La caccia alle streghe del regime di Kiev colpisce anche Papa Bergoglio

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La caccia alle streghe del regime di Kiev colpisce anche Papa Bergoglio

 

Le dichiarazioni di ieri dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, sembrano uscire da un romanzo di Zola, “la bestia umana”. Una sorta di malattia sociale in cui la crudeltà prende il sopravvento su ogni cosa.

Il trasparente odio verso tutto ciò che attiene alla Russia, fino a mostrare irritazione contro il Papa per le sue parole di umana pietà rivolte alle vittime della guerra, tra cui i bimbi russi oltre che ucraini rimasti orfani, è desolante. Il biasimo di Yurash si fa particolarmente tagliente e assume la forma di un arrogante rimprovero verso Bergoglio per aver espresso pena verso Darya Dugina, assassinata nell’attentato terrorista a Mosca. Un biasimo espresso con parole che inequivocabilmente attestano l’indifferenza per la morte della giovane definendola “ideologa dell’imperialismo russo e non vittima innocente” e, quindi, indegna di qualunque espressione di umana pietà.

Yurash in poche frasi ha fornito un quadro tanto crudele quanto desolante di se stesso e del Paese che rappresenta, vittima, sì, dell’aggressione militare russa, ma non “senza peccato”, cosa che i media main stream, eco se non diretti portavoce di Paesi non meno criminali della Russia, seguitano a nascondere a danno di un’informazione corretta e a favore di una propaganda a senso unico mai vista prima d’ora in modo così massiccio.

Una propaganda mediatica scattata con sospetta e quasi unanime tempestività già il 24 febbraio (data dell’invasione russa) creando in appena un paio d’ore, quasi uno schiocco di dita, una straordinaria empatia verso il popolo ucraino – oggettivamente vittima – e verso il presidente Zelensky, sebbene quest’ultimo inviasse continui proclami traboccanti odio a livello viscerale, con punte di razzismo, imposizioni verbose ai Paesi Nato e filo-Nato e fiere ammissioni di pratiche omicide verso ucraini sospettati di simpatizzare con la Russia. Il tutto con aperto plauso dei media TV e con l’ostracismo verso chi, nonostante la premessa di non essere filo-Putin, si azzardava a fare qualche critica ricordando le responsabilità occidentali nell’infausta e criminale scelta di Putin.

La moda buonista che fino allo scorso febbraio impazzava anche sui social contro ogni forma di odio o percezione di odio sembra definitivamente passata e quindi via libera ai proclami di Zelensky, risonanti in varie aule parlamentari occidentali, carichi di odio non celato ma volutamente esplicito verso persone, cose, opere d’arte, espressioni culturali anche di altissimo livello e qualunque altro elemento colpevole di essere russo. Non importa se di Russia zarista, o sovietica o post sovietica, russo!

Non solo il popolo teledipendente ha condiviso l’ostilità antirussa rilanciata dai media, ma perfino organizzazioni e figure al di sopra (fino a febbraio) di ogni sospetto sono cadute nella palude dell’odio viscerale rasentando il razzismo ed entrando a pieno titolo nella triste famiglia criminale che dal 42 a.C. con l’incendio della biblioteca alessandrina fino ai talebani contemporanei, hanno costellato la storia di roghi, devastazioni e vergogne oltre che di inesauribili riserve d’odio e di disumanità.

L’Italia ha brillato in questo ignobile servizio, e non s’è fermata alla cultura, all’arte, allo sport, ma si è coperta di ridicolo escludendo da varie gare addirittura cani, gatti, cavalli ed alberi colpevoli di essere nati o piantati in Russia, il tutto con sommo gaudio di Zelensky e dei suoi fans!
Solo lo Stato Vaticano sembra non aver accettato le pressioni del presidente ucraino e va riconosciuto – ci piaccia o meno papa Bergoglio – che lo ha fatto fin dall’inizio, destando irritazione diffusa sia quando ha ricordato le provocazioni della Nato che era “andata ad abbaiare alle porte della Russia”, sia quando ha voluto bambini russi ed ucraini insieme in una processione religiosa, sia nella sua insistenza a chiedere il silenzio delle armi e l’avvio di reali negoziati per una trattativa di pace. Lo ha fatto anche affermando di voler andare sia a Kiev che a Mosca.

