Dove siete finiti tutti?

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Dove siete finiti tutti?

 


di Agata Iacono

 

"Dove sono finiti tutti?", chiede l'onorevole Stefania Ascari del Movimento 5 Stelle in un post su Facebook. Si riferisce al fatto che non ci siano più artisti che sbandierano i colori della Palestina, che non ci siano più grandi manifestazioni. Eppure, in Palestina si continua a morire, a soffrire, oggi più che mai. Stessa cosa si chiede Luca Di Giuseppe, presidente dell'associazione Schierarsi in un breve video.

Stefania Ascari ipotizza che l'interesse non fosse sincero, che, più che il popolo palestinese, la maggioranza dei cosiddetti "Pro PAL" avesse a cuore la propria egocentrica capacità di acchiappare like, essere conformisticamente alla moda, autoassolversi con un gesto una tantum, per poi passare ad altri argomenti più accattivanti.

Non lo dice con queste parole, ma il sunto mi sembra questo.

Questo è il post:

"Dove sono finiti tutti e tutte?

Solo poche settimane fa sembrava che tantissimi si fossero riscoperti improvvisamente al fianco della Palestina. Foto, interviste, bandiere, kefieh sfoggiate. C’era chi diceva di non riuscire a dormire la notte, chi faceva ospitate in televisione, chi sventolava bandiere sui palchi dei concerti, chi correva a mettersi in prima fila nelle manifestazioni.
E’ bastato che i riflettori si abbassassero perché tutti i paladini dell’ultima ora rimettessero la kefiah nell’armadio e passassero al tema che porta più like.
Perché questo purtroppo è quello che importa a molti e molte: non la coerenza, ma la visibilità e i vantaggi personali che possono trarne.
Ma intanto, mentre l’attenzione cala, a Gaza e in Cisgiordania l’inferno non è finito: ci sono famiglie sfollate che vivono in tende che si allagano con la pioggia, testimonianze di maltrattamenti nelle carceri israeliane, sistema di apartheid, blocco degli aiuti umanitari ai valichi, incursioni e assalti.
E, notizia di oggi, trasferimenti non tracciati di palestinesi con destinazioni finali ignote gestiti da una presunta ONG tedesca in collaborazione con Israele e plausibilmente collegati a un progetto politico di pulizia etnica della Striscia.
Su questo ho già provveduto a depositare un’interrogazione parlamentare.
Non distogliamo lo sguardo perché non è finita, e la dignità del popolo palestinese continua a essere calpestata sia da chi sulla loro pelle compie atroci crimini di guerra e contro l’umanità, sia da chi usa la loro sofferenza come passerella per i propri interessi personali.
Ritorniamo a essere umani, davvero. Palestina libera".

Credo che l'onorevole Ascari abbia colto nel segno.

Parzialmente.

C'è di più.

In Italia il movimento per la Palestina è stato diviso.

Plasticamente.

Dal 5 ottobre a tutto novembre 2024 c'è stata una precisa volontà di emarginare chiunque fosse per la resistenza, per costruire a tavolino una facciata laica e moderata, tale da poter presentare un soggetto politico, elettoralistico, sulla scia dell'emotività e sulla pelle dei palestinesi.

Non uso mezzi termini. È iniziata proprio lì, da quella assemblea che ha escluso alcune associazioni di palestinesi, addirittura organizzando un assurdo servizio d'ordine per separare nelle manifestazioni i buoni dai cattivi.

E ancora non si era svegliata l'indignazione ecumenica trasversale contro il genocidio.

Identificazioni, fermi, arresti, cariche e manganelli c'erano solo per criminalizzare la resistenza.

Gli altri, con la bandierina, ma "buoni e soprattutto che condannavano Hamas", potevano tranquillamente sfilare, purché trasformassero i crimini di Israele, la complicità dell'Occidente e della maggioranza dei Paesi Arabi, in umanitaria compassione per le vittime, pietismo avulso da qualsiasi contesto di presa di coscienza del colonialismo d'insediamento sionista.

Colonialismo che ci riguarda  direttamente, poiché interroga le basi della nostra cultura suprematista.

Poi c'è stato il fenomeno di massa della Flotilla. Barchette create dall'intelligenza artificiale hanno invaso i social, chiunque avanzasse dubbi o facesse domande veniva trattato come eretico, minacciato, insultato. Finalmente la Flotilla riusciva ad estetizzare il senso di impotenza, diventava il totem, davanti la sensazione di "fare" qualcosa di concreto.

Ed in effetti ha sensibilizzato, seppur in modo superficiale, una massa di un milione di persone a Roma. Ma con un pericolo, che molti di noi avevamo paventato. Che la missione, cioè, non riuscisse (e che quindi  fosse solo simbolica) e che, dopo un primo aleatorio momento di "blocchiamo tutto se un solo membro dell'equipaggio sarà toccato", prevalesse piuttosto la conferma dell'impotenza.

"Abbiamo tentato tutto il possibile, non si può fare di più".

Il messaggio è arrivato forte e chiaro.

E, contemporaneamente, è arrivato il piano di Trump, la falsa Pace che non prevede neppure un autogoverno del popolo palestinese, che vuole disarmare il Fronte di Liberazione, che non condanna i criminali contro l'umanità.

L'espressione ecumenica (cioè  va bene tutto purché siamo tanti) ed estetica rappresenta esattamente il contrario di una presa di coscienza di massa che possa veramente costruire la base di un cambiamento vero, di un profondo percorso di analisi e critica rivoluzionaria.

È da qui che bisogna partire.

Agata Iacono

Agata Iacono

Sociologa e antropologa

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