I dazi di Trump, la terra di nessuno e la risposta (surreale) della Meloni

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I dazi di Trump, la terra di nessuno e la risposta (surreale) della Meloni

 

di Alessandro Volpi*

 

Verso la terra di nessuno. I dazi di Trump stanno facendo scoppiare la bolla finanziaria che ha tenuto insieme negli ultimi anni l'economia americana, e il capitalismo finanziario.

Non a caso i titoli maggiormente travolti sono stati quelli delle Big tech, da Apple ad Amazon e Invidia.

Non si tratta di una caduta spinta solo dal fatto che una parte delle produzioni di tali società passano per zone colpite dai dazi, ma della più generale, e profonda, sfiducia che gli Stati Uniti, dominati dai monopoli finanziari, siano in grado di tenere in vita il capitalismo.

Il paradosso è che la fine del dollaro è vaticinata da Larry Fink, il signore dei grandi fondi, impegnati ora nel non rimanere schiacciati dallo scoppio della bolla, cercando rifugio nell'Europa del riarmo e negli immaterialissimi Bitcoin, e determinata dal presidente Trump che vorrebbe reindustrializzare l'America per ridurre proprio l'eccessiva dipendenza dall'estero, e dalla sola finanza.

Big Three e Trump stanno costruendo, in modo diametralmente diverso, la fine della centralità americana, aprendo una fase storica per molti versi ignota perché privata, assai probabilmente, della forma economica che ha dominato per qualche secolo l'Occidente.

E' davvero singolare, in questo tornante cruciale, che la risposta del governo italiano sia quella di minimizzare l'effetto dei dazi come se si riferissero solo al rapporto bilaterale della nostra economia con il mercato Usa senza capire quanto l'eventuale guerra commerciale globale modificherà gli assetti dell'intero scenario internazionale, non certo declinabile con la ricettina di buon senso e con il  mantenimento di un asservimento americano non più auspicato neppure da Trump.

Così come è singolare che la premier Meloni dopo avere accettato il nuovo Patto di Stabilità, dopo aver assecondato il piano Von der Leyen, scopra ora la necessità di rivedere proprio i parametri europei, cercando un capro espiatorio rispetto alla totale mancanza di coraggio nel riposizionamento del nostro paese verso equilibri multipolari.

La crisi radicale del capitalismo imporrebbe politiche profondamente diverse che partano proprio dalla capacità di sfruttare la crisi del dollaro per costruire nuove strategie di indebitamento europeo, in chiave sociale, nuove forme di definanziarizzazione e, appunto, nuovi equilibri multipolari che, però, non possono certo appartenere al linguaggio di questa destra. E neppure al liberal progressismo di Gentiloni, Letta, Draghi e al coraggiosissimo gruppo di europarlamentari del Pd.

*Post Facebook del 4 aprile 2025

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