E' russo e nell'UE rischia 10 anni di carcere per un reato d'opinione. Intervista esclusiva a Vladimir Linderman
Vladimir Linderman, giornalista, attivista pubblico, presidente dell'associazione "Lingua nativa". Vive a Riga, dov'è sottoposto ad una vera e propria persecuzione giudiziaria da parte delle autorità lettoni.
L'INTERVISTA
Può raccontare le circostanze del suo arresto?
Sono stato arrestato nel giugno 2022 con l'accusa di "giustificare l'aggressione russa" e anche di "incitare all'odio verso lettoni e ucraini". Gli agenti del Servizio di Sicurezza dello Stato lettone (SGB) mi hanno trattenuto con estrema durezza. Hanno sfondato la porta dell'appartamento, mi hanno buttato a terra e mi hanno preso a calci. Durante il trasferimento mi hanno messo un sacco in testa e hanno stretto le manette così tanto che le mie braccia si sono gonfiate fino ai gomiti. Quando sono consegnato alle autorità carcerarie questo trattamento è finalmente cessato ed è stato un sollievo. Sono stato in prigione per circa quattro mesi e sono stato rilasciato su cauzione. Il processo è attualmente in corso e sta per aprirsi il dibattimento. Non ammetto la mia colpevolezza: la pena massima che mi potrebbe venire inflitta è di 10 anni di carcere. Non è la prima volta che finisco in prigione e questo non mi spaventa. Sono già stato oggetto di ben dodici procedimenti penali per motivi politici, ma non sono mai stato ritenuto colpevole. Ora sono sotto processo anche per un altro caso riguardante una presunta violazione delle sanzioni dell'Unione Europea: il caso riguarda la collaborazione di quattordici giornalisti lettoni con i media russi: io sono uno di questi. Non posso lasciare la Lettonia liberamente: ogni volta che voglio andarmene, ho bisogno del permesso del giudice. E posso essere autorizzato a viaggiare solo all'interno dell'Unione Europea.
Come descriverebbe la sua detenzione?
Si è trattato della mia terza “visita” alla prigione centrale di Riga: lì ormai mi conoscono. L'atteggiamento nei miei confronti è stato rispettoso sia da parte dell'amministrazione che da parte dei detenuti. Sulle condizioni di vita in prigione non posso dire nulla di positivo. Cibo cattivo, pessime condizioni igieniche, pessima assistenza medica. Questo per tutti i prigionieri, non solo me personalmente. Nonostante ciò ho avuto rapporti normali con le guardie carcerarie gli altri detenuti: questo è molto importante. L'SGB ha cercato di isolarmi e di impedirmi qualsiasi contatto con il mondo esterno. Mi era proibito ricevere le visite di parenti e amici, scrivergli o telefonargli. Ma grazie al mio avvocato, poche settimane dopo il tribunale ha annullato questo divieto illegale. In prigione ho ricevuto un sacco di lettere (solo su carta, dal momento che l'utilizzo di Internet non è consentito). Anche da parte dei giornalisti che mi hanno fatto delle domande: le mie risposte sono state poi pubblicate da alcuni media. Io stesso ho scritto diversi articoli e sono stati pubblicati. In prigione, non di rado, mi sento ispirato: ho scritto cinque o sei poesie ed ho letto molto. La biblioteca del carcere offriva ben poco: i libri che ho letto lì ho chiesti e ricevuti da amici dal momento che questo è permesso. In quattro mesi di prigione ho letto più che in quattro anni di libertà. I libri che mi hanno colpito di più sono Kazuo Ishiguro “Clara e il sole”, Umberto Eco “Il nome della rosa”, Zakhar Prilepin “Esenin”. Mi sono mantenuto in forma con passeggiate quotidiane (un'ora nel cortile della prigione) ed un po' di esercizio fisico. In cella eravamo in cinque, successivamente ci sono stati dei cambiamenti. Ognuno per accuse diverse: contrabbando, droga, omicidio. E con diverse opinioni politiche, ma all'interno della cellula tutti mantengono buone relazioni per evitare l'emergere di conflitti.
Cosa può dire a proposito della situazione politica in Lettonia?
Esiste una discriminazione nei confronti dei russi che vivono in Lettonia: chiamo russi tutti coloro la cui lingua madre è il russo. La lingua russa viene forzatamente eliminata da tutti gli ambiti della vita: l'istruzione in lingua russa è stata eliminata, i monumenti legati alla storia ed alla cultura russa vengono smantellati, ad alcuni residenti russi viene negato il diritto di voto e così via. La discriminazione nei confronti della minoranza russa è iniziata subito dopo l'indipendenza della Lettonia nel 1991 e da allora non è mai cessata. Con lo scoppio della guerra russo-ucraina, la discriminazione si è intensificata: ciò si è manifestato con la demolizione di monumenti, nella deportazione dalla Lettonia di anziani che avevano acquisito la cittadinanza russa e in numerosi procedimenti penali contro coloro che, secondo il Servizio di sicurezza dello Stato, hanno espresso simpatia per la Russia. Per quanto riguarda la “questione russa” non ci sono differenze fondamentali tra le politiche di Lettonia, Estonia e Lituania. Le piccole differenze che esistevano sono ormai scomparse: ad esempio, in Estonia, i cittadini russi a cui era stata revocata la cittadinanza estone potevano votare alle elezioni comunali. In Lettonia non avevano questo diritto. Ma di recente è stato cancellato anche in Estonia.
Rispetto a queste problematiche lei ad oggi considera possibile un cambiamento?
Sarebbero possibili dei cambiamenti in positivo la guerra russo-ucraina dovesse terminare e se le relazioni tra Russia e Stati Uniti venissero normalizzate. La discriminazione nei confronti dei russi continuerebbe, ma attestandosi sui livelli precedenti al febbraio 2022. Ci sarebbe meno repressione ed un po' più di libertà di parola. Sarebbe importante anche che le relazioni tra Russia ed UE venissero ripristinate, ma questo scenario è ancora lontano.
A giorni ricorrerà l'ottantesimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista. Qual è l'atteggiamento delle autorità lettoni rispetto alla memoria della seconda guerra mondiale?
In Lettonia, celebrare pubblicamente il 9 maggio, Giorno della Vittoria, è ora un reato. È considerata una glorificazione del regime totalitario (sovietico, NdR). Un mese fa, la Procura generale della Lettonia ha riabilitato Herberts Cukurs, il "macellaio di Riga" che partecipò attivamente allo sterminio degli ebrei lettoni come membro del famigerato "commando Arajs", un'unità di polizia che aiutò i tedeschi a risolvere la "questione ebraica". Arajs è stato condannato all'ergastolo in Germania. Altre diverse centinaia di persone commando sono state condannate. Cukurs era il più stretto assistente di Arajs. Dopo la guerra si nascose in Sud America, dove fu ucciso dal Mossad israeliano nel 1965. Tuttavia, la procura lettone non ha riscontrato alcun reato nelle azioni di Cukurs. Fatti che la dicono lunga sull'atteggiamento delle autorità lettoni nei confronti del nazismo.