"Ho ancora le mani per scrivere": il libro testimonianza sul genocidio a Gaza

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"Ho ancora le mani per scrivere": il libro testimonianza sul genocidio a Gaza





Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio a Gaza (EDIZIONI Q) raccoglie 222 testi di numerosissimi autori di Gaza, scrittori, poeti, giornalisti o semplici cittadini. Il sottotitolo dell’originale sottolinea che si tratta di testimonianze min dakhil Ghazza (“dall’interno di Gaza”), cioè scritte da palestinesi che vivono nella Striscia. Diffuse perlopiù dai social networks, sono riportate in ordine cronologico, coprendo un periodo che va dall’ottobre del 2023 fino al settembre 2024. Mutuando un’espressione tipica del linguaggio militare, esse sono state composte a “distanza zero” dal teatro degli eventi che li vedono coinvolti, non da semplici spettatori, ma da attori, testimoni oculari, auricolari e con tutti gli altri sensi, sensazioni ed emozioni.

Dal 7 ottobre 2023 i profili dei cosiddetti “social” pullulano di testi vari in cui i palestinesi cristallizzano le terribili esperienze che vivono nel loro quotidiano, provati dalla fame, dall’oppressione, sotto una campagna di pulizia etnica e di sterminio. Nell’introduzione all’originale arabo, il poeta giordano-palestinese Musa Hawamdeh, uno dei curatori dell’opera e fondatore della casa editrice giordana Tadween, scrive: «Questi diari mostrano chi sono i veri esseri umani e chi i mostri assassini, chi sono le vittime e chi i carnefici. (…) Noi sogniamo di liberare la nostra umanità (…). Vogliamo fermare la barbarie e il mostro che non vuole riconoscere il diritto di questo popolo al proprio paese e al suo sole".

Gli abitanti di Gaza sanno che scrivere è un lusso, tra le perdite di tanti cari e la paura. Lo fanno anche per sentirsi vivi, per proteggere il cervello dalla ruggine, sapendo bene di avere «pochissimo tempo a disposizione» (frammento 118). Ma il dilemma più grande è come far sentire la propria voce al mondo. Se le immagini non bastano, come possono le parole aprire una breccia nel cuore dei lettori? E in più la lingua non riesce neanche a descrivere tutto ciò che accade, ad esprimere l’assurdità del reale.

Dopo il 7 ottobre un ministro israeliano ha definito i palestinesi “animali umani”, ma costoro sono ormai consapevoli che mentre asini, cavalli, buoi hanno un prezzo, loro non valgono niente, agli occhi del pianeta. Una menzione speciale ricevono gli asini, perché trasportano feriti, cadaveri, oggetti pesanti senza chiedere niente in cambio. Sono gli unici a condividere con gli abitanti di Gaza morte, malattie e l’eterna diarrea. Eppure c’è chi nega loro un po’ di acqua, a causa della sete che affligge la Striscia.

Con la maggior parte degli edifici distrutti o pericolanti si vive e si dorme all’aperto o in tenda. Ognuna di esse porta nelle sue pieghe una storia di perdita, di oblio forzato e di nostalgia. Poi di sera il tempo si arresta per un attimo: «Si spengono le luci e si accendono i ricordi» (frammento 207).

In un angolo un’anziana seduta racconta a se stessa della sua vecchia casa, dell’albero di olivo che abbracciava ogni mattina. Tra le macerie e le tende proliferano insetti, topi, vipere, scorpioni, mosconi blu che si nutrono di cadaveri. Inoltre nella calura della tenda «soffri di mal di testa, pressione bassa o alta, pustole di tutti i tipi, problemi ai reni, dolori alle ossa (…), un pianto represso ogni volta che ti senti soffocare in un fiume di sudore» (frammento 36). Ma a molti i topi ormai non fanno più paura, quella viene solo dall’uomo. C’è anche chi cerca una cella di carcere vuota, al posto della tenda, meglio se d’isolamento.

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Testo tratto dall'introduzione dell'opera

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