Sulla deprimente "sfida" mediatica tra Dante e Shakespeare

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Sulla deprimente "sfida" mediatica tra Dante e Shakespeare

La sfida tra Dante e Shakespeare lanciata dal Frankufurter Rundschaur e poi raccolta da alcuni giornali italiani è qualcosa di deprimente, contrario non solo a qualsiasi discorso letterario, ma anche al buon senso culturale. Ora la disputa è stata ripresa anche dal Guardian, che è tendenzialmente un giornale serio, ma evidentemente non impeccabile.
 
 
 
Sia chiaro: è falso che l'attacco non ci sia stato come dice Saviano sul Corriere. Sgomberiamo però subito il campo dalla questione letteraria: Dante e Shakespeare appartengono a due epoche molto diverse, si sono cioè espressi dentro due distinti orizzonti culturali e attraverso mezzi espressivi non facilmente comparabili. Stabilire chi sia più figo, un po' come si confrontano i calciatori (ma nessun appassionato di calcio comparerebbe mai Di Stefano a Ronaldo...) o i cantanti di San Remo, non ha alcun valore critico, è puro chiacchiericcio le cui finalità non sono affatto letterarie o culturali.
 
Questa riduzione dei grandi autori a beniamini da calare su un ideale ring letterario e confrontare sulla base di categorie impressionistiche e campate per aria riflette la tipica attitudine consumistica della fruizione culturale, i cui prodotti sono mera merce da scaffale.
 
Inoltre, questo atteggiamento riflette il rigurgito di nazionalismo che si sta diffondendo in Europa e che rispetto al passato si manifesta in modo apparentemente frivolo, ma direttamente legato ad interessi economici. Questi interessi hanno a che fare con quello che viene chiamato soft power, il quale riguarda il prestigio di un paese, la sua capacità di essere credibile nel mondo sulla base dei propri punti di forza culturali, della propria immagine e delle narrazioni che essa evoca.
 
Secondo gli osservatori l'Italia è un paese che ha un soft power molto forte. E lo è - aggiungo io - nonostante la sua debolezza geopolitica, la sua fragile coesione nazionale, la mediocrità dei suoi ceti colti e l'assenza di provvedimenti politici presi per rafforzare questa forma di potere attraverso iniziative culturali.
 
Sono comunque molte le ragioni alla base del soft power italiano. Una di queste è la qualità, soprattutto sul piano dell'immagine, dei prodotti esportati. Un'altra, forse più profonda, ma spesso più difficile da capire per una malintesa concezione che predica l’autonomia della cultura dalla politica, è invece dovuta alla sua enorme tradizione culturale del passato, che per inerzia ha continuato a diffondersi e che riguarda naturalmente anche Dante.
 
Su un piano letterario gli argomenti contro Dante sono risibili (anche quelli a favore della nostra stampa non scherzano). È persino sciocco prenderli seriamente in considerazione. Nascono infatti dentro un conflitto relativo al soft power. Sono insomma parte dell'esasperata e feroce competizione capitalistica che si combatte anche tra paesi europei, soprattutto ora, in questa fase di disfacimento delle istituzioni sovranazionali.

Paolo Desogus

Paolo Desogus

Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbonne Université, autore di Laboratorio Pasolini. Teoria del segno e del cinema per Quodlibet.

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