I crediti di guerra imposti dall'UE. Il Corriere della Sera chiede "compattezza"
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
È d'uopo che ci si renda conto che, anche in Italia, è ormai tempo di Union Sacrée, almeno sulle questioni di Ucraina, «difesa dell'Europa» e riarmo. Ce ne rende edotti il signor Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 24 marzo 2025, tragico (non certo per le “camicie azzurre” di via Solferino) anniversario dell'inizio dei bombardamenti NATO su Belgrado, altra opportunità, ventisei anni fa, di manifestare “compattezza militare”, “concordia di orientamenti politici” e dimostrare, come si richiederebbe anche oggi (?), di essere “Sempre Pronti per la Patria e per il Re”. Ci sono riusciti in Gran Bretagna; ce l'hanno fatta i tedeschi e anche da noi, «all’epoca del governo Draghi, Giorgia Meloni, all’opposizione su tutto il resto, diede il proprio sostegno alla scelta italiana in difesa dell’Ucraina e alla politica atlantista.
Ne ricavò la legittimazione, la rispettabilità, e la reputazione di leader affidabile che furono, per lei, carte elettorali vincenti». Dunque, cosa si aspetta in Italia, pare domandarsi incredulo il signor Panebianco? Ora, tralasciando ogni commento su «legittimazione, rispettabilità» e affidabilità dei neofascisti di governo, è davvero curioso che si rimproveri al PD, bersaglio apparente della concione, di non «fare altrettanto» di quanto “osato” da conservatori britannici e socialdemocratici tedeschi, non avendo votato compattamente, alla cosiddetta “eurocamera”, sulla “difesa comune” europea, con “solo” 10 favorevoli e 11 astenuti. Dove sarebbe, di grazia, la “contrapposizione” lamentata dal signor Panebianco? Ha forse mai tentennato, il PD cattoliberale, sul sostegno alla junta nazigolpista di Kiev, sin dai tempi in cui suoi esponenti arringavano gli avanguardisti ucraini a majdan Nezaležnosti, o si intrattenevano con figure ucraine, balzate dal capeggiare formazioni fasciste a presiedere la Rada, e poi, via via, fino ai più recenti periodi di onori e glorificazioni tributati al nazigolpista-capo, “eroe” della “resistenza” ai piani “autocratici dell'aggressore”?
Ma, per l'appunto, ora è proprio tempo di Union Sacrée; è tempo di votare compatti i nuovi “crediti di guerra”. Pergiove, ci ha pur ammonito, dall'alto della sua cattedra, il professor Mario Monti, che «le divisioni sia entro la maggioranza che entro l’opposizione su sicurezza e difesa dell’Europa, generano disorientamento nell’opinione pubblica, le impediscono di convergere su una visione comune della posta in gioco». Che diamine: bisogna dare esempio di unanimità! Soprattutto quando è tempo di sacrifici, sia che si chiedano in nome del “bene del paese”, del “siamo tutti sulla stessa barca”, del “non ci sono padroni e lavoratori”, ma solo “itagliani”, dato che le classi sociali sono solo un “residuo criptocomunista” del passato; sia che si chiedano per “difendere l'Europa” dalla minaccia più incombente e mortale, quale “l'aggressione russa”.
E se la “dottrina della salvezza”, nazionale e europea, del “stringiamoci a coorte” contro la certa e imminente “invasione dell'Orda” asiatica, non è più prerogativa dei soli partiti (ammesso che si voglia definir tali le consorterie affaristico-familiari che distinguono l'area “politica” odierna) e «la comunicazione politica non è più, come accadeva un tempo, monopolizzata dai partiti. Adesso è dominata da una vasta massa di influencer», allora bisogna darsi da fare per tornare ad accentrare il “monopolio” informativo in mani sicure. È imperativo, sferza nemmeno troppo velatamente il signor Panebianco, evitare che quegli “influencer”, da elemento di frantumazione folkloristico-commerciale dei cervelli, si trasformino in strumenti alternativi di presa di coscienza delle masse, col loro tramare «per lasciare il Paese nell’impreparazione di fronte al mondo nuovo in cui siamo entrati».
Si deve assolutamente impedire a quegli “influencer” di illudere gli “itagliani” che non ci siano «novità»; è inderogabile che quegli “influencer” vengano inibiti dal «negare che i cambiamenti in atto — il venir meno della protezione americana dell’Europa, la minaccia dell’imperialismo russo — siano di portata tale da obbligare l’Europa a cercare nuove strade per ricostituire per se stessa condizioni di sicurezza». La comunicazione del momento, se si vuole che non crei «disorientamento nell’opinione pubblica», impedendole «di convergere su una visione comune della posta in gioco», deve essere univoca, diretta, categorica e impegnativa per tutti: “Riarmo”; o come suggeriva giorni fa lo stesso signor Panebianco, per non suscitare ansietà, “Readiness” - appunto: “Sempre Pronti per la Patria e per il Re”!
Ci vuole unanimità e consenso; ecchediamine: «Sono legioni quelli che vanno spiegando agli italiani che volere ricreare quelle condizioni sia solo il perverso desiderio di guerrafondai, di irresponsabili fomentatori di guerre. È una moltitudine quella che sostiene che armarsi per difendersi sia, e sia sempre stato, solo un modo per scatenare le guerre. Che è come dire che Winston Churchill era un folle o un criminale». Ci sia consentito, sia pur molto concisamente: quando il signor Winston Churchill, nel 1918, tramava col governo britannico per l'intervento delle potenze imperialiste (tra cui anche l'Italia) per soffocare la rivoluzione bolscevica, o quando, con Churchill come primo lord dell'ammiragliato, Londra e Parigi pianificavano nel 1940 il bombardamento dei pozzi petroliferi sovietici a Baku; o ancora, quando faceva di tutto per rimandare, dal 1942 al 1944, l'apertura del “secondo fronte”, o quando nel 1945, a guerra conclusa, pianificava l'operazione “Unthinkable” per attaccare l'Unione Sovietica, Winston Churchill era entrambe le cose: un criminale e un folle.
