Ma gli Enti locali possono sottrarsi alla ideologia della guerra?
di Federico Giusti
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo”
Questo è l’art 11 della Costituzione italiana, eppure nonostante il ripudio della guerra il nostro paese è stato direttamente coinvolto in numerosi conflitti sotto l’egida Onu, Nato e dietro a cartelli temporanei di paesi occidentali. E al contempo un paese che ripudia la guerra ospita decine di basi militari Usa e Nato da cui partono rifornimenti e logistica militare. E’ fin troppo facile nascondersi dietro al dettato costituzionale ignorando l’effettivo apporto del nostro paese alle strategie di guerra.
Ci siamo chiesti, nel passato, quanto sia efficace il costante richiamo al dettato costituzionale se lo stesso poi si rivela del tutto inutile a fermare la partecipazione a conflitti bellici, non serve da argine alla spesa militare che nel Globo, in tre anni, è cresciuta del 20 per cento con la Ue a superare il 17 e i paesi Nato che rappresentano da soli oltre il 55 per cento della spesa militare globale.
Allo stesso tempo siamo certi che questo articolo costituzionale, come tanti altri, sia da contestualizzare storicamente, erano gli anni successivi alla cacciata del fascismo che il nostro paese aveva condotto in guerra, prima le avventure coloniali e poi l’alleanza con il nazismo, la guerra era portatrice di memorie dolorose e autentici disvalori, a distanza di decenni non solo la memoria delle immani distruzioni si è persa ma la propaganda guerrafondaia è diventata sempre più asfissiante.
In questi anni numerosi Consigli comunali hanno sottoscritto appelli e ordine del giorno contro la guerra salvo poi partecipare attivamente, su dettato nazionale, ai lavori di potenziamento della logistica a fini militari. Una presa di posizione di un Consiglio comunale è utile alla lotta contro la militarizzazione o piuttosto fa parte di quell’avanspettacolo a cui il movimento pacifista italiano ci ha abituato?
Se guardiamo alle basi presenti nei nostri territori il ruolo attivo degli enti locali è stato determinante per il loro potenziamento, si sono create vere e proprie servitù e gli amministratori diventano i principali sponsors della militarizzazione mettendosi a disposizione di Fondazioni legate a imprese di armi e sottoscrivendo accordi per iniziative locali organizzate con le forze armate.
I lavori di potenziamento delle basi e della logistica asservita a fini militari sono secretati e le procedure semplificate, la sicurezza nazionale ed internazionale sono ragioni sufficienti a scongiurare ogni approfondimento e discussione pubblica e perfino una corretta informazione alla cittadinanza.
Quali sono i benefici per le comunità locali? Ben pochi, ci sono aree del paese inquinate, altre da decenni occupate da basi che a loro volta tengono, sempre le solite ragioni di sicurezza, a rendersi autonome sotto ogni punto di vista prevedendo all’interno delle aree militari palestre, abitazioni, supermercati ed empori.
L’ aumento della spesa militare al 5 per cento del PIL comporterà ingenti tagli alla spesa pubblica, a sanità, istruzione, spesa sociale. Con tutti i soldi destinati al militare sarebbe possibile costruire interventi sociali e posti di lavoro, ma non sono certo ragionevoli dubbi e argomentazioni di buon senso a far cambiare idea ai governanti.
Se è indubbio che i Comuni siano stati penalizzati dalle manovre fiscali e finanziarie degli ultimi decenni, nonché dai tetti di spesa imposti dalla Ue e recepiti nella nostra Costituzione, è altrettanto vero che la militarizzazione non porterà beneficio alcuno, anzi è quasi certo che il Riarmo determini nuove riduzione di spesa, tagli diffusi e anche a minori trasferimenti di risorse.
Gli enti locali hanno molto da perdere ma ormai i consigli comunali sono dei rituali stanchi dove il dibattito politico langue e i consiglieri comunali votano a comando dai capigruppo sovente senza intervenire nelle commissioni e nelle sedute pubbliche
Quando si parla di cospicui tagli ai Comuni fino a metterne in pericolo le stesse funzioni sociali pensiamo che la economia di guerra sia parte attiva di quel processo antidemocratico che rafforza la finanza, i processi speculativi e le disparità economiche e allora non potrà bastare una semplice dichiarazione di intenti senza mai mettere in discussione gli interessi economici, ideologici e politici che sostengono i processi di militarizzazione e l’economia di guerra