Bergoglio non ha mai mancato di esprimere solidarietà al popolo ucraino, ha anche ricevuto le discusse mogli dei comandanti nazisti del battaglione Azov che chiedevano il suo appoggio; ha mandato aiuti umanitari ed emissari cardinalizi, ma non ha mai accettato di farsi portavoce della narrazione ucraina a senso unico e del palese tentativo di annichilire la Russia, paventando che quest’obiettivo, chiaramente manifestato da Biden, comporta il rischio fin troppo concreto di arrivare ad una terza guerra mondiale.

Ma l’Italia, altre volte molto papalina, stavolta non sembra seguire il Papa nei suoi appassionati tentativi di raggiungere la pace, nelle sue condanne dei mercanti di guerra e men che meno in quelle manifestazioni di pietà umana che sembrano essere finite anch’esse sotto la censura imposta a tutto ciò che è russo. I media hanno voce più forte di lui!

Chi per mestiere lavora nella comunicazione, soprattutto quella televisiva, sa bene che usare una parola o un’altra, o addirittura un certo tono di voce nel dare una notizia, può toccare o meno le corde emotive degli spettatori. Il 24 febbraio ne è stata dimostrazione. Ebbene, commuovere il pubblico per l’assassinio di Darya Dugina, o per i prigionieri russi mutilati nelle carceri ucraine non è concesso e quindi i media televisivi, all’unisono, o tacciono o, come nel caso di Darya Dugina, danno la notizia in modo asettico, allontanando per quanto possibile anche il solo sospetto che la mano criminale fosse ucraina ma, soprattutto, evitando che si creasse empatia verso la giovane vittima e rispetto per il dolore dei suoi genitori.

La voce di Bergoglio è uscita dal coro e questo ha scatenato le ire dell’ambasciatore Yurash e anche un velato ma percepibile imbarazzo da parte dei media TV che hanno dato la notizia senza il risalto che avrebbe meritato. Peccato, poteva diventare un felice scoop per il giornalista che avesse avuto il coraggio di affrontarla in modo giusto. Invece no. Niente lacrime per la giovane intellettuale assassinata o, più asetticamente, “morta nell’esplosione della sua auto”.

La bestia umana ha vinto sulla pietà umana e ciò fa il paio con la frase soddisfatta di Biden “giustizia è fatta” pronunciata recentemente dopo l’omicidio “mirato” di Ayman al Zawahiri, o con la risata scomposta della Clinton dopo l’omicidio di Bin Laden, o con affermazioni simili degli israeliani Gantz, Lapid o Netanyahu dopo l’omicidio di capi della resistenza palestinese o di scienziati iraniani.

Ovviamente vittime molto diverse tra loro, ma tutte accomunate dall’essere state eliminate con omicidi senza processo, commessi da paesi democratici che hanno buttato nelle fogne i principi della democrazia. Tutte vittime disumanizzate, non perché mostri, non tutti lo erano, ma perché la comunicazione mediatica, fedele al diktat imposto, è riuscita a bloccare quelle innervazioni emotive che a livello di massa portano all’empatia, all’indifferenza o all’odio verso il soggetto dato. Quell’odio che scatena irrazionalmente la bestia crudele che vuole vendetta, distruzione del nemico e sterminio di chiunque, armato o inerme, colpevole o innocente venga individuato o assimilato, anche solo per vago accostamento, col nemico.

Bergoglio è colpevole di essere andato controcorrente, ha mostrato pena sia per i bambini russi che ucraini e per Darya Dugina, e per i bambini yemeniti sterminati da fame e bombe e ha definito “delinquenti che ammazzano l’umanità” tutti coloro che con la guerra e col commercio delle armi ci guadagnano. Ma forse per Yurash la massima colpa del Papa è quella di aver “consacrato al cuore immacolato di Maria” sia la Russia che l’Ucraina. Per Yurash Bergoglio ha messo insieme “carnefici e vittime, stupratori e stuprati” e questo è imperdonabile. Il nemico, o il figlio del nemico, non merita pietà. Lo esige la bestia umana, quando non viene neutralizzata da un sincero desiderio di pace.

 

Articolo pubblicato su Pressenza

Patrizia  Cecconi

Patrizia Cecconi

Patrizia Cecconi. Laureata in Sociologia presso la Sapienza di Roma, tiene per alcuni anni seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente insegna negli Istituti superiori per 25 anni. Interessata
all'ambiente e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti e uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati
l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria. Per circa 12 anni ha trascorso diversi mesi l'anno in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con alcune testate on line e un paio di riviste cartacee.

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