Armiamoci e partite. L'“inno alla guerra” dai giornali di regime italiani

1746
Armiamoci e partite.  L'“inno alla guerra” dai giornali di regime italiani

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

A dispetto del semi-silenzio calato da tempo sulla questione – d'altronde, la diplomazia agisce al coperto dal frastuono e dagli scandali che amano sollevare i media a uso e consumo delle tirature - Russia e USA stanno continuando a discutere le possibilità di risoluzione del conflitto ucraino, sulla base delle intese raggiunte lo scorso agosto ad Anchorage da Vladimir Putin e Donald Trump. Questo è quanto ha dichiarato a “Rossija 1” il consigliere presidenziale Jurij Ušakov: «Riteniamo che questa sia una strada davvero buona per raggiungere una soluzione pacifica», ha detto, aggiungendo che le autorità di Kiev sono state informate degli accordi raggiunti in Alaska, ma non li apprezzano. «Anche a molti europei Anchorage non piace» ha detto Ušakov, ma non a tutti. Non piace a coloro che non vogliono una soluzione pacifica e vogliono continuare la guerra fino all'ultimo ucraino».

Ora, per l'appunto, a proposito del differente modo di agire di diplomazia e media, non è una novità che i principali quotidiani italiani di orientamento governativo siano da tempo schierati apertamente per la guerra e la recente contesa interministeriale fascio-leghista, autentica o teatrale che sia, sul proseguimento degli aiuti all'Ucraina, non fa che dare maggior spazio agli inni alla guerra lanciati dalle redazioni, milanesi e torinesi al contempo.

Dunque, se un qualsiasi ministro leghista che passi per “putiniano” - in effetti, basta poco per vedersi appioppato tale appellativo: è sufficiente scrivere “Kiev” invece del banderista “Kyiv” - solleva un sommesso dubbio sull'opportunità di continuare a mandare soldi pubblici alla junta golpista, ecco che prontamente gli si contrappone la potente voce di un ministro fascista e, in base allo spartito, i toni che, per il conforto del signor Alessandro De Angelis (La Stampa del 16 novembre) sovrastano il flebile acuto del flauto ottavino di marca padana, sono quelli della grancassa percossa dalle energiche mani del Ministro della guerra.

Un ministro che, raccontano da Torino, è sempre stato coerentemente dalla parte di Kiev e che sin «dal 2022 avvertiva che la guerra sarebbe andata per le lunghe, perché per Putin tempo e morti non sono un problema, mentre per le democrazie occidentali lo sarebbero diventati sempre di più». Eh certo, come si fa a scrivere un pezzo bellicista senza infilarci la ritrita nenia delle “democrazie occidentali” e della barbara sete di sangue delle autocrazie orientali! Insomma, il ministro Crosetto sa da sempre che «l’Ucraina è l’ultimo scudo», il “vallo europeo” a difesa dalle orde asiatiche, come dicevano a Kiev ai tempi di Porošenko-Jatsenjuk. Non da oggi, il ministro fratello-italiota sentenzia che «la follia russa è irrefrenabile» e che è «necessario accelerare sulla Difesa europea perché non farlo è una bestemmia e anche un suicidio politico». Nelle redazioni di Torino e di Milano la chiamano “difesa”, tanto per non ricalcare con carta-carbone le smarronate di tale Kaja Kallas sul dovere di prepararsi alla guerra.

E, per la soddisfazione del cronista, in quella diatriba “interforze” il «dodicesimo pacchetto di aiuti a Kiev non c’entra. O meglio, quel pacchetto è al riparo, perché non ha bisogno di autorizzazioni parlamentari», cioè di quei “lacci e lacciuoli” che, qualche volta, certa opposizione si ostina a porre a decisioni belliche già di per sé così manifestamente «necessarie». Vorremmo rassicurare il cronista che il “caso” è tale a metà: come riportato in altra parte dello stesso giornale, il presidente PD del Copasir, Lorenzo Guerini «tende la mano» al governo: «Kiev deve contare sull'Italia senza esitazioni». E il Fatto Quotidiano cita anche il furfante Filippo Sensi, che tuona: «Non si accettano contributi al ribasso sull’Ucraina... Subito in Parlamento l’appoggio militare alla resistenza Ucraina contro Putin». Sia chiaro, si intromette come prima della classe la demo-farisea Lia Quartapelle: «L’ambiguità della Lega sull’Ucraina è vergognosa e va chiarita. C’è solo un modo per farlo: il governo porti in aula il rinnovo del sostegno per l’Ucraina». Col finale ducesco della censora Pina Picierno che, quasi ad arringare sparuti sonnanbuli da una qualsiasi balconata di casa sua, assicura che «è il momento della chiarezza, della responsabilità e di un impegno più coraggioso di tutte le forze politiche»: eccoci al dunque, allorché un momento “segnato dal destino” si affaccia “nel cielo della nostra patria”. A noi!

