Falsificatori della storia. La Stampa fa da megafono alla memoria a senso unico della “iena d'Europa”
di Fabrizio Poggi
Il 7 maggio 1945 veniva firmato a Reims il protocollo preliminare della capitolazione tedesca; il giorno seguente, di fronte ai comandi delle forze sovietiche e alleate, veniva sottoscritto a Berlino l'atto definitivo della capitolazione, che entrava in vigore alle ore 24.00. Da settantacinque anni, dunque, il 9 maggio è considerato a Mosca e in buona parte delle ex Repubbliche sovietiche il Giorno della vittoria dei popoli sovietici sulla Germania nazista. La vittoria dei popoli sovietici, il cui ruolo fondamentale nella disfatta del nazismo e di tutti i collaborazionisti europei dei nazisti viene consapevolmente ignorato, con precisi scopi politici anticomunisti. Quegli scopi, ad esempio, che fanno dire a qualche giornalista de La Stampa che “Stalin voleva rivendicare il ruolo dell’Armata Rossa nella liberazione di Berlino”. E chi altri se non l'Esercito Rosso aveva issato la bandiera sovietica sul Reichstag? Chi altri era venuto in soccorso degli “alleati”, ancora a pochi mesi dalla fine della guerra, obbligando la Wehrmacht a dirottare a est intere divisioni corazzate che avevano imbottigliato gli anglo-americani nelle Ardenne? Chi altri aveva affrontato e sconfitto le oltre 235 divisioni tedesche impegnate sul fronte orientale, contro le 58 operanti a ovest? Chi altri, se non il popolo sovietico, aveva sopportato gli orrori della guerra di sterminio condotta a est dai nazisti e dai loro satelliti? In quale altro paese, le vittime civili in una sola città assediata da nazisti tedeschi, finlandesi, italiani, spagnoli, erano state più numerose dei morti militari di USA e Gran Bretagna messi insieme?
Gli gnomi e i loro megafoni liberali e anti-sovietici, possono proclamare che la “Seconda guerra mondiale si conclude con la resa tedesca e la firma tra Germania e gli alleati il 7 maggio di settantacinque anni fa, ed entra in vigore il giorno successivo perché Stalin voleva rivendicare il ruolo dell’Armata Rossa nella liberazione di Berlino”. La Seconda guerra mondiale, come non era iniziata il 1 settembre del 1939, perché preceduta da almeno otto anni di conflitti, aggressioni, bombardamenti, che avevano coinvolto centinaia di milioni di persone in Europa, Asia e Africa, così non si concludeva né il 7, né l'8 maggio; non foss'altro perché, ad esempio, Praga veniva liberata solo il 9 maggio, dopo che era entrata in vigore la resa incondizionata tedesca; ma soprattutto, perché fino al settembre successivo, la guerra continuava in Estremo oriente, fino alla resa giapponese. Ora, a meno di non voler trasformare l'Europa nel mondo intero e “consentire che il carnefice venga scambiato con la vittima” - all'opposto, però, di quanto blaterato da qualcuno, la cui voce viene ospitata su uno dei più anticomunisti quotidiani italiani – è necessario stabilire dei punti fermi.
Lo spazio di un articolo non consente purtroppo di abbracciare ogni fase di un periodo storico così ampio come quello relativo ad antecedenti, premesse, nodi della Seconda guerra mondiale e ai decenni successivi. Non si può però fare a meno di alcune puntualizzazioni; e queste non possono non toccare proprio quelle forze, paladini del più becero anticomunismo e antisovietismo, che oggi ambiscono al titolo di “vittime del totalitarismo” e “dell'occupazione sovietica”, ben rappresentate da esponenti governativi di quella che Winston Churchill definiva la “iena d'Europa”.
Per cominciare dall'oggi: la bellissima città polacca di Wroclaw, fino al maggio 1945 si chiamava Breslau e nei precedenti 600 anni non era appartenuta alla Polonia. La vittoria sul nazismo, che oggi a Varsavia si definisce “inizio della tirannia comunista”, diede alla Polonia Slesia, Pomerania e gran parte della Prussia orientale, insieme a città come Danzica, Zielona Góra, Lig?ica, Szczecin, Bialystok. La definizione di Churchill si riferiva però al periodo antecedente la seconda guerra mondiale, quando la “iena”, per dirne una, a metà anni '30, citava l'esempio dell'Italia Mussoliniana per rivendicare il possesso a proprie colonie e, come ricorda Viktor Saulkin, proclamava che “Noi polacchi, come gli italiani, siamo di fronte a un grosso problema di dislocazione e utilizzo di una popolazione in rapida crescita. Noi polacchi, come gli italiani, abbiamo il diritto di chiedere che ci vengano aperti mercati per l'esportazione e regioni per gli insediamenti, in modo da poter ottenere le materie prime necessarie all'economia, alle condizioni di altre potenze coloniali". Le mire polacche riguardavano Togo, Camerun, Madagascar, Liberia e alcune regioni di Brasile, Argentina e Antartico; si puntava anche a Angola e Mozambico (colonie portoghesi), Rhodesia, Trinidad e Tobago, Gambia.