Dunque, è urgente mettere in campo una vera Union Sacrée, dal momento che oggi, in “Itaglia”, c'è sì «una forte minoranza che ha capito quale sia la portata delle novità e si appresta ad accettare di vivere nelle nuove condizioni»; ma c'è “purtroppo” anche una «maggioranza che, col conforto dei messaggi dei suddetti intellettuali/ influencer, pensa che non ci sia alcun bisogno di rinunciare alle vecchie abitudini, la principale delle quali consisteva nella diffusa convinzione che la sicurezza fosse un pasto gratis». Chiaro? Se volete mangiare, dovete pagarvelo, mica pensavate di poter continuare ad andare alla mensa dei poveri o alla Caritas e scroccarvi una minestra! Eh, no, cari miei “itagliani”. Tutt'al più, di gratuito, potremo forse fornirvi lezioni di guerra nelle scuole, che tanto prima o poi vi torneranno utili.
E se per sfornare qualche pezzo in più alla vecchia Oto Melara, c'è bisogno di triplicare o quintuplicare il prezzo del burro, non crediate di cavarvela a buon mercato, chiedendo ai poveri “imprenditori” di aumentarvi la busta paga: quella rimane tale e quale e, anzi, casomai vi venisse in mente di protestare, scordatevelo, perché, «nelle nuove condizioni», non si può che essere compatti e fedeli nell'acclamare la nuova parola d'ordine, categorica e impegnativa per tutti, che non ammette tentennamenti e tantomeno obiezioni.
Quindi, titola orgoglioso il Corriere della Sera, «Difenderci significa essere uniti» ed è imperativo che «maggioranza e opposizione facciano fronte comune»; così che, una volta votati all'unanimità i “crediti di guerra”, ci si impegni a dare “voce indivisa” alla “informazione” (ci si scusi il termine) su “i crimini russi” o, per meglio esprimersi con il nuovo linguaggio del Corriere della Sera, più adatto «al mondo nuovo in cui siamo entrati», sulla «”russificazione” a tappe forzate», imposta dal «regime di Mosca» alla «popolazione residente nei territori ucraini occupati con la forza militare».
A leggere la “corrispondenza” del signor Lorenzo Cremonesi, riportata il 24 marzo 2025 e basata solo e unicamente sulla “testimonianza”, di «un’ingegnera di 36 anni originaria di Ernergodar», non si fa fatica a ricordare, cambiando semplicemente i soggetti, quanto scritto, con tanto di prove documentate e anche visive, negli ultimi dieci anni, a proposito dei crimini della junta nazigolpista non solo ai danni dei civili del Donbass, ma della stessa popolazione ucraina. Ne aveva scritto, in questi dieci anni, il Corriere della Sera? Quando mai! Ora, però, basta cambiare alcuni termini, sostituendo, a seconda dei casi, “ucraino” a “russo”, oppure “Mosca” con “Kiev” e viceversa: «Guai a parlare ucraino nei luoghi pubblici», ci dice «un’ingegnera di 36 anni»; oppure «Gli agenti e i collaborazionisti al servizio di Mosca sono dovunque»; «Pur essendo ucraini, sono stati costretti a prendere la cittadinanza russa per sopravvivere, non avevano altra possibilità. I programmi scolastici sono stati completamente stravolti, i libri ucraini sono stati tolti dal mercato, la gente non può accedere alle televisioni ucraine, se non usando Internet», ecc.
Quante testimonianze, in dieci anni, ci hanno dimostrato – non dubitiamo che se ne ricordino i lettori di questo o altri giornali, o di «intellettuali/ influencer» “putiniani” - quali siano stati i crimini dei neonazisti contro la popolazione russofona o anche ai danni di ucraini che, per “disattenzione” (in famiglia, la gran parte degli ucraini ha sempre parlato russo) in strada, nei negozi, si lasciavano sfuggire qualche parola in russo! Qualcuno si ricorderà di certo anche di quella comica conferenza stampa in cui lo stesso ex presidente golpista Petro Porošenko, nel 2015, fu costretto a chiedere all'assistente la dizione ucraina di una parola che lui conosceva soltanto in russo. Ecco. Ma, fermiamoci qui.
È ormai tempo di «rinunciare alle vecchie abitudini»; è tempo di dar voce a un'unica parola d'ordine, che si contrapponga ai “crimini” del «regime russo». Allo scopo, va bene qualsiasi tema; va bene la “testimonianza” di qualsiasi «ingegnera di 36 anni originaria di Ernergodar»; tanto, i “crimini” del «regime di Mosca» sono un'assioma.
Aspettiamo solo, una di queste mattine, di leggere tra le “corrispondenze” dalle «quattro province dove Putin avanza», il racconto su qualche “impresa” degna dei lontani progenitori di questi “nuovi barbari”, come ce le aveva tramandate Erodoto descrivendo usi e costumi degli Sciti, i quali, «Dopo aver reciso a tutti i nemici immolati la spalla destra insieme con il braccio, le scagliano all'aria e poi quando hanno finito anche con le altre vittime, si allontanano: il braccio rimane là dove è caduto e separato da esso rimane il cadavere». Del resto, la regione è quella, più o meno; Sciti o Sàrmati che siano, le usanze, anche dopo due o tremila anni, rimangono tali.