Ma, di contro, i timori “pacifisti” de La Stampa sono alimentati proprio dai leghisti che, il prossimo gennaio, intenderebbero dire di no al rinnovo automatico degli aiuti ai nazi-golpisti, addensando in tal modo, sulla testa del medesimo cronista, «un clima di nubi all’orizzonte» che rischia di allontanare le possibilità europeiste (o quantomeno italiche) di foraggiare Kiev nella continuazione della guerra UE-NATO. Tanto più che la solita carducciana «nebbia autunnale che impedisce l’uso di droni» alle forze ucraine, vedrà Kiev ridotta «a combattere solo col battaglione Azov, scenario perfetto per confermare le intemerate di Lavrov contro i “nazisti”». E che diamine: si dice “adepti kantiani” e non nazisti; quante volte si deve ripetere che il Wolfsangel non è che un simbolo filosofico, un “fenomeno” apparente, contrapposto alla “cosa in sé” del bandersimo filo-hitleriano.

E, perdiana, sbuffa il redattore bramoso di guerra, il ministro leghista, animato senz'altro da «filo-putinismo», conta su «un logoramento della causa ucraina per arrivare a incrinare le modalità del sostegno garantito sinora». È inammissibile. C'è per di più in gioco «la collocazione dell’Italia» e per fortuna che l'altro ministro, quello fratitaliota, «proseguirà sulla sua strada», agendo in maniera tale che «una volta chiusa in Europa la procedura di infrazione, non chiederemo la clausola di salvaguardia, che ci consente di scorporare le spese militari dal 3 per cento». Viva la guerra.

E non è solo il signor De Angelis a esclamarlo. Con altre elucubrazioni, ecco che, sullo stesso giornale torinese, la signora Nathalie Tocci parte in quarta assicurando i lettori che «la realtà, come sempre, è ben diversa» dalla «narrativa che la propaganda russa cerca di imporre»: la verità, come noto e come verrà presto stabilita di volta in volta da un apposito ministero europeista, non può certo albergare a est del Dnepr, limite estremo della “civiltà occidentale”, unica portatrice dell'unica verità e attualmente dimorante in terra ucraina. A oriente di quel corso d'acqua non c'è che “propaganda del Cremlino”. Anche perché «che Putin non abbia alcuna intenzione di fermare la guerra è evidente». Altroché! Qui, a ogni modo, lo spartito segue un ritmo leggermente meno enfatico rispetto al precedente; le note calcano meno sull'impeto guerresco, per sussurrare che è «probabile che l’avanzata russa prosegua con lo stesso passo da lumaca degli ultimi quattro anni, mentre il numero di soldati russi morti e feriti - ormai vicino al milione e mezzo - continui a crescere»; ma in ogni caso è Mosca che vuole continuare la guerra, fregandosene delle intese dell'Alaska e senza vedere che «se la violenza e il freddo hanno certo stancato gli ucraini, non li hanno resi disposti alla capitolazione. La resilienza ucraina, tratto distintivo di questa lunga guerra, si rafforza con ogni giorno che passa, anziché indebolirsi». Già, la “resilienza”, il nuovo idioma euroliberale balzato alla ribalta con le famigerate “risoluzioni” UE del 2019, che intendevano equiparare regime nazista e ordinamento sovietico e che condiscono oggi ogni ricetta in cui il regime nazigolpista di Kiev debba passare per “democratico” e baluardo dei “valori della civiltà occidentale”.

Per la signora Tocci, dunque, a differenza del signor De Angelis, che anela apertamente ai preparativi di guerra, sarebbe il presidente russo a voler continuare la guerra, dato che «la sua prosecuzione è diventata funzionale alla sopravvivenza del regime», per dirla con un'altra giaculatoria catechistica ormai passata ad atto di fede di ogni sentenza europeista.

Ma, al dunque, è un bene che tra gli europei «cresca la consapevolezza che sostenere Kyiv non sia solo una questione di valori, ma anche di sicurezza. I droni e gli attacchi ibridi russi in Europa hanno dimostrato che la guerra di Mosca non si limita all’Ucraina. Così come è positivo che questa consapevolezza si traduca nell’impegno a continuare a appoggiare Kyiv militarmente, politicamente e finanziariamente»; anche se, purtroppo (purtroppo per loro) «mancano ancora la determinazione, il ritmo e l’ambizione necessarie per realizzare davvero la visione di un’Ucraina libera, democratica e integrata nella casa comune europea», come dovrebbe essere per un autentico avamposto dei “valori occidentali”, in campo contro il “barbaro autocratismo” orientale. Che siano dunque di sprono a chi di dovere, le omelie della signora Tocci, a prendere al più presto le decisioni che, davvero, dovrebbero segnare “l'ora delle decisioni irrevocabili”.

