Tra un po’ a votare andranno solo i complici

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Tra un po’ a votare andranno solo i complici

 

di Luca Busca

 

Con le regionali in Emilia Romagna e Umbria persiste inesorabile il declino di partecipazione al rito elettorale. La rappresentanza politica è ormai un’entità completamente distaccata dalla realtà vissuta dai cittadini. Più gli italiani spingono per la pace più la classe politica pressa, dal lato opposto, per l’utilizzo dei missili occidentali in terra russa, incentivando così l’escalation della guerra. Più la cittadinanza chiede lo stop del genocidio del popolo palestinese, più forte si fa l’appoggio allo stato criminale che lo sta perpetrando. Più viene impellente si fa la richiesta di rifinanziamento della Sanità e dell’Istruzione pubblica, più si sperperano soldi in armi e in ponti già obsoleti prima ancora di nascere. 

La rappresentanza intera, vincente e perdente, gioisce del tracollo dell’affluenza alle urne. Meno gente vota, più facile sarà mantenere il potere all’interno del recinto neoliberista. Gabbia in qui albergano tutti i partiti presenti nel desolante panorama politico odierno. In Umbria appena il 52,29 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne, contro il 64,52 delle precedenti regionali. Ancor peggio è andata in Emilia Romagna dove ha votato il 46,42 per cento a fronte del 67,67 ottenuto nel 2020. Considerando che in Umbria Stefania Proietti candidato della coalizione di Centrosinistra ha vinto con il 51,13 per cento dei voti, il nuovo Governatore è l’espressione della volontà del 26,01 della cittadinanza. L’opposizione di Centrodestra, sotto la guida del governatore uscente Donatella Tesei, rappresenta appena il 23,49 degli aventi diritto, pari al 46,17 dei votanti.

In Emilia Romagna Michele De Pascale vincente di Centrosinistra ed Elena Ugolini perdente di centrodestra si aggiudicano rispettivamente il 25,78 per cento (56,77 dei voti) e il 18,20 (40,07) dei consensi della popolazione che per il 53,58% pensa che nessuno dei candidati sia degno di rappresentarla. Ad ogni tornata elettorale una fetta di cittadinanza rinuncia ad esprimersi, ormai completamente disillusa in merito alla possibilità di poter incidere. Infatti, ai fini del benessere comune chiunque vinca niente sembra cambiare. L’unica cosa che si modifica è la quota di spartizione della torta  degli appalti per le forniture di beni e l’esecuzione dei servizi pubblici, più alta per i vincitori più bassa quella dei perdenti. Sembra che il “Manuale Cencelli” della lottizzazione sia ancora in vigore e, di questo passo, è facile prevedere che a breve a votare andranno solo i complici dell’amministrazione per assicurarsi una “fetta della torta”.

A disperarsi è rimasto solo il buon vecchio Romano Prodi: “Siamo partiti che alle urne ci andava il 90 per cento. Adesso dove andiamo a finire?” (repubblica-emiliaromagna-umbria-affluenza). Tutti gli altri gongolano perché, tra un filtro e uno sbarramento, le “poltrone” sono equamente distribuite tra i due gruppi politici che, in perfetta sintonia neoliberista, assicurano la continuità dello status quo. Motivo per cui è tutto un celebrare vittorie e ammettere “sportivamente” le sconfitte, tanto comunque la fetta minoritaria della torta è assicurata. Un po’ come per una squadra di calcio andare in Champions League pur arrivando ultima in campionato.

L’esultanza è generale e cancella la triste realtà dell’astensionismo. Emblematiche in tal senso le dichiarazioni di Elly Schlein: “È il segno di una vittoria che è anche la vittoria della coesione di una squadra, di una coalizione e dell’unità del Pd … un segno di dove possiamo arrivare quando siamo uniti e compatti intorno all’obiettivo. … si profila un dato straordinario per il Pd e questo conferma la responsabilità che ci sentiamo come perno per la costruzione dell’alternativa a queste destre”. (ilfattoquotidiano.it-2024-11-18-elezioni-emilia-romagna-schlein)

Il dato straordinario dell’Emilia Romagna è che il PD ha perso, rispetto alle regionali del 2019/20, ben 108.272 voti come partito e 183.338 come coalizione. L’unica ragione che ha condotto alla vittoria non è stata la coesione di una squadra ma il crollo della squadra avversaria: oltre 600mila voti persi dalla Lega, parzialmente compensati dal recupero di Fratelli d’Italia e Forza Italia, che fanno chiudere la coalizione di centro destra con un passivo di 387.234 voti.

Oltre alla Lega, che tracolla anche in Umbria (-129.684), una menzione a parte merita pure il M5S, che  è reduce dalla recente trasformazione, fortemente voluta da Giuseppe Conte, in partitino vassallo del PD. Un team che va in giro millantando intenti pacifisti pur continuando ad allearsi con il partito più bellicista d’Italia. Si professa difensore dei diritti dei lavoratori e predica ugualitarismo dall’alto del suo pulpito tra le forze progressiste neoliberiste. Così si avvia spedito verso l’estinzione, dopo la débâcle ligure è riuscito a perdere oltre il 50 per cento dei suoi voti in Umbria e poco più del 48 in Emilia Romagna. Lungi dal fare autocritica Conte dichiara entusiasta: ““I nuovi governatori rilanceranno le due Regioni, bellissima vittoria, siamo orgogliosissimi”. (ilsole24ore.com-conte-l-intervista-regionali)

Nonostante il progressivo peggioramento del M5S, in atto dal 2018, nulla sembra convincere Conte e i suoi iscritti di essere sulla strada sbagliata. Alla Costituente l’ardua sentenza. Il sintomo però è piuttosto chiaro: a fronte di un compatto schieramento (da FdI ad AVS e M5S) dichiaratamente neoliberista, europeista, vassallo degli Stati Uniti e della NATO, non esiste alcuna forza politica realmente antagonista allo strapotere delle lobby economiche e finanziarie. Il dissenso è talmente frammentato da non riuscire a strutturare un proposta politica unitaria. Ogni tentativo naufraga sull’isola artificiale della deideologizzazione, creata dalle post-democrazie al fine di “demansionare” il pensiero critico. Inevitabilmente questo stato di fatto produce una proporzionale crescita dell’astensionismo a beneficio esclusivo di quelle lobby economico-finanziarie che dettano le linee guida da seguire agli amministratori della “Res publica”.

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