Era quello il periodo in cui Varsavia firmava patti con i nazisti, partecipava, insieme alla Germania hitleriana e all'Ungheria, alla spartizione della Cecoslovacchia (fu in quell'occasione che Churchill disse: "con l'avidità di una iena, ha preso parte alla razzia e alla distruzione dello stato cecoslovacco"); per tacere dell'occupazione, dal 1920 al 1939, di Ucraina e Bielorussia occidentali, della loro polonizzazione forzata, con l'eliminazione di scuole, istituti, associazioni bielorusse e ucraine; per tacere del massacro di decine di migliaia di prigionieri dell'Esercito Rosso, dopo la guerra del 1919-1920.
Oggi, Varsavia, nell'ambizione di capeggiare crociate anticomuniste e “riorganizzazioni” geo-politiche in Europa, finge di piangere per “l’occupazione degli altri paesi della regione del Mar Baltico - Lituania, Lettonia ed Estonia”, di cui però, in un passato non lontano, non disdegnava di occupare città, come ad esempio Vilnius, attuale capitale lituana, insieme a un terzo del territorio di quel paese. Frutti della “occupazione sovietica”, che ha regalato territori mai prima loro appartenuti (o solo in parte), riguardano anche Ucraina, Cecoslovacchia, Ungheria, Moldavia, Romania; ma di questo, magari, un'altra volta.
Per quanto riguarda la farsa liberale del “Patto Ribbentrop-Molotov” che sarebbe “la prova diretta della preparazione dell’aggressione congiunta alla Polonia”, e, come bestemmiano a Bruxelles, della “spartizione dell'Europa tra due regimi totalitari”, rimandiamo per comodità al saggio di Igor Šiškin, pubblicato oggi su L'AntiDiplomatico all'interno de “Seconda guerra mondiale – Chi l'ha provocata?”, limitandoci a ricordare, a proposito di responsabilità per lo scatenamento della guerra, il ruolo degli “alleati” - Gran Bretagna e Francia – nella politica di appeasement nei confronti di Hitler e il lavorio da essi svolto, prima e dopo Monaco, nell'indirizzare le mire naziste verso est, mentre Varsavia, fino all'ultimo, rimaneva fedele all'alleanza con il Terzo Reich siglata sin dal gennaio 1934 dal dittatore Jozef Pilsudski.
Come non ricordare che era la Polonia del regime dittatoriale della “sanacia”, che si ergeva a rappresentante di Germania, Italia e Giappone alla Società delle Nazioni, quando quelle ne vennero escluse per le aggressioni a Etiopia e Cina. Ancora sul finire degli anni '30, come ricorda ancora Viktor Saulkin, l'ambasciatore polacco in Iran, Karsho-Siedlevsky, scriveva: “Tra qualche anno, la Germania combatterà l'Unione Sovietica e la Polonia sosterrà, volontariamente o meno, la Germania. È meglio per la Polonia schierarsi definitivamente con la Germania già prima del conflitto, dato che gli interessi territoriali polacchi a a est, principalmente in Ucraina, possono essere garantiti solo con un accordo polacco-tedesco”. E, ancora nel dicembre 1938, i vertici militari polacchi affermavano che "Lo smembramento della Russia è a fondamento della politica polacca a est... Obiettivo principale è quello di indebolire e sconfiggere la Russia". Come non ricordare che Varsavia si oppose fino all'ultimo a un accordo tra Mosca, Parigi e Londra, per difendere la Cecoslovacchia dall'aggressione tedesca.
“Mosca ci ha occupato e l’Europa ha perso la memoria dei nostri eroi”: dicono gli eredi dei panstwo e della szlachta polacchi. La memoria è molto viva e sa anche distinguere gli eroi dalle iene che banchettano sui cadaveri dei leoni.