È tempo di mettere da parte ogni indecisione, per non parlare di contrarietà. Sì, perché, constata sul Corriere della Sera il signor Giuseppe Sarcina, nei confronti di Kiev l'occidente sta adottando “mezze misure”: una «serie di scelte o di non scelte che rischia di compromettere la resistenza militare di Kiev». E allora, avanti senza esitazioni: ci vogliono «e subito, armi per puntellare il fronte; soldi per garantire il funzionamento dello Stato». E avanti anche con l'assalto alle “flotte ombra” che trasportano il petrolio russo, che assicura a Mosca i soldi necessari a sostenere lo sforzo bellico; avanti con l'imporre un tetto massimo al prezzo del greggio, per non favorire i commerci russi. E sul «fronte delle armi. Gli ucraini ancora ci contano, ma negli ambienti Nato pochi credono che Trump consegnerà i Tomahawk, i missili a lunga gittata, a Zelensky».

Dannate mezze scelte, ansima il signor Sarcina; maledette mezze sicure europee e soprattutto italiane, che fanno sì che il “Purl” (Prioritized Ukraine Requirements List) sia fermo ad “appena” due miliardi e mezzo di dollari; «Troppo poco, non solo rispetto alle spropositate attese di Zelensky (90 miliardi di dollari), ma anche alle necessità militari più urgenti». Se si vuol preparare la guerra, come dice Bruxelles spacciandola per “pace”, occorre muoversi; e in fretta. Siano di fulgido esempio fermezza e pettinfuori dei Sensini, Quartapelle, Guerini & Co, quando lacrimano di un’Ucraina «che sta eroicamente resistendo alla guerra di Putin». «Guerra! Guerra! Tremenda, inesorata!», avrebbero invocato Ramfis e Radames nell'Aida verdiana. Un inno alla guerra: questo e nient'altro è quello che viene dei lazzaroni delle redazioni belliciste governative.

FONTI:

https://ria.ru/20251116/ushakov-2055276372.html

https://www.lastampa.it/politica/2025/11/16/news/armi_lite_nel_governo_gelo_crosetto-salvini-15398003/?ref=LSHA-BH-P1-S1-T1

https://www.lastampa.it/esteri/2025/11/15/news/la_rabbia_di_putin_e_i_guai_di_zelensky-15397167/?ref=LSHAE-BH-P1-S3-T1

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

"I nuovi mostri" - Roger Waters "I nuovi mostri" - Roger Waters

"I nuovi mostri" - Roger Waters

Venezuela nel mirino: la narrazione che assolve gli USA di Fabrizio Verde Venezuela nel mirino: la narrazione che assolve gli USA

Venezuela nel mirino: la narrazione che assolve gli USA

Come Milei ha aperto le porte al saccheggio dell'Argentina di Giuseppe Masala Come Milei ha aperto le porte al saccheggio dell'Argentina

Come Milei ha aperto le porte al saccheggio dell'Argentina

La partecipazione italiana all’ottava edizione della CIIE   Una finestra aperta La partecipazione italiana all’ottava edizione della CIIE

La partecipazione italiana all’ottava edizione della CIIE

Fubini che prova a convincerci che l'Ucraina sta vincendo la guerra... di Francesco Santoianni Fubini che prova a convincerci che l'Ucraina sta vincendo la guerra...

Fubini che prova a convincerci che l'Ucraina sta vincendo la guerra...

Halloween e il fascismo di Francesco Erspamer  Halloween e il fascismo

Halloween e il fascismo

Ma che c'entra La Russa con Pasolini? di Paolo Desogus Ma che c'entra La Russa con Pasolini?

Ma che c'entra La Russa con Pasolini?

Nel “bunker” di Maduro di Geraldina Colotti Nel “bunker” di Maduro

Nel “bunker” di Maduro

Caccia alle Streghe, Zakharova e non solo di Alessandro Mariani Caccia alle Streghe, Zakharova e non solo

Caccia alle Streghe, Zakharova e non solo

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Nessun altro posto di Giuseppe Giannini Nessun altro posto

Nessun altro posto

Vincolo esterno: la condizione necessaria ma non sufficiente di Gilberto Trombetta Vincolo esterno: la condizione necessaria ma non sufficiente

Vincolo esterno: la condizione necessaria ma non sufficiente

La sconfitta dell’uguaglianza, bisogna reagire di Michele Blanco La sconfitta dell’uguaglianza, bisogna reagire

La sconfitta dell’uguaglianza, bisogna reagire

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino di Paolo Pioppi Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

L'orrore e' il capitalismo di Giorgio Cremaschi L'orrore e' il capitalismo

L'orrore e' il capitalismo

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti