I lavoratori di Trieste smascherano tutte le contraddizioni della nostra epoca

I lavoratori di Trieste smascherano tutte le contraddizioni della nostra epoca

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La rivolta di Trieste è davvero un fatto di portata simbolica enorme che ci pone di fronte a temi che sembravano ampiamente superati (per la verità bisognerebbe dire rimossi).
 
Da un lato l'utilità del lavoro, non tutti i lavori sono uguali, alcuni sono più utili, altri meno, altri non servono a un cazzo. Ecco, basta che i lavoratori di Trieste decidano di fermarsi e il Potere trema. RIschia di spezzarsi una delle arterie fondamentale della Supply Chain (così parlano quelli bravi, scusatemi, mi correggo: la catena dei rifornimenti) facendo fermare molte produzioni un po' in tutta Europa.
 
Eppure, l'importanza cruciale del loro lavoro non gli è riconosciuta: inutile girarci attorno, è tutta gente che porta a casa sui 1500 euro al mese.
 
Dall'altro lato abbiamo invece le ridicole filippiche televisive di gente culturalmente peraltro mediocrissima che si trova dove si trova chissà per quali meriti. Gente in questo caso da minimo 20 mila euro al mese e gente che se sprofondasse ora nell'abisso dell'inferno nessuno ne avrebbe alcun danno.
 
Eppure guadagnano un pozzo di quattrini. Riemerge uno dei temi del buon vecchio Marx, quello della dicotomia tra lavoro utile e lavoro inutile. E badate dietro questo discorso c'è più che un tema di giustizia sociale ma c'è il decadimento di una nazione un tempo ricca: per trenta anni ci siamo cullati dell'idea che si potesse campare di turismo e vendendo scarpe, borsette e caciocavallo. Per carità, tutta roba utilissima ma non basta. Altri lavori utili, fondamentali direi, sono stati umiliati, a partire dalla ricerca scientifica, dall'informatica e tanto altro.
 
Poi c'è l'altro grande tema. E' quello dell'istruzione. Ormai diventata "educazione al conformismo".
 
Ma vi pare mai possibile che "degli asini scaricatori di porto" (lo sto scrivendo per paradosso, la mia stima verso queste persone è a dir poco immensa) capiscano al volo che non si può dare la sovranità sul proprio corpo per poter lavorare?
 
E invece fior di laureati (sic, fiore di che cosa non lo diciamo) che teoricamente dovrebbero aver gli strumenti per capire si sono messi tutti in fila come dei coglioni (sono effettivamente dei coglioni) per farsi inoculare roba sperimentale mai provata prima cedendo al primo Brunetta che passa la sovranità sul proprio corpo. Tutta gente educata al conformismo, al non porsi domande perchè creano problemi.
 
Aveva ragione Ivan Illich quando parlava di deschooling society, perchè intanto la scuola rigida, statale è solo conformismo, è solo appiattimento verso il basso.  I lavoratori di Trieste ci hanno messo di fronte a tutte le nostre contraddizioni sociali. Tutte ma proprio tutte. Comunque vada a finire dovremmo essergli grati.

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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