Elena Basile: "L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal"

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Elena Basile: "L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal"


di Elena Basile*

Se rileggiamo Se questo è un uomo di Primo Levi troviamo pagine pacate e disperate sulla natura umana e su come all’interno del lager il microcosmo sociale si organizza. L’istinto di sopravvivenza è soddisfatto attraverso la sopraffazione dell’altro, la competizione con coloro che sono a noi pari e la soggezione conformista a chi è anche solo di un gradino a noi superiore. Non c’erano le SS a controllare i campi, ma una struttura piramidale divisa in tre gruppi, ciascuno con i loro capetti all’interno, prigionieri comuni, politici ed ebrei. La lettura è straziante perché rimanda senza possibilità di speranza a un Dna che si ripete nella storia, facendo avanzare gradualmente la barbarie sino alla sua esplosione: nazismo, razzismo, colonialismo, guerre.

Osservare la realtà politica, italiana, europea, occidentale, conferma le lucide visioni del grande scrittore umanista ebreo. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica la corruzione delle classi dominanti appare ormai senza camuffamenti. Il prevalere della forza contro il diritto è all’ordine del giorno come la retorica razzista, contro l’islam e il terrorismo, contro il nemico russo, contro il diverso, che non è più l’ebreo oppure l’omosessuale, ma colui che non si allinea alle logiche belliciste, filoatlantiche e filoisraeliane, suprematiste bianche.

Il presidente statunitense afferma pubblicamente nel suo recente discorso a Tel Aviv di essere pressato dalla coppia di miliardari (specifica 60 miliardi in banca), Miriam e Sheldon Adelson, ebrei americani, che irrompono nello Studio Ovale e chiedono politiche filoisraeliane. In un momento di massimo potere e influenza della lobby di Israele che riesce a ricattare la politica di Washington al fine di coprire attacchi israeliani, militari e terroristi ai Paesi vicini, e coniugarli con la brutale violenza in Cisgiordania dove vige un regime di apartheid e con il genocidio di Gaza, il discorso politico occidentale si sofferma sull’antisemitismo come se l’opposizione mondiale alle logiche di dominio tedesche sotto Hitler potesse essere considerata un movimento antiariano.

Come tutti dovrebbero sapere, l’antisemitismo è un fenomeno storico assimilabile al razzismo e al suprematismo bianco contro comunità di ebrei, ghettizzate, perseguitate, odiate per i lori riti religiosi e costumi sociali, per i tratti somatici. Nulla a che vedere con l’indignazione delle piazze e i movimenti pro Palestina che difendono gli ebrei odierni, i palestinesi, un popolo senza Stato, martoriato da una potenza coloniale bianca. Eppure la retorica avanza protetta dalla repressione con arresti di massa in Uk, Germania e in Francia, con querele e ostracismi per silenziare i critici, e unisce le destre al potere, con le destre all’opposizione in Europa, con i partiti centristi o del centrosinistra, le cui politiche estere ed economiche non sono differenti. L’uccisione arbitraria di undici pescatori venezuelani da parte degli Stati Uniti di Trump passa sotto silenzio come del resto le vittime dei droni di Obama non destavano alcuna sorpresa e permettevano al presidente di ottenere il Nobel per la Pace sebbene avesse sostenuto l’attacco alla Libia e l’utilizzo della jihad islamica per fomentare la guerra civile in Siria. Nel momento in cui anche una istituzione scandinava, creata per rafforzare cultura, scienza e pace, appare permeata dal suprematismo bianco e asseconda giochi geopolitici occidentali, sembra evidente che la corruzione del sistema non lasci spiragli. Il premio non viene dato al presidente Trump, ma alla sua pupilla venezuelana Maria Corinne Machado, militante della destra radicale, filoisraeliana, formata a Washington, finanziata dalla Ned e partecipante attiva al tentativo di colpo di Stato contro Chávez. Il giornalismo europeo descrive la Machado, che chiede pubblicamente l’intervento degli Stati Uniti per spodestare il governo del suo Paese, come una pasionaria che difende democrazia e diritti umani.

Ho tenuto a citare questi eventi più recenti che appaiono emblematici della degenerazione del discorso politico in Occidente. La corruzione ha plasmato la politica come le istituzioni culturali, l’accademia e lo spazio mediatico. Le democrazie liberali del secondo dopoguerra si sono trasformate in oligarchie che tendono all’autoritarismo. Come nel lager descritto da Primo Levi, in una struttura piramidale, di assoluto conformismo e allineamento al potere, ciascun gruppo sociale cerca di sopraffare quello appena inferiore e si identica con l’altro appena superiore. La dimensione collettiva è stata cancellata. Prevalgono la giungla e la competizione in un individualismo sfrenato. Le nostre invisibili SS sono i potentati economici, che includono la lobby delle armi e di Israele. La nostra realtà è più complessa e meno nitida del lager. L’essenza spirituale tuttavia è già presente.

*Pubblicato su il Fatto Quotidiano de il 17 ottobre 2025

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