Con la sua visita di Stato in Medio Oriente Trump si riprende le petromonarchie a suon di accordi multimiliardari

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La controffensiva di Trump in Medio Oriente

 

di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

La visita di stato di Trump in Medio Oriente iniziata ieri in Arabia Saudita rischia di passare alla storia come una tra quelle a più a forte impatto economico che un leader mondiale abbia intrapreso, almeno negli ultimi anni.

 

A parere di chi scrive quanto avvenuto ieri a Riyad eclissa un altra visita avvenuta sempre in Arabia Saudita: quella del leader cinese Xi Jinping del dicembre 2022 nella quale furono firmati faraonici accordi tra i due paesi e soprattutto i leader decisero un nuovo status per lo yuan cinese in relazione agli scambi bilaterali.

 

Chi scrive all'epoca parlò, proprio dalle colonne de l'AntiDiplomatico, di nascita del petroyuan in contrapposizione (o se si preferisce in affiancamento) al petrodollaro. A far pensare a questo sbocco non fu tanto la decisione – comunque importantissima – di utilizzare la divisa cinese nell'acquisto di petrolio saudita ma il fatto che Riyad si impegnava a reinvestire nella stessa Cina popolare gli yuan incassati. Precisamente a chiudere il cerchio fu la notizia che la Saudi Aramco avrebbe acquistato il 10% di Rongsheng Petrochemical per 3,6 miliardi di dollari reinvestendo, appunto, gli yuan ricevuti dai cinesi in cambio del petrolio venduto. Uno schema che ricalca precisamente quello del petrodollaro che – ricordo – prevede che i sauditi si facciano pagare il petrolio in dollari statunitensi e che poi reinvestano i dollari incassati nella stessa economia USA generalmente attraverso l'acquisto di assets finanziari quotati a Wall Street; si tratta di un meccanismo economico-finanziario-monetario questo, creatosi nel 1971 quando Richard Nixon ruppe gli accordi di Bretton Woods sganciando il dollaro americano dell'oro ad un tasso fisso e prestabilito.

 

All'epoca del viaggio di Xi in Arabia Saudita gli Stati Uniti apparvero a tutti imbelli, incapaci di reagire ad una sfida di così enorme portata lanciata direttamente al cuore dell'impero e rappresentata dalla messa in discussione dell'egemonia del Dollaro negli scambi internazionali. Ricordiamo tutti le cocenti umiliazioni alle quali il Principe ereditario saudita Mohamed bin Salman inflisse all'allora segretario di stato americano Blinken come segno dei rapporti fortemente deteriorati tra Riyad e Washington; pensiamo per esempio alle ore di attesa in anticamera inflitte allo statunitense prima di dargli udienza, oppure alla mancata esposizione della bandiera a Stelle e Strisce nella sala dei colloqui bilaterali, come si usa nelle relazioni diplomatiche tra pari.

 

Con il ritorno di Trump le relazioni tra i due paesi hanno preso immediatamente una diversa postura, infatti la prima visita di stato che il Tycoon newyorkese ha intrapreso è stata proprio quella in corso in Medio Oriente a partire proprio dall'Arabia Saudita. E bisogna dire che le attese non sono state deluse. Infatti – oltre all'accoglienza in pompa magna con Mohamed bin Salman ad attendere Trump ai piedi della scaletta dell'aereo - è stato immediatamente annunciata una maxi commessa per l'acquisto di armi statunitensi. Il Regno dei Saud in cambio di 142 miliardi di dollari otterranno sistemi d'arma ad alta tecnologia in ambito antiaereo, satellitare e navale. Oltre a questo enorme accordo commerciale che darà respirò all'industria degli armamenti statunitensi l'Arabia Saudita si è impegnata a fare investimenti nel settore dell'alta tecnologia americana per una cifra complessiva di 600 miliardi di dollari. Secondo il comunicato della Casa Bianca l''accordo rafforzerà la sicurezza energetica americana, l'industria della difesa e l'accesso alle infrastrutture globali.

 

Spiccano tra i molti accordi stipulati quello della DataVolt che investirà 20 miliardi di dollari in data center per l'Intelligenza Artificiale ed in infrastrutture energetiche negli Stati Uniti. Quello di Google, DataVolt, Oracle, Salesforce, AMD e Uber con il quale si impegnano a investire 80 miliardi di dollari sia in USA che in Arabia Saudita, e quello che vedrà la Shamekh IV Solutions LLC investire 5,8 miliardi di dollari negli USA.

 

Come si può vedere, quello tra USA e Arabia Saudita firmato da Donald Trump e Mohamed bin Salman è un accordo faraonico che rilancia le relazioni tra i due paesi a tal punto da aver spinto ieri il Tycoon a dichiarare che se fosse necessario gli Stati Uniti non esiteranno a usare le armi per difendere l'Arabia Saudita (e soprattutto il Trono dei Saud...).

 

Dopo la visita in Arabia Saudita il road-show mediorientale di Trump continuerà in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti dove probabilmente verranno firmati altri contratti di enorme importanza nell'intento di garantire agli USA quel flusso fondamentale di investimenti proveniente dalle petromonarchie del Golfo Persico. Ricordiamo che già all'atto dell'entrata di Trump alla Casa Bianca gli Emirati Arabi Uniti promisero investimenti in USA per 1400 miliardi di dollari in 10 anni. Cifra che in questi giorni sarà probabilmente ribadita se non ulteriormente aumentata. Per quanto riguarda il Qatar invece, basta dire che l'Emiro ha personalmente regalato a Trump un Boing 747 dal “modico” valore di 400 milioni di dollari; visto questa premessa crediamo che anche a Doha ci saranno faraonici annunci di investimenti negli Stati Uniti o di ricchissimi acquisti di armamenti a stelle e strisce.

 

Un viaggio, come si può vedere, spettacolare che visto in controluce da ulteriori elementi di riflessioni sugli equilibri dello scacchiere mondiale. Vista dal Medio Oriente l'Europa appare come un'area del mondo ormai marginale e priva di qualsiasi appeal per gli investimenti o per gli acquisti ad alta tecnologia non ultimi quelli nel settore della difesa dove, gli armamenti europei stanno subendo una impressionante sconfitta a livello di prestazioni in molte aree di crisi in giro per il mondo (pensiamo per esempio alla criso indo-pakistana e a quella ucraina).

 

Anche Israele peraltro non sembra uscire benissimo da questo viaggio essendo stato completamente snobbato da Trump. Anzi, a Tel Aviv hanno destato allarme le indiscrezioni secondo le quali l'amministrazione Trump sarebbe pronta, addirittura, a riconoscere lo stato palestinese. Pur se questa notizia è stata ufficialmente smentita, la ribadita forte amicizia tra gli USA e petromonarchie - rinsaldata a suon di faraonici accordi commerciali e di investimento - lascia ipotizzare che gli USA ormai preferiscano la parte araba a quella israeliana.

 

La nuova amministrazione Trump interessata solo ad attrarre investimenti dal mondo sta completamente ribaltando gli equilibri mondiali dove i “vecchi amici di prima fascia” (Israele ed EU) sono ormai soppiantati da nuovi protagonisti ben più danarosi.

 

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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